L'editoriale del Giornale del Piemonte e della Liguria del 12 dicembre 2021.
Un “Memoriale” dei Presidenti della Repubblica?
Tutti i grandi Stati onorano i propri “Capi” antichi e recenti. Sono gli Stati che, quale ne sia la dimensione territoriale, quando è il momento, accettano le sfide della Storia e, se necessario, combattono. Alcuni vincono, altri perdono. I vinti sopravvivono se conservano memoria di sé. È il caso del Giappone, che si fonda sulla memoria degli Antenati. E chi è più “antenato” in uno Stato se non il suo Capo? Egli è la sintesi della sua identità.
Tra le debolezze “di sistema” della Repubblica attuale vi è la discontinuità del ricordo dei suoi “Capi”, da De Nicola all'attuale. Manca un “Memoriale” che li componga nella loro sequenza. I Presidenti della Repubblica sono narrati in opere degnissime (per es. in “Parla il Capo dello Stato” del quirinalista Tito Lucrezio Rizzo) ma le loro effigi non sono raccolte insieme in un luogo “pubblico”. Per rendere omaggio all'Italia i successori dei Re salgono ai piedi della Dea Roma in cima all'Altare della Patria, voluto dalla monarchia che unì l'Italia. All'esterno e all'Interno del Vittoriano non manca lo spazio per sintetizzare i 160 della “unità nella continuità”, assicurata dal Re Soldato nella stagione più drammatica della sua lunga storia e l'effigie dei Capi dello Stato dal 1946 a oggi.
Nella preoccupante riffa in corso sull'elezione del prossimo Presidente della Repubblica merita riflettere sulla Sepoltura di Vittorio Emanuele III e della Regina Elena: un esempio di grande civiltà.
Prima i vivi...
Quattro anni orsono, il 15 e il 17 dicembre 2017, giunsero in Italia le salme della Regina Elena e di Vittorio Emanuele III. La loro traslazione era stata per decenni in vetta alle richieste dei monarchici (partiti, movimenti, associazioni...) e, per “ragione sociale”, dell'Istituto nazionale per la guardia d'onore alle Reali Tombe del Pantheon. Verso fine Novecento però tra i più prevalse la direttiva “prima i vivi, poi i morti”. Fu data la precedenza alla richiesta di abolizione dell'esilio che ancora colpiva Vittorio Emanuele di Savoia e suo figlio Emanuele Filiberto, nato a Ginevra il 22 giugno 1972.
Il 23 ottobre 2002 il Parlamento approvò la legge costituzionale (in vigore dal 10 novembre successivo) che esaurì gli effetti dei primi due commi della XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione. Essi privavano dei diritti politici attivi e passivi gli ex re di Casa Savoia, le loro consorti e i discendenti maschi, a ciascuno dei quali era vietato l'ingresso e il soggiorno nel territorio nazionale. Rimasero in vigore l’avocazione allo Stato dei beni degli ex re di Casa Savoia, delle consorti e dei discendenti maschi esistenti nel territorio nazionale e l'annullamento di trasferimenti e costituzioni di diritti reali sugli stessi avvenuti dopo il 2 giugno 1946, giorno “convenzionale” dell'avvento della Repubblica, che in realtà data dal 19 giugno seguente, come recita la “Gazzetta Ufficiale”, citata da Argenio Ferrari in “Lex et Libertas in potestate Regis” (ed. BastogiLibri).
La sorte delle Salme finì in un cono d'ombra.
Finalmente… quei giorni
Nondimeno alle 7.30 del 15 dicembre 2017, mentre appena albeggiava, il feretro della regina Elena fu estumulato in forma privata nel cimitero Saint Lazare di Montpellier, la città ove era morta il 28 novembre 1952 ed era stata inumata. La sua Famiglia fu rappresentata dall’avvocato sanremasco Luca Fucini, componente della Consulta dei senatori del regno, munito di apposita delega. La cerimonia venne ripresa dalle reti televisive France 2 e Montpellier Actualité, previamente informate dalla Mairie, malgrado la raccomandazione di assoluta riservatezza.
Alle 17.30 il feretro giunse al santuario-basilica di Vicoforte. Fu accolto dal conte Federico Radicati di Primeglio, delegato dalla Famiglia Savoia “per tutti gli atti necessari a estumulazione, traslazione e ritumulazione delle salme della regina e di Vittorio Emanuele III”, e dal Rettore del Santuario, monsignor Bartolomeo (Meo) Bessone, vicario della Diocesi di Mondovì, poi parroco a Dogliani e purtroppo rapito dalla pandemia di covid.19. “Don Meo” impartì la benedizione di rito ed evocò la figura della regina “Rosa d'Oro della Cristianità”. Uno storico, che da mesi affiancava il conte Radicati, aggiunse che per allietarsi dell'evento non era necessario essere monarchici; bastava sentirsi italiani. La lapide reca la scritta “Elena di Savoia/ Regina d’Italia/ 1873-1952”. Presenziarono il sindaco di Vicoforte, Valter Roattino, e l’architetto Claudio Bertano, autore del progetto monumentale.
