L'ITALIA FINISCE A BAGNO TRA CORTOCIRCUITI E AUTOCOMBUSTIONE
di Aldo A. Mola
Presto cadono le foglie per l'inconcludenza del Governo
L'Italia rischia grosso entro poche settimane. Le foglie cadranno prima che arrivi l'autunno. Affannati a rincorrere gli scandalosi ritardi che essi stessi causano, ministri, parlamentari e “partiti” vari non vedono o fingono di non vedere la realtà. Sul Colle più alto, però, non possono non sapere e prima o poi qualche “segnale” dovranno pur mandare. Partiti, movimenti, cartelli, gruppetti sorgono da iniziative spontanee o spintanee: sono il cosiddetto sale della democrazia ma rimangono fuori dalla portata dei poteri istituzionali. Il governo invece no. Il presidente del Consiglio non nasce per partenogenesi. È nominato dal Capo dello Stato, che poi nomina ministri e sottosegretari le persone designate dal presidente del Consiglio al termine di defatiganti nozze alchemiche tra le correnti nelle quali sono spappolati partiti e movimenti.
Ordinariamente le persone si ripartono secondo l'antica massima: “Non fare domani quanto potresti fare oggi”. È la regola dell'Europa occidentale, protagonista delle grandi esplorazioni di terra e di mare, di rivoluzioni industriali, dell'accelerazione delle scienze e delle loro applicazioni in ogni aspetto della vita quotidiana. Altri adottano la regola opposta: “Non fare oggi quel che potresti fare domani”. Non per riservare la giornata alla meditazione, in attesa dell'estro che dà ala a nuove invenzioni, ispirate dai passi all'indietro non meno che da quelli in avanti, ma per inclinazione all'ignavia: “quieta non movere”. Lo osservarono tanti antropologi tra Otto e Novecento: il “progresso” è come certe processioni propiziatorie: ogni due passi innanzi se ne fa uno all'indietro. O uno di lato, come i portatori del Cristo Re quando nella sosta prendono forza e innalzano su una sola mano il pesantissimo Crocifisso mentre cantano “El novio de la Muerte”.
Se la persone sono libere di scegliere l'una o l'altra di tali regole di condotta (e di cambiarla quando vogliono), vi è però la terza opzione: “Non fare domani quello che devi fare oggi”. Questa è, deve essere, la norma della “politica”: cogliere le urgenze e al tempo stesso individuare le mete lontane, decidere e fare, non tanto per fare, bensì con lungimiranza. Da anni però il dover fare è la regola ignorata dai governi, privi di capacità di sintesi. Le legislature si sono susseguite tra inerzia accidiosa e tenzoni nutrite di riserve, rivalse, veleni, con discredito di Poteri (governo, Camere) e di Ordini (è il caso della magistratura: i più trovano difficoltà a distinguere le moltissime “mele sane” dalle “marce”, anche perché lo sfrido viene continuamente rinviato).
La carenza di educazione politica di tanta parte dell'attuale rappresentanza parlamentare ha fatto smarrire la distinzione tra Governo e Stato, tra partiti e interessi generali permanenti dei cittadini, sempre più indignati dinnanzi alla colpevole assenza di chi deve provvedere. La paralisi ormai permanente della circolazione autostradale tra Lombardia e Piemonte verso la Liguria è la punta dell'iceberg del fallimento del governo, inetto, avulso dalla realtà e comprensibilmente identificato con lo Stato, tacito, assente, esoso e direttamente o indirettamente connivente con chi fa vivere male i cittadini. Sino a quando sopporteranno?
