Oggi *15 Ottobre* ricordo la *costituzione nel 1872 del Corpo degli Alpini* nati, ironia della sorte, in una Città di mare, con la firma del decreto dal re Vittorio Emanuele II che si trovava a Napoli.

Una storia, quella degli Alpini, fatta con il sangue lungo un itinerario costellato di croci. Uomini fieri ed infaticabili, uomini ricchi di fede, temprati dalla lotta con la natura, dotati di un luminoso patrimonio spirituale ereditato dai propri padri, gli Alpini hanno portato sempre intatto nella parentesi del servizio militare, queste preziose qualità civiche ed umane, indispensabili per chi deve assicurare la difesa della Patria. Non c’è pagina della storia militare italiana dall’ultimo ventennio del secolo diciannovesimo ad oggi che non ha visto in prima fila gli Alpini: ne fanno fede le 207 medaglie d’oro al Valore Militare, le 4 medaglie d’oro al Valore Civile e una medaglia d’oro al Merito Civile della Croce Rossa Italiana che fregiano il glorioso Labaro Nazionale dell’Associazione Nazionale Alpini e che racchiude e sintetizza la prestigiosa storia del Corpo degli Alpini. L’ideatore del Corpo degli Alpini fu l’allora capitano di Stato Maggiore Giuseppe Domenico Perrucchetti, nato in provincia di Milano Studioso di storia, conosceva molto bene la geografia dei nostri confini Il Perrucchetti conosceva le gesta delle milizie montanare che, fin dai tempi dell’Imperatore Augusto (I,II, e III Legio Alpina Julia), si erano formate sulle Alpi e le avevano difese dalle invasioni barbariche ; conosceva il perfetto organismo delle milizie paesane create da Emanuele Filiberto, l’organizzazione ed i compiti dei “Landesschützen” tirolesi, truppe scelte preposte alla difesa dei confini montani del Tirolo, quelle dei “Cacciatori delle Alpi” delle campagne del nostro Risorgimento e le famose imprese dei Volontari Cadorini di Pier Fortunato Calvi che, nel 1848, per difendere la loro terra dall'invasione austriaca, si trasformarono in audaci e tenaci combattenti. Lo spunto da quegli studi portarono nel 1871 il geniale a redigere una originale memoria nella quale sosteneva e dimostrava il concetto che la difesa di primo tempo (in copertura) del confine alpino dovesse essere affidata a presidi di soldati nati in montagna, pratici dei luoghi sin dalla prima giovinezza e sicuramente ben motivati nel caso avessero dovuto effettivamente difendere i propri cari e il proprio territorio. Lo studio del Perrucchetti pubblicato, nel maggio 1872, sulla Rivista Militare Italiana, fu apprezzato e subito condiviso dal generale Cesare Ricotti Magnani, Ministro della Guerra nel governo di Quintino Sella, che capì l’importanza della difesa dei valichi alpini e la necessità di disporre, nell'ambito della fanteria, di una nuova specialità, particolarmente addestrata per la guerra in montagna. Da lì si arrivò al Regio Decreto n°1056 del 15 ottobre 187. A queste truppe speciali, nel 1874, fu posto sul capo un cappello di feltro nero a bombetta, con una stella di metallo a cinque punte e coccarda tricolore, ornato con una penna nera sul lato sinistro, il quale divenne subito l’emblema araldico dei soldati della montagna. Nel giro di qualche anno le 15 compagnie diventarono 36, su organico di guerra, ed i battaglioni dieci, che presero il nome di valli, monti e città, per un totale di 9.090 alpini. Nel 1882, a dieci anni dalla nascita del Corpo, per esigenze operative si ebbe un più consistente ampliamento del Corpo, con la costituzione dei primi sei reggimenti alpini: il 1°, il 2°, il 3°, il 4°, il 5°e il 6°. Il cappello alpino subì altre modifiche: il fregio a stella fu sostituito con un fregio di metallo bianco raffigurante