La “domanda di serenità” raccomandata dal Re ai “politici”.
Nel discorso di fine anno, anticipato “una tantun”a Natale, agli spagnoli, variegato universo di genti e di lingue, Re Filippo VI di Borbone ha detto che in una società aperta e interconnessa qual è l'attuale migrazioni e attenzione per l'ambiente devono essere al centro della “politica”, chiamata a rispondere alla “domanda di serenità” che sale dai cittadini. Come altri popoli d'Europa, gli spagnoli sono angustiati dal “discorde rumore di fondo” dei tanti che, per imporsi e prevalere, urlano e gesticolano, seminando inquietudine, pessimismo e sfiducia nel futuro, proprio mentre, grazie ai progressi della scienza in ogni campo, l'uomo può migliorare rapidamente “lo stato sociale e democratico di diritto” i cui lineamenti sono scolpiti nella Costituzione. Le parole di Filippo VI sono un invito garbato ad abbassare i toni e a riscoprire il dovere/piacere del dialogo e della comprensione reciproca. Gli adulti, gli anziani, i vecchi debbono dare il buon esempio, anziché lamentare che i “giovani” siano “ni ni”: né studiano, né lavorano. Chi li ha dis-educati?
“Dodici apostoli” sul Colle più alto
Identico monito è proposto dal giurista e storico Tito Lucrezio Rizzo in “Mattarella. L'eloquenza della società” (Herald Editore, Roma, novembre 2024), da leggere nell'attesa del sempre più seguito discorso presidenziale di fine anno. Il titolo del volume riecheggia quello del profilo del Presidente tracciato da Rizzo a conclusione del robusto volume “Il Capo dello Stato dalla monarchia alla Repubblica, 1848-2022 (Herald, 2023). Dopo un saggio sul periodo regio, l'autore passò in rassegna i “dodici apostoli” che si sono alternati al Quirinale dal 1946 a oggi. A capo dello Stato si sono susseguiti tre napoletani veraci: Enrico De Nicola, presidente provvisorio dal 1946 al 1948; Giovanni Leone, giurista di chiara fama e statista tanto integro quanto perseguitato sino alle dimissioni anticipate, e Giorgio Napolitano. Primo presidente rieletto alla suprema carica dello Stato, questi aprì il secondo mandato con un discorso sferzante. I parlamentari lo subissarono di applausi e, nei fatti, beffardamente lo ignorarono. Altri sei presidenti sono originari dell'antico regno di Sardegna: i piemontesi Luigi Einaudi, monarchico e liberale, il socialdemocratico Giuseppe Saragat, e Oscar Luigi Scalfaro (novarese di famiglia originaria della Calabria); i sardi Antonio Segni e Francesco Cossiga; e, infine, il ligure Sandro Pertini (1978-1985), di cui Tito L. Rizzo ebbe l'onore di essere “ghost writer”. La Toscana dette alla Repubblica due presidenti: Giovanni Gronchi, nativo di Pontedera, già sottosegretario di Stato per il partito popolare italiano all'alba del governo Mussolini (1922) e poi deputato della Democrazia cristiana sin dalla Costituente; e il livornese Carlo Azeglio Ciampi, che agli italiani ripropose il Tricolore e il Canto Nazionale. Sembrava che il vivaio dei Capi dello Stato fosse circoscritto a un territorio esclusivo, quasi predestinato. Niente Lombardo-Veneto, né Emilia, Marche, Abruzzo, Puglia… Se ne aveva tacita conferma anche dalle candidature apparentemente solidissime, ma poi sfumate. Mentre nel 1948 De Gasperi era convinto di far eleggere il lucchese Carlo Sforza ma dovette abbandonarlo per convergere su Einaudi, l'abruzzese Franco Marini, quasi sicuro ai blocchi di partenza quale presidente del Senato non fu eletto. Come accadde al reggiano Romano Prodi, bruciato “in nuce” da cento voti dei suoi stessi potenziali sostenitori. Grazie all'abile regia di un toscano, Matteo Renzi, che lo fece scendere in campo al quarto scrutinio, con l'elezione al Colle più alto (665 voti: quasi due terzi dell'assemblea) Mattarella spezzò l'incantesimo negativo e segnò l'ingresso di un siciliano al Quirinale. Era il 31 gennaio 2015, quasi dieci anni addietro. Appena eletto visitò le Fosse Ardeatine, il cimitero monumentale ove sono raccolte le 335 vittime della rappresaglia della Germania di Hitler in risposta all'attentato messo a segno a Roma il 23 marzo 1944 da un Gruppo di azione partigiana del Partito comunista italiano contro un reparto tedesco. Mattarella appellò l'Europa e il mondo a unirsi “per sconfiggere chiunque voglia trascinarci in una nuova era di terrore”. Era il presentimento del tempo che stiamo vivendo: guerre di sterminio condotte con armi sempre più micidiali, a dimostrazione di quanto l'ingegno possa industriarsi per fare il male anziché il bene. “La Luce è venuta nel mondo ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie” si legge nel Vangelo di Giovanni (3, 19). Se ne vedono gli effetti.