Tempestivamente informata dell'avvenuta traslazione, con una nota alla sede di Parigi dell'agenzia Ansa la principessa Maria Gabriella di Savoia ne dette annuncio alle 17.45, poco prima che iniziasse la conferenza stampa convocata dal sindaco di Montpellier per le 18. Ringraziò monsignor Luciano Pacomio, vescovo di Mondovì, catechista insigne, il Rettore del Santuario e quanti avevano operato “nella discrezione raccomandata dal vescovo” e aggiunse: “A nome e per conto dei discendenti dei Sovrani che vissero cinquantun anni di matrimonio in unione con gli italiani nella buona e nella cattiva sorte e mentre ricordo mia zia Mafalda, morta tragicamente nel campo di concentramento in Germania, ove era stata deportata dai nazisti, esprimo profonda gratitudine al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che propiziò la traslazione delle Salme dei Nonni in Italia, in prossimità del 70° della morte di Vittorio Emanuele III e nel centenario della Grande Guerra, per la ricomposizione della memoria nazionale”. Immediatamente diffusa in apertura dei telegiornali della sera, la notizia fece supporre che fosse imminente la traslazione della salma di Vittorio Emanuele III. Estumulato nella notte del 16 dal retro dell'altare di Santa Caterina di Alessandria d'Egitto, il suo feretro arrivò a Vicoforte sul mezzogiorno del 17 dicembre e fu tumulato con onori militari e l'esecuzione del “Silenzio” con la scritta “Vittorio Emanuele III / re d'Italia/1869-1947”. Su entrambe le arche è incisa la Stella d'Italia.
Così Vittorio Emanuele III e la Regina Elena vennero ricongiunti in Italia.
A quanti domandarono perché fossero resi onori militari alla salma del re fu ricordato che Vittorio Emanuele III morì quattro giorni prima che entrasse in vigore la Costituzione della Repubblica. A differenza di quanto solitamente si dice, non morì affatto “in esilio”. Si congedò dalla vita mentre era cittadino italiano all’estero, nella pienezza dei diritti politici e civili di ex capo dello Stato e delle Forze Armate.
Gli antefatti della Traslazione. Perché Vicoforte?
La tumulazione delle salme di Vittorio Emanuele III e della Regina Elena a Vicoforte fu il punto di arrivo di un lungo percorso. La scelta venne formulata a Roma in una seduta della Consulta dei senatori del regno il 19 marzo 2011. Fu scartato il Pantheon per indisponibilità di spazi idonei alla dignità di Tombe Reali e per prevedibili intralci di varia natura. Del pari venne ritenuta non idonea la Basilica di Superga, mausoleo dei Re di Sardegna (a eccezione di Carlo Emanuele IV, sepolto a Roma), mentre Vittorio Emanuele III fu re d'Italia.
Voluto da Carlo Emanuele I, duca di Savoia dal 1580 al 1630, quale mausoleo della Casa il Santuario-Basilica di Vicoforte sorge nel cuore della Provincia Granda, seconda “culla” dei re sabaudi che la vissero intensamente, dai Castelli di Racconigi e Valcasotto alle case di caccia disseminate nelle valli. Vittorio Emanuele III partì per l'Egitto il 9 maggio 1947 col titolo di conte di Pollenzo, il borgo che ospita la vasta tenuta regia poco distante da Vicoforte, ove seguì personalmente i poderi modello avviati sin da Carlo Alberto. Infine il Santuario, circondato dal verde e immerso nella quiete propiziata dal vasto spazio tra la sua facciata e la Palazzata, è affiancato dall'antico monastero cistercense, poi seminario vescovile: un complesso identico da secoli e incontaminato. È il Grande Silenzio che si addice al riposo.
Il 7 gennaio 2013, previ ripetuti colloqui con il Rettore del Santuario, la principessa Maria Gabriella di Savoia e il presidente della Consulta espressero al vescovo di Mondovì, monsignor Luciano Pacomio, il “vivo desiderio di congiungere le salme di Vittorio Emanuele III e della regina Elena in Italia” e precisamente nel Santuario di Vicoforte, “che bene si addice ad accoglierle”. Prospettarono una cerimonia funebre da celebrare “in forma strettamente privata, così unendo in morte due italiani che vissero insieme cinquantun anni di matrimonio”.
