Calendari
Napoleone I istituì una festa fissa e una mobile. La prima, ogni 15 agosto, celebrava san Napoleone e il ripristino della religione cattolica in Francia; la seconda ricordava la sua vittoria ad Austerlitz sugli “austriaci” di Francesco II d'Asburgo, ancora sacro romano imperatore, e sui russi dello zar Alessandro I, nonché la sua incoronazione a imperatore dei francesi. Anziché nell'anniversario, il 2 dicembre, questa era fissata la prima domenica di quel mese. I Calendari dell'Impero si aprivano con le prime Olimpiadi e ricordavano la fondazione di Roma, Nabucodonosor, l'inizio dell'era cristiana e la fine dell'impero romano in Occidente. Continuavano con la predicazione di Maometto e la pubblicazione del Corano, il rinnovamento dell'impero romano con Carlomagno, la separazione della Francia dalla Germania, la prima crociata, l'invenzione della bussola, della polvere da sparo e della stampa, la conquista turca di Costantinopoli e via continuando per date capitali sino all'indipendenza dell'“America settentrionale”. Erano i capisaldi di una storia veramente universale, non solo eurocentrica. Bisognava capire il mondo anziché considerarlo “inferiore”. Napoleone era l'uomo che aveva “inventato”(cioè “scoperto”) l'Antico Egitto. Nel primo Ottocento si diffuse in Europa la cognizione che l'universo l'islamico non è affatto univoco, bensì ripartito in scuole e correnti. Primeggiavano sunniti, sciiti, khagiriti, a loro volta suddivisi in una molteplicità di varianti e sin dagli albori contrapposti in guerre sanguinose nelle quali si mescolavano interpretazioni del Corano e pulsioni propriamente politiche per il “possesso” del califfato. Tali divisioni, esacerbate dalla assenza di una dottrina canonica dell'islam, venivano guardate con sufficienza da chi aveva alle spalle il cattolicesimo costantiniano, la certezza di una sola Verità, ma dimenticava volentieri le guerre di religione che per oltre un secolo avevano lacerato la cristianità. Neppure in Francia erano mancate pagine di delitti orrendi mossi principalmente da fanatismo religioso. Tra i tanti spiccano quelli del 23-24 agosto 1572, la “notte di San Bartolomeo”.
L'Apostolo scuoiato vivo
L'Apostolo Bartolomeo (“Natanaele”, “dono di Dio”, nel Vangelo di Giovanni), nato a Cana, martirizzato in Armenia o in Siria, forse scuoiato vivo, protettore, fra altri, di macellai e conciai, è invocato quale antidoto contro il fastidioso herpes labiale. Venerato a Benevento, che dall'838 ne custodisce gelosamente le reliquie, proprio non meritava che il suo nome rimanesse associato alla peggior strage politico-religiosa perpetrata in Francia dall'annientamento dei Càtari, o Albigesi, nella prima metà del Duecento, e quelle innescate dalla Rivoluzione del 1789 e durate, Vandea compresa, sino alla liquidazione dei Giacobini per mano dei Termidoriani il 27 luglio 1794, culminata con l'esecuzione dell'“incorruttibile” Massimiliano Robespierre, ghigliottinato l'indomani con altri capifila del Terrore, come il giovane visionario Saint-Just. La Fede fa la forza
La “notte” legata al nome di San Bartolomeo insegna che le stragi dettate da calcoli politici e fanatismo religioso non sono solo tragico monopolio di Vicino e Medio Oriente odierni ma insanguinarono anche l'Europa cristiana nel corso dei secoli. Benché a tutti noto, va sinteticamente ricordato il contesto in cui maturò la strage degli ugonotti. Dopo quasi settant'anni di guerre per l'egemonia sull'Europa centrale, nel 1559 la pace di Cateau Cambrésis ne segnò la spartizione tra la Francia e gli Asburgo: Ferdinando a Vienna, Filippo II a Madrid, rispettivamente fratello e figlio di Carlo V, il Sacro romano imperatore che abdicò e si ritirò in meditazione nel monastero di San Yuste. Filippo II doveva organizzare l'immenso impero coloniale, dall'America centro-meridionale alle Filippine, reprimere le pulsioni autonomistiche in Spagna, riportare i cattolici al potere in Inghilterra, rovesciando l'anglicana Elisabetta I Tudor, ed esercitare il dominio diretto e indiretto sull'Italia. A suo zio Ferdinando toccava arginare l'avanzata dei Turchi-ottomani verso l'Europa centrale e la loro espansione dal Mediterraneo orientale verso le coste dell'Italia, per secoli bersaglio di scorrerie devastanti. Quelle due immani “missioni” richiedevano compattezza tra sovrani e sudditi. Il loro legame (religio) era la fede cattolica apostolica romana, suggellata nella formula “Credo in unum Deum, Omnipotentem”, cantata solennemente nei Te Deum della Vittoria. Il percorso storico risultò però più accidentato di quanto inizialmente immaginato da Carlo V. Per assicurarsi le spalle, il re di Spagna blindò la dirigenza politico-diplomatico-militare con la “limpieza de sangre”. Islamici e israeliti furono messi dinnanzi all'alternativa: convertirsi o andarsene. I “nuovi cattolici” (morischi e marrani) furono sopportati ma rimasero sospetti e sorvegliati. In molti casi vennero “indagati” come potenziale quinta colonna del “nemico”. La generosa battaglia di Bartolomeo de Las Casas a favore della convertibilità degli ingenui nativi del Nuovo Mondo al cattolicesimo non comportò alcuna tolleranza nei confronti degli “eretici”. Essi andavano sterminati. Molto più complessa fu la geografia religiosa del Sacro Romano Impero, perché sin dall'età di Carlo V vi era invalso il principio “cuius regio, ejus et religio”, solennemente enunciato con la pace di Augusta (1555). Il principe aveva diritto alla uniformità religiosa dei sudditi: una linea praticabile negli Stati di piccole dimensioni incorporati nell'Impero; assai meno in regni vasti e popolosi, come la Francia.