Un governo arrogante e inconcludente
L'attuale Esecutivo nacque dall'emergenza: la decisione di Matteo Salvini di sfiduciare il presidente Conte, cioè il governo in carica (e quindi se stesso, pur senza dimettersi) per ottenere elezioni immediate. Allo svarione istituzionale si aggiunse l'infelice aspirazione a “pieni poteri”. Fece rizzare i capelli anche a chi apprezzava altri aspetti della sua azione e indusse a fare “tutto quello che occorre” per tenerlo fuori da qualsiasi futura combinazione governativa. Così nacque la coalizione attuale, destinata a non durare se non a prezzo di non fare nulla di decisivo. Che cosa hanno di accomunante gli anti-sistema del Movimento Cinque Stelle e la parte meno incolta, più responsabile e strutturata del Partito democratico? Niente. Quale collante unisce gli estremisti accampati sotto la sigla “Liberi e Uguali”, nati per scissione dal PD, e i parlamentari grillini? Nulla, anche se talora convergono. Il mastice del Governo attuale è il rinvio delle scelte a fronte dei pronunciamenti elettorali di alcune regioni, niente affatto omogenei. Nel frattempo l'Esecutivo ha tirato a campare, senza risolvere nessuna delle grandi e piccole “partite” aperte da anni, e pertanto è guardato con sospetto dalla Commissione dell'Unione Europea.
D'improvviso in suo soccorso è piombata l'emergenza sanitaria della covid-19: una macabra “opportunità”. Il 31 gennaio 2020 Conte chiese qualche cosa di molto simile ai “pieni poteri” sino al 31 luglio (non ci siamo ancora arrivati), salvo prolungamento al 30 gennaio 2021. Al tempo stesso, con la connivenza di virologi e “scienziati” vari, dichiarò che non vi erano pericoli gravi alle porte e che comunque tutto era pronto per fronteggiarli. Chiacchiere. Poi, a suon di decreti del presidente del consiglio dei ministri e di decreti-legge, l'ordinaria amministrazione fu sostituita da misure “di emergenza”. Conte si appellò nientemeno che al “giudizio della storia”. La quale dirà.... Conte è un campione di arroganza, di inconcludenza e di vanità.
Indifferente alle interpretazioni letterarie e dolciastre della loro temporanea forzata dhimmitudine, appena ha potuto mettere piede fuori casa non solo per correre alle edicole (il crollo delle vendite dei quotidiani certifica l'opposto) o in farmacia o ad accompagnare animali domestici per far fuori i loro bisogni, la stragrande maggioranza dei cittadini ha risposto come le reclute appena uscite dalle caserma al “rompete le righe”. Ognun per sé sugli usati passi, verso navigli, rii, colli, lungomare... Successivamente, ogni volta che si è prospettata una nuova “zona rossa” è riecheggiato il secco monito di Oscar Scalfaro: “Non ci sto”. Non sarà facile imporre agli italiani nuove sottomissioni a “ordinanze” irragionevoli, al limite del capriccio, a farsi multare per motivi risibili, a farsi esporre al pubblico ludibrio e inseguire da elicotteri o veicoli in assetto di guerra solo perché stesi al sole. Va anche ricordato che l'Italia è l'unico Paese ad aver chiuso le scuole a marzo e che il ministro della Pubblica Istruzione ha scaricato la responsabilità della loro riapertura su enti locali (anzitutto le Province, esangui fantasmi) e sui presidi; ma non è questa la sede per parlarne.
“Settembre”: l' “isola ecologica” della politica
A cospetto delle urgenze, delle decisioni non rinviabili e, anzitutto, del rispetto dei diritti civili e politici dei cittadini questo governo si è condotto come certe massaie alle prese con le “grandi pulizie” di casa. Dal corridoio in avanti, camera per camera, bagno dopo bagno ha fatto l'inventario di ciò che occorre tenere e di quanto va buttato. Ma ha lasciato tutto com'era. Ha rinviato. Così i rifiuti si sono ammassati. Ma prima o poi andranno smaltiti. Il governo (Conte-Lamorgese) ha individuato l'“isola ecologica”: il 20 settembre. Il rinnovo di consigli regionali e comunali scaduti da tempo è stato differito al 150° di Porta Pia: troppo presto per le regioni a vocazione turistica e comunque caratterizzate da clima ancora estivo; troppo tardi per comuni ormai in vesti autunnali. Dunque una data sbagliata, anche perché a ridosso della riapertura delle scuole (se e come, è tutto da vedere). Nella stessa data gli italiani, anche delle regioni e dei comuni non coinvolti da elezioni amministrative, sono chiamati a confermare o no la riduzione dei deputati da 630 a 400 e dei senatori da 315 a 200.
