È in azione la nuova OVRA...
Gli italiani hanno sopportato due mesi di clausura non per virtù civica ma perché terrorizzati da immagini lugubri del “Morbo” 24 ore su 24 a reti unificate e dalla minaccia di “multe” salate se appena avessero messo un piede oltre la soglia. Credevano di respirare dal 18 maggio, invece sono nuovamente subissati dai fulmini. Chi prima si accertava che stessero ben chiusi in casa ora ne scruta le mosse, pronto a infliggere nuove e più gravi sanzioni, in specie ai giovani che sono come erano due mesi fa: svagati in cerca di vita. Dopo la GADU (Grande Associazione Delatori Uniti, che ambisce al riconoscimento di Ong) è nata l' OVRA-BA, Opera Volontaria Repressione di Adulti, Bambini e Anziani. Per mesi chi quatto quatto raggiungeva casa (dimora, domicilio, residenza, una casa qualunque...) veniva adocchiato dalla GADU, i cui archivi, raccolti con apposite app e debitamente classificati, sono stati trasmessi all'OVRA-BA. Chi per anni si era accontentato di staccare dal notes e infilare sotto il tergicristallo l'avviso di penalità per una banale sosta anomala ha vissuto mesi di turgori esercitando la sua quota parte di Potere Assoluto. Anziché acquattati dietro una siepe per cogliere falli, i vigilanti dell'OVRA-BA ora si specializzano nell'adocchiare e segnalare prontamente chi esce dall'acqua e si sparapanza al sole invece di correre gocciolante e ignudo verso casa (dimora, domicilio, residenza...), naturalmente senza “congiunti”, che è tra vocaboli più strambi infilati da Sua Emergenza Conte in uno dei suoi ormai leggendari DPCM,ruvidamente stigmatizzati dalla presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati: una “Torre di Babele” del non-senso normativo, come ha acutamente sintetizzato Cesare Maffi in “ItaliaOggi”.
Di certo non sono di buon augurio i latrati dei ministri Boccia (Rapporti con le Regioni) e Speranza (Sanità) che vorrebbero protrarre sino a chissà quando la libertà di circolazione tra una regione e l'altra, sulla base di dati epidemiologici spacciati da comitati tecnico-scientifici e da “esperti”. Sulla loro credibilità si è pronunciato l'INPS che giudica “ormai poco attendibili” quelli forniti dalla Protezione civile, a parte il pandemonio di dispute tra virologi, epidemiologi e inventori di algoritmi previsionali di curve d'ogni genere e colore, basate su induzioni/deduzioni.
Una pandemia di norme arcaiche
Visto il Codice di Hammurabi, re di Babilonia, viste le norme iugulatorie imposte da Dracone agli Ateniesi, le leggi incise a Roma sulle XII Tavole dai decemviri legibus scribundis, il Corpus iuris civilis di Giustiniano, l'Editto emanato dal longobardo Rotari a Pavia nel 643 d.C., la Magna Carta, l'Habeas Corpus, il Codice Napoleone, invocati tutti i protettori, ispiratori e innovatori del diritto, da san Bobuleno a Irnerio e al “fratello” Giuseppe Zanardelli, che nel 1889 abolì in Italia la pena di morte, Sua Emergenza Conte e i ministri di sua fiducia hanno sfornato e continuano a produrre decreti-legge sulle materie più disparate, non sappiamo con quanta mestizia controfirmati ed emanati dal Capo dello Stato, Sergio Mattarella. Dopo il “Cura Italia” (un palliativo, anzi, un “tampone” del tutto inadeguato a fronte della crisi economica e, conseguentemente, sociale) il decreto-legge approvato al rallentatore ed enfaticamente intitolato “Rilancio” (quasi il governo stia giocando a poker) è un erbario di 266 articoli nel quale tanti frugano cercando balsamo. Il “Governatore” del Veneto, Luca Zaia (nome di evangelista, quindi veridico), ha subito detto che per lui è destinato al cestino della carta. Gli ha fatto eco il campano Vincenzo De Luca. Non bastasse, anche il prudente “Sole 24 Ore” ha segnalato che occorreranno un centinaio di altri “Atti” per farlo passare dai vagiti ai fatti, a parte la solita pletora di “aggiornamenti” scritti apposta per intorbidire le acque.