Glorie e sventure degli Ugonotti
Pressoché impermeabile alla diffusione della riforma luterana, la Francia fu invece penetrata dall'evangelismo di Giovanni Calvino, che trovò fertile il terreno già arato dai “poveri di Lione”, seguaci di Pietro Valdo, la cui professione di fede valicò le Alpi e si diffuse nel Piemonte sabaudo. Con l'accordo di Cavour (5 giugno 1561), sottoscritto per il duca dal principe Filippo d'Acaja, il cattolicissimo Emanuele Filiberto concesse ai valdesi libertà di professare il loro culto. Ma poterono praticarlo solo in aree circoscritte, le loro “valli”. Identico principio fu adottato in Francia con l'editto del 1562 a beneficio degli “ugonotti” (denominazione di discussa origine: eidgenossen, cioè “congiunti”, o seguaci di Hugues Besançon?). Come in Germania, Danimarca e Scandinavia prìncipi di prima grandezza si erano convertiti alla riforma luterana, così anche in Francia passarono al culto ugonotto sovrani (come Antonio di Borbone, re di Navarra e Béarn, anche per influenza della moglie, l'austera Giovanna d'Albret) e alti dignitari, quale l'ammiraglio Gaspard de Coligny. Asceso al trono alla morte di Francesco I d'Angouleme, Enrico II di Valois morì per una ferita accidentale in un torneo cavalleresco proprio nell'anno della pace di Cateau Cambrésis. I suoi figli (Francesco II, Carlo IX ed Enrico di Alençon) crebbero sotto influenza della vedova, Caterina de' Medici (della Casa toscana che aveva dato papi Leone X e Clemente VII) e la pressione dei Guisa: il duca Enrico e il cardinale Carlo di Lorena, capifila dei cattolici, contrari a qualsiasi concessione agli ugonotti. Nel 1570 la pace di Saint-Germain en Laye decretò la libertà degli ugonotti nelle piazze di La Rochelle, Cognac, Montauban e La Charité. Ma l'anno seguente la vittoria della Lega Cattolica nella battaglia navale contro i turchi a Lepanto (7 ottobre) restituì impulso alla lotta contro gli eretici. Per riportare alla reciproca comprensione furono pattuite le nozze tra l'affascinante Margherita di Francia, figlia di Caterina de' Medici e di Enrico II, e il re di Navarra, Enrico di Borbone, previa sua conversione al cattolicesimo. Un tempo il romanzo storico La regina Margot di Alexandre Dumas era lettura obbligatoria come Iliade, Odissea ed Eneide e anche in Italia spinse generazioni di garzoncelli a schierarsi idealmente a favore degli ugonotti, identificati con la libertà di coscienza, contro i cattolici, sinonimo di fanatismo intollerante. Per concelebrare le nozze quale coronamento della pace accorsero a Parigi migliaia di ugonotti, orgogliosi che, malgrado la conversione, il loro “principe” entrasse nella Casa di Francia, in un'epoca che aveva veduto molti sovrani morire giovanissimi (era stato il caso di Carlo VIII di Valois, che nel 1494 sottomise l'Italia a soli 18 anni e morì a 24 in un gioco di corte). Enrico era tacitamente candidato alla Corona. Poco prima dell'atteso sposalizio, l'ammiraglio Gaspard de Coligny fu bersaglio di un attentato, non mortale, attribuito ai Guisa. Il peggio doveva venire. La sera delle nozze si scatenò la mattanza. Coligny fu aggredito, assassinato e gettato dalla finestra. Buttato nella Senna, il suo cadavere fu ripescato e profanato con ferocia belluina. Nel frattempo almeno 5.000 ugonotti vennero braccati e uccisi nella sola Parigi. La strage continuò per giorni in tutta la Francia. Il suo bilancio (50.000 vittime secondo alcune valutazioni) è tuttora discusso, come il suo mandante: i Guisa o Enrico di Alençon, il figlio minore di Caterina de' Medici, futuro re di Polonia e poi di Francia come Enrico III, timoroso di essere posposto al Borbone, o la stessa regina madre? Enrico di Borbone scampò alla morte grazie alla giovane sposa, che si fece garante della sua conversione e si preparava al rango di regina, anche per le note inclinazioni di suo fratello Enrico d’Alençon, che amava circondarsi di “mignon”. Enrico di Borbone, tornato tra gli