Questa “riforma”, nata dall'odio (non solo “grillino”) contro la politica, se approvata avrà conseguenze devastanti di lunghissimo periodo sul già esausto rapporto tra cittadini e istituzioni.
Alcuni maggiorenti del PD hanno richiamato Conte ai “patti” tra soci del governo: l'avvio della nuova legge elettorale entro fine luglio in cambio del sostegno al referendum. Questo vuol dire mettere il carro avanti ai buoi. Se proprio necessaria, la futura legge elettorale andrà calibrata su due capisaldi: l'esito del referendum confermativo sulla riduzione del numero dei parlamentari (non scontato) e il disegno della nuova mappa dei collegi. Questa non è una variante dipendente dagli accordi tra partiti di governo, magari con apporti di qualche “manina” mirante a tutelare aspirazioni e/o privilegi di qualche “politico professionale”. I nuovi collegi vanno configurati sulla base di parametri rispondenti a criteri oggettivi: estensione del territorio, demografia, rete delle comunicazioni, un minimo di rispetto della tradizione storica per non recidere del tutto il rapporto, sempre più labile ed evanescente, fra elettori ed eligendi, oggi scelti non già dai cittadini ma da camarille sovrastanti i partiti o tramite oscure macchine come la piattaforma Rousseau, estranea alla democrazia parlamentare: senza offesa per chi l'ha inventata e la domina, perché essa stessa si dichiara alternativa all'ordinamento costituzionale. D'altronde dal 1948 il legislatore non ha mai chiarito che l'art. 49 comporta di verificare la democrazia interna dei partiti, oggi del tutto elusa (come si vede dalle risate sarcastiche a ogni richiesta di verifiche congressuali e dalla espulsione dai gruppi per mancati versamenti di quote non dovute). Novant'anni fa la riforma ideata da Alfredo Rocco affidò al Gran Consiglio la determinazione dei “deputati”. Gli elettori dovevano prendere o lasciare. Come staremo dopo la riduzione dei seggi? Il libertà di scelta del rappresentante diverrà pura apparenza. La democrazia parlamentare rimarrà un ricordo del tempo che fu.
Se vince la riduzione dei parlamentari, le Camere attuali sono screditate
Quello che non si dice è però altro e più importante: in caso di conferma della riduzione dei parlamentari le Camere attuali saranno delegittimate, non solo per la continua indecente migrazione di deputati e senatori dall'uno all'altro gruppo, ma perché comunque agli occhi dell'opinione pubblica esse risulteranno abusive: quel che voleva il Grillo Parlante. A quel punto non resterà che tornare alle urne. E il Grillo, come nelle Metamorfosi, risulterà Cicala. Per cortocircuito nasce un'autocombustione che può incenerire l'intero regime costituzionale, a meno che qualcuno non azioni pompe anti-incendio sfiduciando il governo per fermare la crisi prima che tutto crolli.
L'accorpamento al 20 settembre di votazioni eterogenee (referendum, rinnovo di consigli regionali e comunali) ha talmente abbassato il livello del confronto politico che dalle colonne del “Corriere della Sera” Paolo Mieli ha proposto quale (improbabile) panacea dei mali d'Italia l'accorpamento di PD e M5S alle regionali per arginare l'avanzata del centro-destra. In tal modo, però, la contrapposizione tra fronti verrebbe trasferita dal livello nazionale a quello locale (non solo regioni ma anche città metropolitane e comuni) proprio mentre si sta facendo strada la proposta di ritorno al sistema proporzionale, sia pure con qualche correzione in direzione maggioritaria, come quella del 1952, fallita con le elezioni del 1953. Spacciata come “legge truffa”, essa avrebbe salvato il centrismo e accelerato il distacco dei socialisti dal carro comunista. Poiché non tutti i fatti della storia sono notissimi, va ricordato che nel 1953 il PSI era ancora vincolato al Partito comunista italiano, stalinista, dal patto di “unità d'azione” e che nel 1948 si era presentato con il PCI nel Fronte popolare, che ne falcidiò la presenza in Parlamento o lo rese ancora più succubo e in parte inguaribile, come mostrarono i deputati socialisti che nel 1956 non si unirono alla deplorazione della repressione della rivoluzione d'Ungheria da parte dei carri armati sovietici (e perciò furono detti “carristi”).