Anche per far meglio apprezzare il Santuario da quanti ancora non lo conoscevano, il 16 marzo 2013 venne organizzato a Vicoforte il convegno di studi “Incontro Umberto II. Trent'anni dopo” con la partecipazione di Amedeo di Savoia, duca di Aosta, che nel 1997 aveva presieduto a Vicoforte il convegno su “L'Italia nella crisi dei sistemi coloniali fra Otto e Novecento”, con la partecipazione di Eddy Sogno, Oreste Bovio, Franco Bandini, André Combes, Fernando Garcia Sanz, Antonio Piromalli e altri storici. A conclusione dell'incontro del 2013 la presidente della Provincia di Cuneo, Gianna Gancia (poi consigliere regionale del Piemonte e dal 2019 deputata al Parlamento europeo), nel preveggente discorso “Casa Savoia nella memoria della Granda” disse: “Sentiamo il dovere di accogliere nella nostra terra le salme di chi certamente amò la Granda, il Piemonte, l'Italia: Vittorio Emanuele III, le cui spoglie giacciono ad Alessandria d'Egitto, in una landa ogni giorno a rischio; e la regina Elena sepolta a Montpellier. Le loro salme sono emblema di una separazione, di una lontananza, che viviamo come una lacerazione da una parte di noi. Lo Stato non fa? Facciamolo noi d'intesa con la Principessa Maria Gabriella di Savoia, che bene conosciamo quale custode delle memorie della Casa. Dobbiamo averne il coraggio”.
Il 22 aprile 2013, sentiti il consiglio di amministrazione del Santuario e il suo rettore, il vescovo di Mondovì, Luciano Pacomio, accolse l’istanza della Principessa e della Consulta. Ricordò che Carlo Emanuele I in visita al Pilone dal quale ebbe origine il Santuario aveva affermato “questa terra è santa, deponiamo i vecchi calzari”. Chiese però l'impegno a “mantenere il profilo strettamente privato” della tumulazione, da attuare “nella forma più discreta, con la collaborazione dei Responsabili del Santuario”. Avvalorò l'iniziativa alla luce della parola del salmo 39,13: “Siamo tuoi ospiti, pellegrinanti, come tutti i padri nostri”. Così andava fatto. E così venne fatto.
Quattro anni dopo, a coronamento di lunghi preliminari sorti da fortunate convergenze, il 10 maggio 2017 il principe Vittorio Emanuele di Savoia e la principessa Maria Gabriella a nome delle sorelle Maria Pia e Maria Beatrice scrissero al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, auspicando che il Centenario della conclusione della Grande Guerra offrisse motivo per congiungere le salme del “Re Soldato” e della sua Consorte “in Italia”, senza alcuna indicazione di luogo.
Previ numerosi incontri con il Rettore e il presidente della Consulta, l'architetto Bertano approntò il progetto in fitto dialogo con la Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per le Province di Alessandria, Asti e Cuneo. Venne avviato l'intervento nella Cappella di San Bernardo per “la realizzazione di monumenti/arche funerarie in marmo” in cui deporre “i resti di due persone meritevoli di speciali onoranze”, non nominativamente specificate. Il 6 novembre il vescovo e il rettore inoltrarono alla Soprintendenza il progetto, che fu approvato.
Con rapidità e assoluta riservatezza vennero espletate le complesse procedure previste dalla deliberazione della Giunta Regionale del Piemonte 8 maggio 2012, n. 27-3831 per il rilascio di “autorizzazioni concernenti l'individuazione di siti idonei a tumulazione in località differenti dal cimitero ex art. 105 D.P.R. 10 ottobre 1990, n. 285 e art. 12 L.R. n. 2020/2007”. Acquisiti ope legis tutti i documenti richiesti, ebbero corso estumulazione, traslazione e ritumulazione. Il 17 dicembre, al termine della sepoltura di Vittorio Emanuele III, il conte Radicati precisò che tutto era avvenuto “nelle forme proprie di una cerimonia privata”, “di Famiglia”.
Alcune incomprensioni
Alle 21 del 15 dicembre 2017 Vittorio Emanuele di Savoia emanò una “nota” sulla tumulazione della salma della regina Elena “presso il Santuario di Vicoforte”. Deplorò che fosse avvenuta “in totale anonimato” e rivendicò il Pantheon per “il riposo dei sovrani sepolti in esilio”. Con encomiabile tempestività il 18 con i familiari e ampio seguito egli rese omaggio alle tombe a Vicoforte. Ribadita la richiesta di immediato trasferimento delle salme al Pantheon, lamentò che la traslazione fosse avvenuta “in forma occulta”. In un quotidiano di Roma venne persino insinuato un oscuro baratto tra intervento del Capo dello Stato e consegna alla Presidenza della repubblica di misteriose quanto inesistenti “carte” sull’esito del referendum del 2-3 giugno 1946. Fandonie.