un’aquila ad ali spiegate sormontata da una corona reale: appoggiata su una cornetta sovrapposta a due fucili incrociati e contornata da una scure e una piccozza, con rami di quercia e di alloro, essa rappresentava il simbolo di potenza e audacia del Corpo degli Alpini; sul tondino del fregio venne applicato il numero del reggimento e sul cappello della truppa le nappine mutavano di colore a seconda dei battaglioni e cioè bianco (1° battaglione), rosso (2° battaglione), verde (3° battaglione), turchino (4° battaglione). Per identificare gli ufficiali superiori si stabilì di guarnire il cappello con una penna bianca. Nel 1883 alle truppe di montagna vennero date le “Fiamme Verdi” a due punte e si incominciò a distinguere fra la fanteria alpina e l’artiglieria da montagna. Anche il cappotto con lunghe falde, molto ingombrante, venne sostituito con una mantellina alla bersagliera di colore turchino scuro mentre le scarpe basse furono sostituite da stivaletti alti con legacci simili a quelli usati dai montanari. Nati per combattere sui ghiacciai e sulle alte vette delle Alpi, gli alpini per uno dei tanti e curiosi scherzi della storia, ebbero il “battesimo del fuoco” sulle roventi ambe africane, nelle campagne di Eritrea del 1887 e del 1896, ove mostrarono il loro valore e le loro qualità di fieri soldati nella sfortunata battaglia di Adua del 1° marzo 1896, sull’Amba Rajo, e dove il 1° Battaglione Alpini d’Africa, comandato dal tenente colonnello Davide Menini, si immolò sul posto assieme a molti artiglieri. Dei suoi 954 alpini ne sopravvissero solo 92. 1902, data importante per la Specialità; dopo un periodo di intense prove effettuate presso il 3° Reggimento Alpini, venne dato in dotazione ai reparti il nuovo e veloce mezzo di locomozione su neve: gli ski, che permisero di risolvere il problema del movimento dei reparti sui terreni innevati. La nuova uniforme fu esperimentata a Bergamo, sede del Battaglione Alpini Morbegno, da un plotone della 45a compagnia, denominato il “Plotone grigio”, al comando del tenente Tullio Marchetti, trentino, che da tenente colonnello sarà poi il capo ufficio informazioni della Prima Armata e, dopo il felice esito delle prove effettuate con il resto del battaglione, nel 1908 la nuova uniforme fu adottata da tutto l’Esercito Italiano. Con l’adozione della nuova uniforme la vecchia “bombetta” nera veniva sostituita con un cappello di feltro colore grigio verde che a tutt’oggi è ancora in dotazione alle Truppe Alpine. - Nell’ottobre 1911 gli alpini parteciparono alla guerra Italo Turca con dieci battaglioni e 13 batterie di artiglieria da montagna. - Alla Prima Guerra Mondiale gli Alpini, i “figli dei monti” come li chiamava Cesare Battisti, parteciparono con 88 battaglioni e 66 gruppi di artiglieria da montagna per un totale di 240.000 alpini mobilitati. Quarantuno mesi di lotta la Loro diventerà un’epopea di episodi collettivi ed individuali di altissimo valore e di indomita resistenza . Alla metà di giugno del 1915 gli Alpini effettuarono la prima leggendaria impresa, con la conquista del Monte Nero, davanti alla quale anche i nostri avversari così si espressero: “Giù il cappello davanti gli alpini ! Questo è stato un colpo da maestro”. Dal Monte Adamello al Monte Nero, dalle Tofane al Carso, dalla Marmolada al Monte Ortigara, dallo Stelvio al Monte Grappa, dal Monte Pasubio al Passo della Sentinella, aggrappati alla roccia con le mani e con le unghie per lottare contro uno dei più potenti eserciti del mondo, costruirono con mezzi rudimentali strade e sentieri fino sulle cengie (sporgenze che consentono agli arrampicatori spostamenti trasversali) più