Pinerolo ha mille anni. Ci tiene e li dimostra. Unisce passato remotissimo, attualità e ambizioni, memore di dominio sabaudo e francese, come documenta l'opera collettanea curata da Ilario Manfredini “Pinerolo, mille anni di storia” (ed. Marcovalerio). E' sempre stata la base per il dominio sul Vecchio Piemonte. Tomaso II di Savoia la elevò a “capitale” al di qua delle Alpi. Ma sulla cittadina, poche migliaia di abitanti raccolti in un passaggio strategico, misero costantemente occhi e mani anche i “francesi”. Al trotto e al galoppo da lì si arrivava rapidamente a Torino. All'epoca militarmente irrilevante, l'antica “Augusta Taurinorum” era la via fluviale verso est: uno spazio agognato da chi, Oltralpe, aveva difficoltà a scendere verso la Cornice. Una prima dominazione francese durò dal 1536 al 1574, quando il duca Emanuele Filiberto di Savoia la ottenne da Enrico III di Francia. Sembrò fatta per sempre, anche perché in quegli anni crollò il marchesato di Saluzzo, altra preda della Francia. Carlo Emanuele I (1580-1630) condusse lunghe e dispendiose guerre per impadronirsi di Saluzzo e difendere Pinerolo dal duca Francesco di Lesdiguières. Nel 1601 il trattato di Lione riconobbe Saluzzo ai Savoia, ma la partita su Pinerolo rimase aperta. Nel 1631 il cardinale Richelieu guidò in persona la spedizione francese sulla città, “porta aperta in Italia”. Storia e carte alla mano non aveva torto. Le battaglie fondamentali nelle guerre tra la Francia dei Valois e dei Borbone contro gli Asburgo d'Austria e di Spagna per l'egemonia sull'Europa ebbero per teatro la pianura padana, ricca di messe e di armenti, di mercati e di artigianato d'avanguardia. Sottomessala, Parigi fece di Pinerolo non solo una piazzaforte ma anche una prigione di rigore. Luigi XIV vi fece rinchiudere il sovrintendente alle finanze, Nicolas Fouquet, reo di aver abusato dei suoi privilegi e ostentato le ricchezze che si era procacciato per sé anziché per lo Stato, e la tanto celebre quanto misteriosa “Maschera di ferro”, spunto per dicerie (era il gemello del Re Sole?), romanzi e film. Quando dovettero lasciarla, i francesi minarono e fecero esplodere il castello e la fortezza. Proprio con Luigi XIV il Piemonte occidentale tornò teatro di guerra. Vittorio Amedeo II, duca di Savoia, ebbe la peggio nella battaglia di Staffarda. Il conflitto riprese con la guerra alla successione sul trono di Spagna (1701-1713). L'armata francese invase il ducato e vi condusse la “guerra totale”: assedio di cittadine e di borghi, imposizione di enormi “taglie”, versate per scongiurare assalto finale e devastazione, anche di luoghi sacri, e distruzione di ponti, strade, piloni. Non bastasse, gli alberi da frutta e i vigneti furono mozzati al ceppo, così da impedirne crescita e fioritura. È stato calcolato che in quella guerra il “Piemonte” perse un terzo dei suoi beni. Il conteggio (poi studiato da Prato e da Einaudi) fu effettuato meticolosamente su ordine del duca in vista del trattato di pace. L'ammontare dei danni era pegno per il “risarcimento” che gli fruttò il titolo di Re di Sicilia, pochi anni dopo mutato in quello di Re di Sardegna. Fu premessa remota delle guerre per l'indipendenza e l'unità d'Italia? Rimasero in gran parte chiusi nel silenzio dettato dalla vergogna gli abusi di cui furono vittime le donne e, assai spesso, anche uomini da parte di un nemico che sodomizzava pubblicamente i vinti per umiliazione perpetua. In un volume di prossima pubblicazione, “Nel nome del Re Sole. Cenni storici su crimini, danni ed angherie del nemico nel Piemonte in guerra e nell'Alta Italia, 1703-1709”, ne scrive Alessandro Mella, che documenta come anche gli “imperiali”, inviati da Vienna in soccorso di Vittorio Amedeo II per cacciare i francesi assedianti Torino, non mancarono di vessare la popolazione. Ma i peggiori furono comunque i “cugini” d'Oltralpe. Tra i molti spiccano i casi di Orbassano e di Pinerolo. Dopo