Il Re Umberto II disse: "La repubblica si può reggere col cinquantun per cento; la monarchia no. [...] La monarchia non è mai un partito. È un istituto mistico, irrazionale, capace di suscitare negli uomini, sudditi e principi, incredibili volontà di sacrificio... Non deve essere costretta a difendersi giorno per giorno dalle insidie e dalle accuse. Deve essere un simbolo caro o non è nulla". In questi giorni, senza ombra di dubbio, queste parole sono oltremodo veritiere.
A Londra abbiamo assistito alla cerimonia di incoronazione di Carlo III, nuovo sovrano del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord. Milioni di persone, si sono fermati ad osservare, una cerimonia dal sapore medievale.
Nel mondo moderno, ultra progressista e fluido, la gente è rimasta incollata ad osservare questi antichissimi rituali.
Gli abitanti dorati, il mantello di ermellino (sintetico), l'unzione e le regalie hanno mandato in cortocircuito i liberalotti e i repubblicani, perché la monarchia è ancora viva.
Perché, seppur con i vari annacquamenti e con un rito scismatico anglicano, la spettacolare investitura regia è stata favolosa.
In Europa, le monarchie contemporanee, hanno subito un processo di impoverimento austero divenendo simili o peggiori a certe repubbliche. Le monarchie nordiche, in primis, rappresentano questa forma di "presidenzialismo ereditario". La monarchia britannica, seppur con tutte le derivazioni contemporanee, racchiude tracce dei fasti sacri del passato.
In fin dei conti, nell'animo della gente, il fascino dei Re, delle belle principesse, dei cavalieri e dei paggetti in livrea, suscita nei cuori un' ancestrale meraviglia.
Anche in Italia, questo evento, è stato incisivo. Infatti, proprio in questi giorni, il dibattito politico si concentra sulla "variante" migliore della forma repubblicana. Voci diverse espongono il presidenzialismo, il semi presidenzialismo, il premierato o il mantenimento della repubblica parlamentare.
Sfaccettature dello stesso sistema, che in settant'anni, non ha mai fatto veramente breccia nel cuore della gente.
Quando il 9 maggio del 1946, Umberto II divenne Re d'Italia, una folla immensa si riversò sotto il balcone del Quirinale per salutare il nuovo sovrano. Una brulicante massa di italiani, con il tricolore sabaudo, salutarono il nuovo monarca. Nessun presidente della repubblica italiana, anche i "più amati", hanno mai ricevuto un simile "omaggio" dalla folla. Sotto il Quirinale, divenuto "casa degli italiani", non c'è mai stata una manifestazione da parte dei cittadini.
La corona, simbolo di unità e appartenenza, riesce a fortificare e unire i popoli e la nazione al contrario del berretto frigio.
Nel suo libro "Adriano VII", Rolfe Baron Corvo scrisse: "Le antiche monarchie legittime sono dovunque in declino, e Demos è pronta ad inghiottirle nelle sue fauci vili".
Il progressismo, ha annichilito nel sentimento comune l'atavico senso di appartenenza, ma senza stroncarlo.
Abbiamo assistito, dopo la morte di Benedetto XVI, alla lunghissima fiumana che gli ha reso omaggio. Il vecchio pontefice tedesco, considerato estromesso, ha riunito più fedeli rispetto al carrozzone del "bergoglianesimo". L'incoronazione di Carlo III, con i riti sacri e feudali, hanno destato più ammirazione e curiosità dell'insediamento di Mattarella, forse aveva ragione Joseph Marie de Maistre nel dire che "ogni nazione ha il governo che si merita".
La monarchia, quella vera e tradizionale, ha una forza che ancora resiste ed è viva. Il sacrale fascino della corona, sarà sempre più forte di ogni repubblica, e veritiere sono le parole di Tolkien:
«Non tutto quel ch'è oro brilla, Non tutti coloro che vagano si sono persi;
Il vecchio ch'è forte non s'aggrinza,
Le radici profonde non gelano.
Dalle ceneri rinascerà un fuoco,
L'ombra sprigionerà una scintilla;
Nuova sarà la lama ora rotta,
E Re quei ch'è senza corona»
Alessio BENASSI