ugonotti, poi nuovamente convertito al cattolicesimo (“Parigi vale bene una messa”), ottenuto l'annullamento del precedente matrimonio e presa in sposa Maria de' Medici, con l'“editto di tolleranza” emanato a Nantes nel 1598 ribadì la libertà di culto degli ugonotti in alcune città e concesse loro ulteriori diritti. Il suo obiettivo dichiarato era che ogni francese avesse in tavola un pollo al giorno. Perciò lo stesso anno non esitò a concludere la “pace dei Pirenei” con la Spagna, premessa per la pacificazione interna e la riorganizzare del Paese dopo decenni di rovinose guerre politico-religiose. Infine si propose una “crociata” contro i turchi, passando dal Piemonte e irrompendo nella pianura padana, dominio diretto e indiretto degli Asburgo di Spagna. Quel sogno fu infranto dal monaco Ravaillac che lo pugnalò a morte: stessa sorte toccata al suo predecessore, Enrico III. Capo del “partito dei politici”, al di fuori e al di sopra delle contese religiose, a suo avviso ormai anacronistiche, questi fu assassinato dal monaco Clément.
La tragica sorte di Jean Calas e Voltaire: processo da rifare...
Morto Enrico IV, per gli ugonotti di Francia le campane iniziarono a mandare rintocchi lugubri. Sotto il regno di Luigi XIII divennero bersaglio di vere e proprie campagne militari, soprattutto nel Midi. “Eminenza grigia” della Corona, il cardinale Richelieu assediò La Rochelle per purgarla dall'infezione ereticale (1627-1628). Nel 1685 Luigi XIV revocò l'editto di Nantes. Messi con le spalle al muro con le dragonnades (cioè l'obbligo di ospitare in casa e a proprio carico i militari del re e di tacere sui loro abusi), da 300.000 a 400.000 ugonotti ripararono in Germania e oltre. Erano tutti alfabetizzati (come gli israeliti) e poliglotti, piccoli proprietari costretti a svendere i loro beni, artigiani specializzati, commercianti, librai... La Francia perse una parte importante della propria propria linfa nazionale. Anche se ormai quasi assenti, gli ugonotti divennero uno dei protagonisti di un Paese “pilarizzato”, cioè condannato a crescere con identità separate, esattamente come lo si ritroverà due secoli dopo, all'epoca dell'affaire Dreyfus, che rese impossibili conversazioni pacate sulla questione fondamentale dei diritti civili. Era la Francia divisa in cattolici, ugonotti, socialisti, forme diverse forme di “religiosità”, con cosmogonie, ideari e rituali incompatibili. Le logge massoniche divennero luogo d'incontro di riformati, evangelici, ebrei, agnostici, atei militanti, socialisti e liberi pensatori. Era la Francia che denunciava l'intolleranza verso le minoranze, rischio mortale se e quando il Paese fosse stato in pericolo, come avvenne due volte nella prima metà del Novecento, per le guerre franco-germaniche nate a continuazione di quelle risalenti alla disgregazione dell'Impero carolingio e alle guerre per l'egemonia sull'Europa. Quella Francia di fine Ottocento aveva messo a frutto il meglio dell'età napoleonica e dell'Illuminismo, che ne fu alimento. Il suo riferimento era Voltaire (François-Marie Arouet, Parigi, 1694-1778). Questi si occupò a fondo del processo di cui fu vittima Jean Calas (1698-1762), ugonotto, il cui primogenito, Marc-Antoine, si impiccò. Accusato di parricidio, lo sfortunato Jean venne arrestato e condannato a morte. Sottoposto a efferate torture con l'imposizione di ferri roventi e con la pena della ruota, fu infine strangolato e arso. Sollecitato a “studiare il caso” da Pierre, fratello del suicida, con il Trattato sulla tolleranza in occasione della morte di Jean Calas proprio Voltaire, che aveva elogiato il Re Sole in “Il secolo di Luigi XIV”, denunciò la falsità del processo. Ottenne che venisse rifatto e che la sua infelice vittima fosse riabilitata: un caso esemplare di revisione della “memoria”. Gli ugonotti non erano affatto “complottisti”, “untori” e strumento di Satana. Anzi erano campioni di ascetismo in un'epoca più libertina che libertaria.