aver soggiogato Susa, nel 1704 i francesi assalirono, saccheggiarono e incendiarono Orbassano. L'anno seguente la cittadina fu nuovamente assediata e sottoposta a tributo per non subire identica sorte. Nel 1706 venne investita per la terza volta dai gallici in rotta da Torino verso la Francia. Dettero alle fiamme 143 delle sue 183 case: una rovina alla quale fu difficile rimediare, dopo i saccheggi subìti nel 1690 e 1693. Non migliore fu la sorte di Pinerolo, raggiunta dai francesi il 10 marzo 1705. Vi rimasero tre mesi estorcendo tutto il possibile. Subì incendi, furti di bestiame, ruberie di mobili, vettovaglie, lingerie e violenze di vario genere. Per una popolazione in larga parte ordinariamente in ristrettezze fu un'esperienza atroce. Quasi un secolo dopo la plaga tornò teatro di guerra. Prima irruppero i francesi della Repubblica nata nel 1792 sulle rovine della monarchia capetingia, poi gli austro-russi, giunti sino a Pinerolo, poi nuovamente i francesi guidati attraverso le Alpi da Napoleone, vittorioso a Marengo (giugno 1800). Come aveva profetizzato il cardinale Richelieu, Pinerolo divenne porta aperta dell'Italia. Fu annessa alla Repubblica, poi all'Impero. Nel 1806 la lingua ufficiale divenne il francese. La sua storia sembrò decisa per sempre come quella del Piemonte e dell'Italia. Invece neppure dieci anni dopo Napoleone e il suo sistema furono travolti. Nel 1821, come ha scritto Dario Seglie, presidente del CeSMAP e animatore della rivista “L'Ipotenusa”, Pinerolo fu il punto di partenza di Santorre di Santarosa e Guglielmo Moffa di Lisio che chiesero il riconoscimento del “diritto dei popoli” alle libertà. Il fallimento di quel moto non cancellò le speranze d'Italia. Ripresero il loro corso nei decenni seguenti e videro rifiorire anche la città: manifatture, industrie meccaniche, fondazione della società di mutuo soccorso, prima in Pimonte, e iniziative culturali, tra le quali spicca la biblioteca civica “Alliaudi”, la cui storia è documentata dal suo attuale direttore, Gianpiero Casagrande. Nel Novecento Pinerolo ha dato alla storia d'Italia due figure politiche di rilievo nazionale: Luigi Facta, sindaco, deputato, ministro, presidente del Consiglio nel fatale ottobre 1922, e Ferruccio Parri, comandante delle formazioni “Giustizia e Libertà” promosse dal Partito d'azione, presidente del Consiglio dei ministri dal giugno al dicembre 1945 e punto di riferimento dei partigiani non stalinisti. Ma merita di essere ricordata anche Lidia Poët (Traverse di Perrero, 1855-Diano Marina, 1949), valdese, prima donna a iscriversi nell'Ordine degli avvocati di Torino nel 1883. A pochi passi dalle “valli valdesi” Pinerolo ha all'attivo anche una vivace presenza di logge massoniche. A una tra le più rilevanti (originariamente intitolata a Giordano Bruno, poi “Mario Savorgnan di Osoppo”) furono affiliati studiosi di chiara fama, quali Ferdinando Gabotto, primo storico della città, Carlo Patrucco e Giuseppe Colombo. Ma tra Sette e Ottocento la città ebbe uno tra i massoni eminenti in Europa, Sebastiano Giraud, scienziato, la cui biografia merita un libro. Ottant'anni dopo l'ultima guerra anche nel Vecchio Piemonte ci si domanda se la pace attuale sia durevole, se non perpetua, o sia solo una tregua tra un conflitto e l'altro. Perciò rivisitare la storia non è vano. Insegna che tutto dipende dalle decisioni degli uomini. Da ciascuno.
Aldo A. Mola
DIDASCALIA: Il cavallo “Cromwell” di Emanuele Cacherano di Bricherasio (Museo storico dell'Arma di Cavalleria, Pinerolo). Il cavallo fu montato da Federigo Caprilli, del quale ha scritto il colonnello Carlo Cadorna in “Equitazione naturale moderna” (Grottaferrata, Bcsmedia). La fotografia è tratta da Aa.Vv, “Pinerolo, mille anni di storia”, a cura di Ilario Manfredini, ed. Marcovalerio (Marco Civra), 2024, voll. 2). E' un' opera editorialmente impeccabile, realizzata in due soli anni, con eccellente corredo iconografico.