ardite, combatterono memorabili battaglie Da bambino mi commuovevo al ricordo del Generale Cantore, ucciso da un cecchino austriaco nella vallata di Cortina d'Ampezzo. Lo scrittore Rudyard Kipling ,che perse l’unico figlio sul fronte francese, a Ypres, venuto in visita alla fronte italiana nel corso della Prima Guerra Mondiale, espresse questo giudizio sugli alpini: “Alpini, forse la più fiera, la più tenace fra le Specialità impegnate su ogni fronte di guerra. Combattono con pena e fatica fra le grandi Dolomiti, fra rocce e boschi, di giorno un mondo splendente di sole e di neve, la notte un gelo di stelle. Nelle loro solitarie posizioni, all’avanguardia di disperate battaglie contro un nemico che sta sopra di loro, più ricco di artiglieria, le loro imprese sono frutto soltanto di coraggio e di gesti individuali. Grandi bevitori, svelti di lingua e di mano, orgogliosi di sé e del loro Corpo, vivono rozzamente e muoiono eroicamente”. - Nel 1936, vengono inviati in Etiopia a combattere sugli assolati e aspri rilievi etiopici contro le truppe di Hailé Selassié. Sono circa 14.000 uomini inquadrati nella Divisione Pusteria. Validissimo il contributo degli alpini che parteciparono alle operazioni più importanti: dalla conquista dell’Amba Aradam, all’occupazione dell’Amba Alagi e alla battaglia di Mai Ceu il 31 marzo 1936. - E veniamo alla Seconda Guerra Mondiale dove per RISPETTO termino le mie brevi e selezionate note. Gli Alpini sono presenti su cinque fronti di guerra a) sulle Alpi Occidentali (dal 10 al 25 giugno 1940) ; b) in Grecia (dal 28 ottobre 1940 al 23 aprile 1942) ; c) in Jugoslavia (dal luglio 1941 al settembre 1943); d) e... il maledetto fronte russo (dal gennaio 1942 al marzo 1943) In Russia, gli Alpini, in una marcia eroica (oltre 700 Km. a piedi), ecatombe di alpini, sotto il flagello del freddo e contro un nemico molto forte e determinato, affrontarono durissimi sacrifici e sofferenze che la nostra mente oggi non riesce nemmeno a immaginare. Eroico fu il comportamento degli Alpini, che a Nikolajewka, riuscirono a rompere il cerchio di ferro e di fuoco dei soldati dell’Armata Rossa. Inferiori di numero, di equipaggiamento e di armamento, gli Alpini, grazie all'ineguagliabile spirito di Corpo, all'attaccamento alla loro terra, ai loro affetti, alla generosità che anima tutti i figli della montagna, seppero soffrire con dignità e onore, compiendo infiniti gesti di umanità e di fratellanza verso tanti fratelli stremati dal gelo, dalle ferite, dalle fatiche, dalla fame e dal nemico implacabile. Durissimo fu il prezzo pagato dalle Penne Nere per aprire ai superstiti la via della libertà: su 57.000 uomini ben 34.170 non tornarono a casa. Di essi, Don Carlo Gnocchi – l’indimenticabile cappellano militare degli alpini in Russia – apostolo della fede ed eroico sacerdote delle penne nere e che sarà beatificato dal Papa, al termine di quella terribile battaglia, disse: “Tutti hanno compiuto opera veramente sovrumana. Dio fu con loro, ma gli uomini furono degni di Dio”. Negli ultimi decenni le missioni di pace in giro per il mondo e l'utilizzo di questi militari specializzati nelle calamità naturali col supporto delle tante Associazioni d"Arma delle Penne Nere che hanno portato aiuto materiale e sollievo ai nostri connazionali sofferenti. Sempre una bella ricca e simpatica condivisione per riportare il sorriso. E' l'allegria di chi ha servito l'Italia come Alpino che nel cuore ha sempre quella penna nera perchè si è sempre alpini, per tutta la vita. Onore e Viva gli Alpini. Un saluto. Gianluca Riguzzi. Fonte : sito internet del GRUPPO ALPINI DI SAN GIORGIO DI NOGARO Sezione di Palmanova (UD) .