Alle due Camere con rito pleonastico Sua Emergenza ha solennemente dichiarato che occorre procedere celermente a semplificare le leggi vigenti intralcianti le nuove. Ha esibito un tipico caso di sdoppiamento di personalità (quando la destra non sa che cosa faccia la sinistra) o di illusionista che sfida la credulità del pubblico. Astuto Frate Cipolla dei tempi nostri, dal 31 gennaio Conte ha prodotto una sterminata messe di decreti, ordinanze e circolari, dapprima pioggerellina di marzo, poi goccioloni battenti, infine rovinosa tempesta, secondo umori e suggestioni di consulenti tecnico-scientifici (mancano notizie di Colao, che di nome fa Vittorio, ma forse non lo è di fatto) e di “portavoce” che talora, a ruoli invertiti, vegliano “a vista” i “domini”, ridotti a “subiecti”.
Il 24 maggio 1915...
Mentre la generalità dei commentatori delle condizioni in cui versa il Paese bada ai “fondamentali” dell'economia (stringi stringi sono i risparmi, sui quali volteggia l'Avvoltoio di Volturara Appula), va posta al centro dell'attenzione la “cittadinanza italiana”, cioè i veri capisaldi dello Stato d'Italia, quale ne sia la forma istituzionale, le “virtù” antiche che gli hanno consentito di sopravvivere a due rovinose guerre mondiali, al cambio Monarchia/repubblica e alla scomparsa di tutti i partiti rappresentati alla Costituente del 1947-1948. Va fatto in una domenica che vede scivolare via sotto oblivioso silenzio l'anniversario di una fra le date più importanti della storia nazionale: l'intervento dell'Italia nella Grande Guerra. Comunque lo si voglia giudicare. Alla luce dei documenti, chi scrive lo ritiene un errore colossale per i modi nei quali venne deciso e attuato: il governo Salandra-Sonnino scaricò sulle spalle del Comandante Supremo, Luigi Cadorna, le offensive e le trincee, ma non gli assicurò la “grande riserva”: il sostegno convinto del Paese, né la copertura finanziaria. Quel 24 maggio va comunque ricordato quale spartiacque della nostra storia d'Italia. Ma non è questo il tema. La riflessione va concentrata sull'assenza di un Progetto Italia nei disegni sinora prospettati dal governo con riferimento ai due pilastri portanti del Paese: i laboratori (o atanor) della cultura e la macchina dell'Istruzione/educazione, la Scuola.
Il bavaglio alla libertà di pensiero
Commentare il decreto-legge maximus “Rilancio Italia” sarebbe al momento esercizio retorico. Esso è aperto a emendamenti. Sennò che decreto-legge sarebbe? Un diktat? Un ultimatum? Un “verbale” prendere o lasciare teletrasmesso da remoto alle Camere? Da oggi alla sua eventuale approvazione, entro metà luglio, tante novità possono insorgere. Meglio quindi soffermarsi sul decreto-legge minor (16 maggio 2020, n. 33), “Ulteriori misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da Covid-19” e sul DPCM di domenica 17 maggio 2020, firmato da Sua Emergenza e dal ministro della Salute. Il DL minor andrà ricordato perché ebbe efficacia a decorrere dal primo minuto di lunedì 18 maggio. Come coro stentoreo dall'alto di un minareto, il presidente Mattarella, Conte e quattro ministri (Speranza, Lamorgese, Bonafede e Gualtieri) annunciarono che cessava l'efficacia delle restrizioni imposte per quasi due mesi e via via inasprite per contenere la propagazione del contagio da Covid-19, ma vietarono ai cittadini di spostarsi prima del 2 giugno “in una regione diversa rispetto a quella in cui attualmente ci si trova”. È pur vero che era stato preceduto da bozze, brogliacci, sussurri e grida e che in molti avevano ormai programmato l'intera settimana; nondimeno va stigmatizzata l'incapacità del governo di parlare chiaro e per tempo, anziché considerare i cittadini come pupazzi da mettere in moto girando una chiavetta conficcata nella schiena. Ora il Governatore della Liguria, Giovanni Toti, ha deciso di rendere comunicanti almeno i comuni frontalieri. Ancora una spallata e finalmente le province liguro-piemontesi torneranno a vivere quali sono: una realtà unitaria.