La forza suasoria della parla sommessa
Come infondere ravvedimento e riportare sulla retta via? Con la parola: eloquente nella sobrietà, come osserva Rizzo. È la cifra dei “Discorsi del Presidente”, pronunziati con occhio sereno e un sorriso misurato, spesso venato da un trasalimento che sa di mestizia e di speranza nella redenzione: sentimenti propri del cattolicesimo sociale nel cui solco plurisecolare Mattarella si è formato. Evocando Luigi Einaudi nel 150° della sua nascita, lo scorso ottobre qualcuno ha osservato che dalla prima giovinezza lo statista ed economista piemontese “non studiò da presidente della Repubblica. Semplicemente studiò”. Lo si può ripetere di Mattarella. Nato il 23 luglio 1941 a Palermo da Bernardo (1905-1971), autorevole esponente del partito popolare, poi della democrazia cristiana e cinque volte ministro della Repubblica, e da Maria Buccellato (1907-2001). Fratello di Piersanti, presidente della Regione Siciliana, assassinato da Cosa Nostra nel 1980, di Antonino e Caterina (morta l'anno della sua elezione al Colle), Sergio Mattarella crebbe a Roma. Allievo dei Fratelli maristi delle Scuole e iscritto all'Azione cattolica, si laureò a 23 anni in giurisprudenza con una tesi sulla funzione dell'indirizzo politico. Avvocato specializzato in diritto amministrativo, alla professione forense accompagnò la docenza universitaria, da assistente ad associato, sino al 1983, quando fu eletto deputato e lasciò la cattedra e, con nobile gesto, lo stipendio connesso. A sollecitarne l'impegno nella vita politica fu il lungimirante segretario della Democrazia cristiana Ciriaco De Mita. Gli elettori della circoscrizione Sicilia occidentale lo premiarono con quasi 200.000 preferenze. Era tempo di rinnovamento: per il quarantaduenne democristiano esordiente alla Camera dei depuati, la politica è impegno morale, sull'esempio di Aldo Moro.