La traslazione suscitò un ventaglio dichiarazioni polemiche contro la figura di Vittorio Emanuele III, colpevole dei tre “colpi di Stato” secondo lo “storico” Luigi Salvatorelli, a volte indulgente a polemiche inconsistenti. Secondo lui il re era responsabile dell'intervento dell'Italia nella Grande Guerra il 24 maggio 1915; della mancata proclamazione dello stato d'assedio e dell'incarico a Mussolini di formare il governo (28-31 ottobre 1922); della revoca di Mussolini (25 luglio 1943, quasi sia un demerito), nonché, in aggiunta, della mancata difesa di Roma e del suo abbandono alla proclamazione dell'armistizio il 9 settembre (la cosiddetta “fuga a Brindisi”). Altri aggiunsero la firma delle leggi razziali nel 1938 e le sue conseguenze di lungo periodo nel 1943-1945, particolarmente gravi nelle regioni governate dalla Repubblica sociale italiana e di fatto occupate dai tedeschi (al di fuori, dunque, da ogni responsabilità diretta del re e del governo Badoglio).
I promotori della traslazione avevano messo in conto la delusione dell'Istituto nazionale per la Guardia d'onore alle Reali Tombe del Pantheon (agevolmente componibile con l'adozione, in forma discreta da convenire con le autorità competenti a consentirla, della “guardia” anche alle tombe di Vicoforte) e l'irritazione di chi indica nel re (anziché, come è, nel Parlamento) il “responsabile” delle leggi razziali. Qualcuno ritenne uno sgarbo non essere stato previamente informato. Non tutti capirono che era un funerale “della Famiglia”, non “della Casa”, e che pertanto esigeva il necessario riserbo, sia per rispetto della precisa richiesta del vescovo di Mondovì, sia per scongiurare inopportuni schiamazzi di guitti dell'ultim'ora e, peggio, manifestazioni ostili, che avrebbero turbato la solennità dell'evento: il ritorno dei Reali nella loro terra, sotto la cupola ellittica più grande del mondo.
Sin dal 16 dicembre altri sedicenti “monarchici” protestarono che “tutti i Reali d'Italia” dovevano “quanto prima trovare sepoltura nell'unica sede ad essi deputata: la Basilica del Pantheon”. La complessa e impegnativa sepoltura nel Santuario di Vicoforte (da taluno sminuito a “chiesetta di campagna”) doveva dunque essere considerata del tutto effimera e sanata con altra immediata traslazione. Parlare è facile. Altra cosa è fare.
Tra le tante professioni di indignazione (“istituti storici”, parlamentari, circoli e associazioni varie) il sindaco di una città di qualche peso nella “Granda” dichiarò che non sarebbe mai andato a pregare in un santuario contaminato dalla salma di quel re. La preghiera chiede forse un “luogo” che non sia l'“anima”?
A cospetto di tante dichiarazioni polemiche il presidente della Repubblica e quello del Consiglio dei ministri, Paolo Gentiloni, motivarono il concorso alla traslazione come “gesto umanitario”. Riecheggiò quanto proposto dal vescovo di Mondovì: la “carità” nei confronti di “due persone meritevoli di speciali onoranze”, provate dal lutto (la morte della figlia Mafalda d'Assia in campo di concentramento in Germania; la detenzione da parte nazista della figlia minore, Maria) al pari di tanti italiani, “pellegrinanti, come tutti i padri nostri”.
Per prevenire gesti inconsulti, il prefetto di Cuneo dispose che la cancellata della Cappella di San Bernardo rimanesse chiusa sino a quando le tombe fossero tutelate, come sono, da videosorveglianza e sistema di allarme. Dal 28 dicembre 2017, 70° della morte di Vittorio Emanuele III, esse furono meta di un numero crescente di “boni viri” d'ogni Paese che si raccolgono in meditazione su monumenti evocativi della Storia e, senza bisogno di essere cortigiani, ripetono con Giacomo Leopardi: “la vostra tomba è un'ara”.
Settantacinque anni dopo la discussa vittoria della Repubblica al referendum sulla forma dello Stato (2-3 giugno 1946), al di là di dispute irrilevanti e di incomprensibili silenzi, la Traslazione delle reali salme a Vicoforte può forse propiziare la rivisitazione storiografica del lungo travagliato regno di Vittorio Emanuele III e nuove risposte ai molti interrogativi ancora aperti sull’ultimo mezzo secolo della monarchia in Italia.
Aldo A. MOLA
DIDASCALIA. Se ne parla nel libro “Il Regno di Vittorio Emanuele III (1900-1946), II- Gi anni delle tempeste (1938-1946). Meditazioni, ricordi e congedo”, atti di un convegno svolto a Vicoforte il 10 ottobre 2020 (ed. BastogiLibri).