La festa (anno 2022) della Repubblica italiana è stata all’insegna di una parola chiave: pace.
“La Repubblica è impegnata a costruire condizioni di pace e le sue Forze Armate, sulla base dei mandati affidati da Governo e Parlamento, concorrono a questo compito”. Queste le parole, infatti, del nostro capo dello Stato, Sergio Mattarella. Bisogna vedere, però di quale pace si stia parlando. L’articolo 11 della Costituzione è molto chiaro: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”. In una nota trasmissione televisiva, recentemente, l’articolo è stato usato come spiegazione del pacifismo. Il movimento politico che da secoli si batte contro la guerra.
Se ne deduce che la nostra Carta, la nostra Repubblica, sia pacifista?
E’ questione di punti di vista. E soprattutto di come si consideri la pace. Esempio: creiamo le condizioni diplomatiche per la pace in Ucraina, smettendo di fornire armi? O continuiamo a fornire armi sempre più efficaci e pericolose per sconfiggere l’esercito russo, in modo tale da arrivare a un altro concetto di pace?
Anche qui, è questione di punti di vista. La domanda va fatta proprio in occasione del 2 giugno: quante Repubbliche esistono?
C’è la Repubblica di Sergio Mattarella, supremo garante dell’unità della nazione e dello Stato, che ritiene il sovranismo il male peggiore. Ricordiamo che il sovranismo, è l’idea di un patriottismo che si identifica con la sovranità geografica e giuridica dello Stato. C’è Draghi che crede in un patriottismo dentro uno Stato più grande: l’Europa. C’è la Repubblica dei cittadini, un italiano su due che non si riconosce nell’attuale governo, e non vota (tanto comanda una casta di banchieri ed euroburocrati che di fatto ha commissariato la politica).
E c’è la Repubblica dei partiti, in questo momento totalmente impotenti, mediocri, incapaci di esprimere una classe dirigente degna del nome e di avere una visione alta della società.
Del resto, ci siamo abituati: la Repubblica italiana nasce con un referendum opaco (l’accusa di brogli) che l’ha spaccata in due (il Nord repubblicano, il centro-sud monarchico), i cui risultati sono stati a lungo contestati. Poi, ha proseguito, con gli effetti della guerra civile (antifascisti, anticomunisti), poi con la guerra fredda (anticomunisti, comunisti), infine con le opposte tifoserie: berlusconiani-antiberlusconiani, salviniani anti-salviniani etc. E da ultimo, sì-vax contro no-vax, pacifisti vs atlantisti.
La verità è che siamo prima campanilisti, prima di destra o sinistra, poi italiani. A differenza di inglesi, francesi, americani, prima patrioti poi divisi dalle appartenenze politiche e ideologiche.
Da noi è venuto prima lo Stato, poi forse (o forse mai) la nazione.
Siamo figli di “patrie di parte” e la nostra purtroppo è una “Repubblica-spezzatino”. Eppure Ciampi ci aveva provato col Giubileo della nazione, riconciliando le nostre tradizioni, quella risorgimentale, quella pre-risorgimentale e quella repubblicana. I Capi dello Stato in seguito, hanno interpretato la funzione presidenziale in modo diverso: interventista Napolitano, arbitrale ma decisionista Mattarella (su temi, come la Ue, i vaccini).
Che differenza rispetto al Giubileo della Regina Elisabetta: senza differenze tra laburisti e conservatori, e con milioni di persone che si riconoscono nei loro simboli identitari. Mi piacerebbe che pure in Italia ci fosse lo stesso amore per le istituzioni, ma non è così.
Quel giorno verrà quando alla sfilata del 2 giugno si vedranno le bandiere sabaude insieme alla bandiera repubblicana e al tricolore che unisce tutti. E quando Mattarella non sarà ufficialmente il dodicesimo presidente, ma il sedicesimo capo di Stato italiano (compresi i re).
Fabio TORRIERO