L'elezione al Colle di un giurista “al di sopra delle fazioni”
Nel 2015 le dimissioni di Napolitano, eletto quale esponente della Sinistra, aprirono la via a un candidato di area progressista ma meno “militante” di lui, osannato da cronachisti e biografi come “Re Giorgio”: una nomea che, a ragion veduta, non gli giovò. Mattarella aveva lasciato la tessera della Democrazia cristiana sin dall'elezione al Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, seguita da quella a giudice della Corte costituzionale: una decisione assunta per evidenziare l'assoluta indipendenza nell'esercizio di cariche che escludono condizionamenti partitici. Aveva dunque i requisiti per essere da subito il presidente di tutti gli italiani. Nel 2013, in vista della successione a Napolitano, il suo nome era già stato proposto con quelli del democristiano Franco Marini e del socialista Giuliano Amato da Luigi Bersani, segretario del Partito democratico, a Silvio Berlusconi e a Mario Monti (Scelta Civica) per una candidatura unitaria al Quirinale. Fu scelto Marini, che però non decollò. Dopo molti estenuanti scrutini a vuoto, la crisi istituzionale fu scongiurata con la rielezione di Napolitano. Alle sue dimissioni, il 29 gennaio 2015, su indicazione di Matteo Renzi il Partito democratico propose quale candidato unico Sergio Mattarella e decise di votarlo dal quarto scrutinio, quando fu eletto. Ebbe il sostegno di Sinistra Ecologia Libertà, Scelta Civica e Area Popolare. Nel corso del suo primo mandato la presidenza del Consiglio passò da Renzi a Paolo Gentiloni (dicembre 2016), che si dimise dopo le elezioni anticipate del 4 marzo 2018, dall'esito incerto. Dopo lunghe consultazioni e il conferimento di un mandato esplorativo alla presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, che ebbe esito negativo, Mattarella prese atto della convergenza del Movimento 5 Stelle e della Lega per la formazione di un governo presieduto dall'avvocato Giuseppe Conte, ma non accolse la proposta di Paolo Savona a ministro dell'Economia e delle finanze. Da posizioni diverse il “pentastellato” Luigi Di Maio e Giorgia Meloni, per Fratelli d'Italia, ventilarono il proposito di accusare Mattarella di “attentato alla Costituzione” in base all'articolo 90 della Carta. Una enormità spropositata. Fu un vero e proprio assalto al primo magistrato d'Italia. Era già accaduto quando con un gruppo di parlamentari “comunisti” accusò Francesco Cossiga di alto tradimento della Carta. Il Presidente incaricò l'economista Carlo Cottarelli che accettò con riserva ma il 31 maggio rinunciò, informato che stava nascendo un sofferto accordo su un “contratto” tra due forze presenti in Parlamento. Si aprì la via al governo presieduto da Conte, con Savona ministro agli Affari Europei. Il “contratto” conteneva clausole anticostituzionali, come l'esclusione dall'esecutivo di appartenenti alla Massoneria, una associazione non riconosciuta in Italia, ma neppure vietata. Anche i matrimoni sono “contratti”, ma non sempre reggono. Altrettanto accadde a quello tra pentastellati e leghisti, anche per l'intemperanza di Matteo Salvini che ventilò la pretesa di “pieni poteri”. La maggioranza deflagrò nell'agosto 2019. Il 5 settembre nacque il governo Conte II, con il sostegno dei 5 Stelle, del Partito democratico e di LeU. Anche quella coalizione ebbe breve durata. Con le dimissioni dei ministri di Italia Viva, guidata da Matteo Renzi, si aprì la lunga crisi conclusa con l'incarico a Mario Draghi, già presidente della Banca Centrale Europea. Il suo governo, insediato il 31 febbraio 2021, ottenne il voto favorevole di tutti i partiti, a eccezione di Fratelli d'Italia e di Sinistra italiana. Il nuovo esecutivo sembrava dovesse/potesse durare a tempo indeterminato per il prestigio del suo presidente e perché il Paese, alle strette dopo la pandemia, aveva bisogno di raccoglimento per risalire la china. Non fu così. Lo fa intendere il volume di Tito Rizzo.