Ma bene si comprende che la sinistra del Partito democratico voglia mettere alle corde Conte e costringerlo a un patto di ferro con l'ala ministeriale dei Cinque Stelle, per esorcizzare la assoluta necessità dei voti di Forza Italia e di altri gruppi “centristi” ( da +Europa a Calenda a Cambiamo di Giovanni Toti) per far approvare quel benedetto MES di cui l'Italia ha assoluto e urgente bisogno come dell'aria per respirare, senza attendere l'ingorgo di settembre.
La Storia non aspetta e la fame neppure. La somma di politici di professione, cresciuti nel mito del PCI, e di pentastellati (“deputati per caso”, ascesi a ministri, viceministri, sottosegretari) non promette nulla di buono, anche perché si somma alle velleità neo-nazionalista di chi continua a ragionare come se l'Unione Europea non esistesse, come se la Cina fosse colta da un raptus di filantropia a favore di Paesi dell'Occidente sui quali intende affondare le grinfie, aggiungendo, per esempio, il dominio sul porto di Trieste al possesso del Pireo. Quanti strillano per il timore della “troika” hanno idea di quanto fa la Cina a Hong-Kong? E dove guardano costoro mentre il Sultano Erdogan vuol ridurre Santa Sofia a moschea?
Tornare alla Memoria: salpare con Cristoforo Colombo
La prospettiva dell'Italia è drammatica. L'equilibrio tra la ripresa produttiva, con l'avvio almeno delle opere pubbliche approvate e finanziate, e la legalità per ora ha trovato risposta con lo stralcio degli appalti dall'atteso e come sempre tardivo decreto legge sulla “Semplificazione” trascinato oltre ogni limite da Sua Emergenza. La Corte dei Conti ha detto più o meno quel che dell'Italia pensano all'estero: non si migliora il quadro civile abolendo i controlli indispensabili per separare l'affarismo (di per sé niente affatto immorale) dal malaffare (che è altra cosa).
A tenere insieme l'Italia non sono né il prof. Giuseppe Conte e il governo da lui presieduto, sempre più litigioso e inconcludente, né i partiti grandi e piccoli, tendenzialmente ringhiosi, ma quel poco che rimane della memoria nazionale, del culto della storia e del senso dello Stato. Ne scrisse ripetutamente Romano Ugolini, presidente dell'Istituto per la storia del Risorgimento, studioso di specchiata probità, con accorati appelli a ritrovare nel Risorgimento le radici profonde e la linfa perpetua dell'Italia contemporanea. L'unico grande patrimonio da mettere in campo nel dialogo che ci attende con la Commissione Europea e con gli Stati Uniti d'America, ai quali siamo legati da un'alleanza immodificabile e rivelatasi sommamente vantaggiosa in ormai oltre settant'anni, è l' “idea di Italia”, sorta e riaffermata con l'unificazione nazionale, coronata 150 anni fa con l'acquisizione di Roma capitale della Patria.
Da quel momento, con motivato orgoglio, la Nuova Italia rivendicò tutta la storia precedente, sin dall'età romana, e poté anche dirsi fiera dei tanti italiani che concorsero a creare la Civiltà del Rinascimento, ad alimentare le arti e le scienze degli Imperi e degli Stati del Vecchio e del Nuovo Continente. Mentre altrove alcuni pazzoidi ne abbattono le statue, va ricordato Cristoforo Colombo, da celebrare il prossimo 12 ottobre nella Giornata nazionale a lui dedicata dalla Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 20 febbraio 2004, solitamente disattesa ma ora richiamata all'attenzione dal comitato “NessunotocchiColombo”, in difesa della memoria, della storia e della libertà.
Diversamente l'Italia “finisce a bagno”: in acque torbide e infette.
Aldo A. Mola
DIDASCALIA: Anziché nelle “chiare, fresche e dolci acque” cantate da Francesco Petrarca l'Italia rischia di “finire a bagno” in acque fangose e puteolenti (Rembrandt van Rijn, Donna al bagno in un ruscello, 1654 - The National Gallery, London)