L'Italia: un Paese pragmatico
In Italia riforma luterana ed evangelica non ebbero significativa penetrazione. I maggiori pensatori politici e storici d'inizi Cnqecento, Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini, non prospettarono riforme religiose. Guicciardini confessò che se non avesse dovuto servire i papi avrebbe forse seguito Lutero, ma per motivi politici più che di fede. L'obiettivo degli illuministi e dei patrioti che nell'Ottocento edificarono lo Stato nazionale unitario non fu la sostituzione del cattolicesimo con un'altra forma di cristianesimo, ma la difesa della libertà dall'ingerenza del “potere” nella vita personale e dal dogmatismo non in quanto “fatto spirituale” ma solo quale proiezione del potere politico. Spogliato del potere temporale il papa cessò di essere considerato un’insidia nei confronti delle libertà civili. La sua egemonia religiosa si fermava sulla soglia della vita quotidiana per la stragrande maggioranza dei regnicoli, dichiarati uguali dinanzi alle leggi dallo Statuto di Carlo Alberto di Savoia (1848), poi esteso al regno d'Italia. Quasi tutti cattolici, ma senza ostentazione né strumentalizzazione politico-partitica della loro fede, a differenza di quanto taluni ancora credono, questi non divennero affatto fautori né dell’anti-politica né, meno ancora, dell’anti-Stato. Mentre disertavano le elezioni dei deputati e ostentavano di essere “né eletti, né elettori”, i cattolici praticanti costituivano il 98% dei senatori e un buon 90% dei deputati. Contrariamente a quanto affermano quanti denunciano il Risorgimento e l'unificazione nazionale quale complotto ebraico-massonico, le logge furono quasi del tutto assenti tra il 1815 e il 1860, mentre gli ebrei rimasero minoranza esigua anche in Parlamento, come documentano gli ottimi saggi raccolti da Valerio Di Porto e Manuele Gianfrancesco in “Senatori ebrei nel Regno d'Italia” (ed. Giuntina, 2024). Morto Garibaldi (che si batté contro il clero di tutte le fedi: preti, pastori, pope, rabbini, imam, bramini...), anche massoni famosi, come Francesco Crispi e Luigi Zanardelli, ebbero funerali cattolici con largo seguito di ecclesiastici (ben 46 per il bresciano Zanardelli, al quale accadde di arrivare in Consiglio dei ministri con tanto di grembiulino massonico ai fianchi). Pio IX scomunicò il Re, il governo e tutta la dirigenza, ma nel frattempo tanti cattolici, molto più pragmatici di quanto certa storiografia abbia narrato, ressero le dande del Paese che conta e che decide piani regolatori, valore delle aree fabbricabili, sanità pubblica. Presidiarono consigli comunali e provinciali, banche, industria, commerci. Quando venne l'ora, le congregazioni di missionari assecondarono l'espansione coloniale. L'Italia, insomma, non ebbe mai una strage di San Bartolomeo. Proprio perché ebbe più credenze che dogmi. Per sua fortuna non visse neppure vere “guerre civili”, ma solo transeunti contrapposizioni ideologiche connesse a sconfitte militari e a ingerenze straniere. Nel 1947 il Partito comunista di Palmiro Togliatti votò con la Democrazia cristiana di Alcide De Gasperi l'inserimento dei Patti Lateranensi nella Costituzione della Repubblica. Le fazioni antiche svaporarono nel tempo, senza lasciare rimpianti. Tuttavia, settantasei anni dopo la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, qualcuno torna a denunciare oscuri complotti per riattizzare conflitti di cui non si sente bisogno alcuno.
Aldo A. Mola
DIDASCALIA: Voltaire, ritratto da Maurice Quentin de la Tour (1747-1740 circa). Capofila dell'Illuminismo europeo, venne iniziato massone pochi mesi prima della morte nella loggia parigina intitolata alle “Nove Sorelle” (cioè le Nove Muse). Entrò nel Tempio guidato da Benjamin Franklin e cingendo ai fianchi il grembiulino già appartenuto all'abate Cordier di Saint-Firmin, a sua volta massone.