Altro preme evidenziare. L'articolo 8 subordina “le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi natura con la presenza del pubblico, ivi compresi quelli di carattere culturale, ludico, sportivo e fieristico, nonché ogni attività convegnistica o congressuale, in luogo pubblico o aperto al pubblico, alle modalità dettate dall'art. 2 del precedente decreto-legge n. 12 del 2020”. Il legislatore, insomma, si rincorre, si auto-certifica, si auto-celebra e vorrebbe auto-protrarsi sino al 30 gennaio dell'anno venturo. Da Conte le “manifestazioni” sono consentite nel rispetto delle condizioni riservate allo “svolgimento” delle funzioni religiose. Un devoto di Padre Pio da Pietrelcina meglio scriverebbe che le funzioni religiose non “si svolgono” ma “si celebrano”. Ma non è il caso di spaccare in quattro ogni capello dei DL e dei DPCM, quasi unanimemente giudicati capolavori di disordine linguistico e soprattutto concettuale. Stiamo ai fatti. Il DL tace completamente sui “circoli culturali”, che sono altra cosa dalle “manifestazioni”. Essi sono all'origine della cultura, come il clero e i fedeli sono i fondamenti delle celebrazioni liturgiche. Ma questo presidente e questo governo, intrisi di paleo-materialismo, ignorano il prima e il poi, il basso e l'alto, le priorità filosofiche e ideali e le loro connessioni con la quotidianità. Chi voglia comprendere il ruolo dei circoli culturali dispone di decine di metri di scaffali gonfi di libri, memoriali, biografie... Fresco di stampa, si è aggiunto ora il corposo volume “Incontro con la massoneria: cento anni fra squadra e compasso” di Arnaldo Francia (Torino, Arti Grafiche Tricerri), portolano che percorre secoli di intreccio tra lo Spirito e la Pietra.
Per capire la rotta tenuta da Sua Emergenza e dalla maggioranza che lo sorregge è ancora più interessante il DPCM di domenica 17 maggio. In altri Atti governativi sono state richiamate norme dell'età vittorioemanuelina a cominciare dal Regio decreto 14 aprile 1910, n. 639. Nell'ultimo decreto presidenziale, dopo vari altri richiami il professor Conte stabilisce che “lo svolgimento delle manifestazioni pubbliche è consentito soltanto in forma statica (…) nelle prescrizioni imposte dal questore ai sensi dell'articolo 18 del Testo unico di pubblica sicurezza di cui al Regio decreto 18 giugno 1931, n. 773”. In mancanza di meglio, l’esecutivo odierno continua a farsi forte di una tra le leggi più famigerate del governo Mussolini, varata dopo l'azzeramento della libertà di stampa e di ogni opposizione, l'instaurazione del regime di partito unico, il ripristino della pena di morte, il bavaglio alla libertà non solo di espressione ma, se possibile, di pensiero attraverso l'organizzazione di una macchina repressiva fondata su delazione, spionaggio, asservimento degli spiriti. Quell'anno ai pubblici impiegati statali e degli enti locali fu imposto il giuramento di fedeltà al “duce”. Sorto quale Patria delle libertà, con quel Testo unico l'Italia divenne “Stato di polizia”: è paradossale che le sue tenaglie roventi vengano usate ancora oggi per “disciplinare”.
Il preludio fu la soppressione dei circoli culturali e ricreativi non allineati alle direttive di un regime che l'anno successivo si celebrò con la Mostra nel Decennale dell'“Era fascista”, nella convinzione che, in vario modo benedetto, sarebbe durato nei secoli. Quei circoli spesso non erano che riunioni di amici affratellati nel tempo non già da uniformità di vedute ma, all'opposto, dal piacere di confrontare i diversi punti di vista, di corrispondere con analoghi sodalizi all'estero, di pensare in europeo. Non per caso Benedetto Croce pubblicò in breve la Storia d'Italia e quella d’Europa. Era il modo pacato di ricordare che l'Italia non si era unificata per caso ma su impulso di minoranze colte, orgogliose del passato prossimo e remoto della Saturnia Tellus e al tempo stesso proiettate verso l'Universo. La creatività di quei circoli consisteva anche nella “libertà di circolazione” dei loro componenti, perennemente in viaggio nei secoli dei Grands Tours, di esplorazioni coincidenti con iniziazioni. I sodalizi italiani (Accademie e circoli privati) a loro volta erano meta di visitatori insigni, come Goethe che in Italia venne perché bisogna conoscersi di persona per cementare la foscoliana “eredità di affetti”.