Tito L. Rizzo alla ricerca del “segreto” di Mattarella
Maturità classica al “Giulio Cesare” della nativa Roma, “Alfiere del Lavoro”, laureato ventiduenne in Giurisprudenza alla “Sapienza”, quarant'anni al Quirinale, ove fu Consigliere capo servizio per la sicurezza, cinque volte Premio della cultura della presidenza del Consiglio, autore di dodici monografie e 540 pubblicazioni, Tito Lucrezio Rizzo premette al nuovo libro parole che meritano di essere riportate pari pari. Il Capo dello Stato, egli scrive, è un “potere neutro”, «il che non significa potere inerte bensì al di sopra delle parti, in una funzione di imparziale arbitraggio, resa ancor più preziosa in una fase storico-politica come l'attuale, dove non vi sono più in campo delle squadre con dei colori ben identificabili, bensì delle aggregazioni fluide e dove non è infrequente che i giocatori cambino maglia durante la partita, passando in campo avversario. Ma ci sono ancora le “maglie”, cioè dei partiti solidamente strutturati con dei programmi oggettivamente identificabili su precise identità politiche (liberali, popolari, socialisti)?» No, risponde Rizzo: oggi prevale «la capacità affabulatoria dei “Pifferai di Hamerlin” di turno, degli imbonitori da circo equestre, a coagulare dei consensi drogati da slogan con alto impatto emotivo, senza il necessario “humus” della cultura, presupposto indispensabile ad ogni consapevole discernimento critico, assente il quale non si afferma la democrazia, ma la sua tragica deformazione della demagogia». «In questo nebuloso scenario per la navigazione a vista della nave “Italia”, con il rischio che andasse a sfracellarsi sugli scogli dell'antipolitica, uscendo dalla rotta europea, l'equilibrio dimostrato da Mattarella durante il suo primo mandato, temprato da pregresse immani tragedie familiari, ha rappresentato il miglior biglietto da visita del nostro Paese in ambito internazionale, supportato al tramonto della sua prima investitura, da un altro grande italiano – anche in ambito internazionale – come il presidente del Consiglio Mario Draghi.» Rizzo rileva inoltre che il magistero del Presidente si è fatto più incalzante nel “semestre bianco”, quello “notoriamente crepuscolare”. Non sorprende dunque che nel gennaio 2022, com’era già accaduto nove anni prima con Napolitano, i “grandi elettori” del Quirinale, dopo giorni di confusione, dovettero chiedere a Mattarella di accollarsi il secondo mandato, nonostante egli avesse già predisposto nei dettagli il suo “nunc dimitte”. Ebbe 832 voti su 1011: una percentuale che premiava il suo prestigio e sapeva di atto di contrizione del Parlamento. L'armonia, però, non durò a lungo. Il 14 luglio 2022 il Movimento 5 Stelle si assentò su un voto di fiducia. Già dimissionario, richiesto da Mattarella di ripresentarsi alle Camere per un chiarimento ulteriore, posta la questione di fiducia su un mozione a proprio sostegno, il governo Draghi venne affondato per l'assenza dal voto di Forza Italia, Lega e 5 Stelle. Al Presidente non rimase che sciogliere anticipatamente le Camere e indire le elezioni del settembre 2022. Alle urne, disertate dal 40% degli elettori, Fratelli d'Italia risultò il partito più votato (ma, a conti fatti e al di là dell'enfasi, ottenne il favore di un modesto 16% degli elettori: un po' poco per “fare la storia” a propria immagine e somiglianza). Il 21 ottobre Mattarella incaricò Giorgia Meloni di formare il governo, tuttora in carica: coalizione di Fratelli d'Italia, Lega, Forza Italia e “Moderati”.
