Prefazione di Marcello Veneziani al libro-intervista a S.A.R. Amedeo di Savoia di Fabio Torriero.
Fino a qualche anno fa, dire monarchia significava rinvangare il passato remoto o, al più, alludere al gossip blasonato dei rotocalchi. Poi è venuta l’Unione Europea, presentata come il nostro avvenire, e lì abbiamo avuto la strana sorpresa di trovarci in comunità con una decina di Stati europei coronati. E non di Paesi attardati ai bordi della modernità si parlava, ma di moderne e civili democrazie, oltre quella britannica e spagnola, anche quelle scandinave e nordeuropee. Così un discorso archeologico, sentimentale e araldico, è diventato anche un discorso politico, istituzionale e comunitario.
Di questa “globalizzazione coronata” si parla nel libro-intervista di Fabio Torriero con il Duca Amedeo d’Aosta, sobria figura di principe, lasciato in solitudine a rappresentare in linea maschile Casa Savoia in Italia. Una solitudine che accenna finalmente a concludersi, con l’annunciato ritorno dei Savoia nella nostra patria. Sulla incongruenza di quella legge che stabiliva il principio, assai poco repubblicano e, ancor meno degno di uno Stato di diritto, dell’ereditarietà della colpa (ma non del merito di aver unificato l’Italia), è inutile attardarsi.
Resta, invece, la questione reale: che fare dei Savoia in Italia? Saranno integrati come semplici cittadini di un Paese normale? Diventeranno simboli di una tradizione, riferimenti impolitici di una storia e di un sentimento? O potranno diventare personaggi pubblici anche in senso politico, ovvero con ruoli in qualche modo attivi nel nostro Paese?
Per quel che lo riguarda, Amedeo d’Aosta non esclude un impegno istituzionale, se non politico, per esempio, nel regno della diplomazia, e si spinge a confessare che a lui non dispiacerebbe dare il suo nome a un movimento patriottico non di parte, sul modello vincente di Simeone II di Bulgaria, l’ex-Re, ora primo ministro dei suoi ex-sudditi, grazie al voto popolare.
Certo, sarebbe un po’ surreale se dopo una stagionata battaglia per il loro rientro in Italia, i Savoia decidessero di restare a vivere più a Ginevra che nel nostro Paese, salvo alcune puntate, magari qualche vacanza e qualche giro turistico.
Ma non sarebbe forse nemmeno augurabile, soprattutto per chi nutre sentimenti monarchici, se decidessero di impiantare qui la loro attività commerciale e far coincidere la loro corona con un marchio d’azienda. Non sarebbe esaltante, diciamo la verità, vederli in Italia come rappresentanti di una ditta, più che di una dinastia, anzi della dinastia che ha unito il Paese. D’altra parte, se si esclude un loro impegno pubblico, non possono certo venire in Italia per interpretare il ruolo di monumenti viventi, di icone del passato o testimonial della cronaca rosa.
E dunque, torna il problema di come integrare nel nostro Paese la loro presenza e il loro ruolo. Amedeo ritiene che le monarchie abbiano dimostrato di saper convivere sia col socialismo che col federalismo. Ha ragione, ma questa è un’argomentazione sia a favore che a sfavore delle monarchie, perché indica sia il ruolo super partes, simbolico e unitario dei re, sia il ruolo ornamentale, di soprammobile che non influisce negli assetti politico-istituzionali, ma si limita solo a vestire coreograficamente gli Stati. La soluzione monarchico-federale, ipotizzata da Amedeo, merita attenzione, ma rappresenta, comunque, una fuoriuscita dalla tradizione sabauda e unitaria che si è imposta nel nostro Paese e che è stata centralista, d’ispirazione francese. Ma questo non è necessariamente un dato negativo: sappiamo che l’Italia dei prefetti ha funzionato per cento anni complessivamente meglio dell’Italia delle regioni.
Spesso Amedeo risponde a Torriero privilegiando l’angolazione personale e familiare a quella storica e istituzionale. Ad esempio, supera le obiettive divergenze tra i Savoia e i Borbone con matrimoni che ci sono stati tra loro. Una forma di familismo regale che corona il familismo morale e amorale del nostro Meridione, ma che non risponde ai requisiti irrisolti della storia e ai disegni differenti delle due dinastie e a quel che rappresentano nell’immaginario collettivo.
Interessante il suo discorso schmittiano sullo stato d’eccezione, sulla proficuità del revisionismo storico, sulla necessità di un’Assemblea costituente per rilanciare la forma istituzionale e sul principale pregio della monarchia che coincide col suo principale vizio: l’ereditarietà.
Il principe ha ragione, ma qui torniamo al circolo vizioso delle origini: le ragioni che rendono preferibile la monarchia coincidono con le ragioni che la rendono superata. È una conclusione salomonica, lo so.
Del resto anche Salomone era un Re.
Roma, 1° luglio 2002
Marcello VENEZIANI