Di tutto ciò non vi è traccia nelle logorroiche “informative” da Sua Emergenza dispensate alle Camere, né nei sermoni impartiti agli italiani: misto di esortazioni, buffetti e minacce, quasi siano seminaristi di età pre-conciliare. Inconsapevole delle ritorsioni che ci riserveranno gli altri Stati, il professore-presidente si è spinto persino a dire dove i cittadini debbono “andare in vacanza”. Tra breve detterà se e come potranno spogliarsi quando vanno in spiaggia o indossare giacche a vento sui monti, quante bracciate o falcate potranno fare, vegliati sempre dall'OVRA-BA col supporto di droni e sanzionati da Militi dediti a rieducare giornalmente cittadini altrimenti inconsapevoli di sé.
Azzolina e la morte della Scuola
Clone perfetto di Sua Emergenza è la ministra della Pubblica Istruzione Azzolina Lucia. Le di costei roride gote sono speculari alle chiome or composte ora con ciuffo al vento dell'Avvoltoio appulo. In comune hanno anche la casualità del loro Avvento nei cieli d'Italia. Dai dettagli biografici salendo alla sua funzione, di Azzolina si sa che, conseguite due lauree, docente in un istituto qualunque e militante in un sindacato scolastico, eletta deputata sotto il segno delle Cinque Stelle, trentottenne senza infamia e senza gloria essa ascese al governo su proposta di Conte per dimissioni del predecessore; ma il dicastero venne “spacchettato”: Università e Ricerca andarono a Gaetano Manfredi, presidente della conferenza dei Rettori. A lei rimase la Scuola dagli asili ai diplomi.
L'Istruzione era il Grande Malato, come un tempo si diceva dell'Impero turco-ottomano. E tale sarebbe rimasta in tempi ordinari: edifici inadeguati, poche palestre, centomila e più precari e, ciò che più differenzia l'Italia dagli altri Paese dell'Unione europea, con salari miserabili, del tutto insufficienti a consentire l'auto-aggiornamento dei docenti e a incoraggiare giovani di belle speranze a intraprendere la via dell'insegnamento: una carriera “piatta”, senza incentivi né valorizzazione del merito. Se le aggressioni a medici nei pronto soccorsi almeno fanno notizia, quelle ai docenti sono ormai rubricate come incidenti del mestiere, come i fischi e gli insulti agli arbitri.
Anche senza pandemia e al di là dei suoi pregi personali, Azzolina non aveva i requisiti né i mezzi per mettere ordine nella babele scolastica. Chiudere in tutta fretta le scuole sine die, con riti conclusivi all'insegna del “fai da te” per terze medie e maturità, è stata una decisione sciagurata e imperdonabile. È impossibile valutare se tale misura abbia o no salvato vite umane. Di sicuro ha accoppato la credibilità del sistema scolastico italiano e lascia presagire un anno scolastico 2020-2021 all'insegna del caos, tra agitazioni di studenti e loro famiglie (anche i genitori più distratti hanno già aperto gli occhi sul baratro), scioperi di docenti e fuga di presidi (pardòn, “dirigenti”), ai quali Azzolina fa sapere che non scaricherà sulle loro spalle “tutte” le responsabilità della catastrofe, quasi già non ne siano gravati. A ormai solo tre mesi effettivi dall'inizio del nuovo anno, le premesse della catastrofe ci sono tutte: la distanza incolmabile tra numero di allievi e capienza delle aule secondo le norme “anti-contagio”, l'impraticabilità dell'insegnamento “a distanza” a livello nazionale, “isole comprese”, la nebulosità di un serio Progetto Scuola. Per ora assistiamo al balbettio di esperti che dicono e si contraddicono e all’inadeguatezza di una ministra che si trova a fare i conti con una montagna di guai insoluti (sindacati, concorsi, precariato…), al vertice di un Ministero che da anni si cullava nella consolante previsione della decrescita felice per riduzione demografica degli allievi: non per febbri influenzali transitorie ma per il crollo delle nascite.
Per la Scuola e per i circoli del libero pensiero questi mesi costituiscono l'Anno Zero.
Aldo A. MOLA