L'Arbitro, crucciato dall'astensionismo
Proprio gli ondeggiamenti delle cangianti maggioranze hanno fatto di Mattarella il perno della vita pubblica dell'Italia al suo interno e di fronte alle Cancellerie di tutti gli Stati. A cospetto della sempre più vasta e preoccupante astensione dei cittadini dal voto, sia amministrativo sia politico, il Presidente, grazie al suo ruolo di garante della legalità costituzionale, si è imposto quale caposaldo dello Stato nella comunità internazionale. È quanto emerge dall’antologia di Sergio Mattarella curata da Tito Lucrezio Rizzo, suddivisa in cinque capitoli: dalla cattedra universitaria al Quirinale; la giustizia come sostanza prima che come forma; la centralità del ruolo della donna; lo scenario internazionale; l'universo giovanile e la cultura. Fermo nel rispetto dei limiti e delle competenze, Mattarella non ha mancato di ricordare: «Io ho le mie opinioni, ma ho il dovere di accantonarle, perché se le scelte sono fatte da Organi cui queste competono secondo la Costituzione, devo rispettarle e le rispetterò sempre, naturalmente.» Nondimeno egli ha fatto quanto in suo potere per ribadire l'amicizia speciale dell'Italia con la Repubblica francese e con ogni altro Stato dell'Unione Europea, come dei membri della Nato e delle Organizzazioni internazionali in favore delle quali la Repubblica ha acconsentito alle limitazioni della propria sovranità “necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni”, come recita l'articolo 11 della Costituzione. Superfluo quindi evidenziare la distanza tra la visione dello Stato e della società nella quale Mattarella si è formato e di cui è fautore dai fantasmi di populismo, nazionalismo fanatico, sovranismo qui e là affioranti. Altrettanto vale per i “diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” (art. 2 della Carta), da lui fermamente richiamati e propugnati, e per i “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” nell'ambito della Repubblica “una e indivisibile”, contro ogni tentazione di prevaricazione egoistica di una parte del suo territorio a danno di altre. Stato di recente formazione (ha da poco festeggiato il 160° della proclamazione del Regno, nel 1861), travagliato nella prima metà del Novecento da un trentennio di guerre, dall’occupazione straniera e da una lunga contrapposizione ideologica, per motivi geostorici peculiari l'Italia odierna è un cantiere aperto, che richiede armonia tra tutte le sue componenti e la “serenità” che le è mancata per l'esasperazione del protagonismo di molti suoi “politici” e “narratori”. Il problema tuttora irrisolto non è la riforma delle Istituzioni e, meno ancora, del rapporto equilibrato tra Capo dello Stato, parlamento, governo nazionale e amministrazioni regionali e locali – chiaro nella Costituzione, molto confuso e scoraggiante nella realtà quotidiana – bensì è il varo di una legge elettorale capace di rianimare la sempre più fievole partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. Tanti si domandano perché recarsi alle urne se non possono scegliere liberamente il proprio rappresentate e debbono votare candidati “preconfezionati” e spesso poco appetitosi? Senza una legge elettorale adeguata ai tempi la divaricazione fra cittadini e Stato, in tutte le sue articolazioni, è destinata a crescere, sino alla crisi finale. Perciò i Discorsi del Presidente resteranno memorabili: non solo in sé e per sé, ma anche per misurare, nel tempo, se e quanto quella di Mattarella sia rimasta “vox clamantis in deserto”. Quando si dovesse constatare che chi doveva tenerne conto non lo fece (accadde già con il secondo mandato di Napolitano), si potrà stabilire a chi addebitare il saldo negativo della Repubblica. Non certo ai suoi Presidenti, ma a una “classe dirigente” che tale è solo per etichetta, non per la sostanza.
Aldo A. Mola
BOX: Mattarella deputato e ministro. Ripercorrere la vita politica di Sergio Mattarella dall'ingresso alla Camera quale deputato (1983) e al governo come ministro per i rapporti con il Parlamento (governi Goria e De Mita, 1987-1989), della Pubblica istruzione (governo Andreotti VI, 1989-1990) e della Difesa (governi D'Alema e Amato, 1999-2001) travalica le dimensioni di un articolo, per quanto ampio. Va almeno ricordato che, già vicepresidente del Consiglio e autorevole componente della Commissione parlamentare per le riforme costituzionali presieduta da Massimo D'Alema, nel 2008 Mattarella non si ricandidò alla Camera. Aveva dato. Eletto componente della Corte Costituzionale (2011-2015), non prevedeva certo l'elezione a Capo dello Stato, né, tanto meno, il conferimento del secondo mandato presidenziale. FOTOGRAFIA: Il professore e avvocato Tito Lucrezio Rizzo, autore di “Mattarella. L'eloquenza della sobrietà” (Herald Editore). Studioso di vasti orizzonti, con la dott.ssa Marzia Taruffi e altri, fa parte del Comitato nazionale per la celebrazione del IV centenario della nascita dell'astronomo Gian Domenico Cassini (2025).