Per non dimenticare. Dal 15 febbraio 2020 i resti di Riccardo Gigante riposano nell’ Arca a lui destinata da D’Annunzio al Vittoriale degli Italiani. Dopo 75 anni dall’efferata uccisione quei resti sono stati recuperati dalla fossa di Castua grazie alla ricerche di Amleto Ballarini e trovato dignitosa e cristiana sepoltura grazie all’impegno di Onorcaduti, Console generale d’Italia Paolo Palminteri, di FederEsuli, della Società di Studi Fiumani, del Sen. Maurizio Gasparri e non ultimo di Giordano Bruno Guerri presidente del Vittoriale. In quel giorno presente anche Roberto Menia, sempre vicino all’iniziativa sin dai primi passi. Oltre 800 persone presenti. Burich e tantissimi altri esuli fiumani non hanno potuto assistere alla cerimonia. Il tempo inesorabilmente avanza... ma spesso la tenacia viene premiata (Marino Micich).
RICORDO DI RICCARDO GIGANTE
Fiume 4 maggio 1945 – entrano le truppe jugoslave in città.
“Ma crolla tutto davanti a noi. Circa alla stessa ora è stato prelevato a casa sua Riccardo Gigante. Non so i particolari (…) Riccardo Gigante è semplicemente sparito. Chi l’ha visto passare per una strada, chi per un’altra, colle mani legate dietro alla schiena, in colonna insieme ad altri. Gravemente ammalato e bisognoso di cure continue non è possibile che si salvi. Eppure non si ha il coraggio di piangere per lui, che fu il più fervido di tutti gli irredentisti fiumani e non badò mai a pagare di persona. Sapeva la sorte che lo attendeva, ma non ha voluto lasciare la città. Se è vero che purtroppo aveva dato la sua adesione alla Repubblica Sociale, l’aveva fatto credendo di dover essere coerente a se stesso fino in fondo e di agire per il bene della nostra italianità, è vero che anche per questo gli jugoslavi lo fanno scomparire. No, in lui si colpisce l’irredentismo fiumano, la “Giovine Fiume” mazziniana, l’assertore senza compromessi dei nostri diritti nazionali.
Che cosa posso dire di lui in questo momento? Che venni su sotto le sue ali, che credetti sempre in lui (fino al suo ultimo atteggiamento di collaborazionista, che ci divise dolorosamente).
Nel giugno del 1943 ci vedemmo spesso a Roma, posso dire quanto egli fosse preoccupato della situazione… Sperava in un tempestivo intervento di fattori nuovi che ci salvassero dal crollo.
Qualunque cosa purché la Patria ne uscisse indenne. D’altronde Riccardo fu un grande animatore, cultore appassionato di storia fiumana, poeta talvolta e disegnatore elegante, ma per natura non fu un uomo politico, calcolatore, pronto ad accettare la via di mezzo, capace di venire a transazioni. Visse per un’idea e andò incontro al martirio quando gli parve che non ci fosse altro da fare, da buon capitano affondò insieme alla nave.
Scomparso così. Leggendariamente scomparso.
Ma una figura come la sua non si sopprime semplicemente, con un colpo alla nuca. Ritorna e risorge!
Enrico Burich
Tratto da ”Fino alla feccia” – rivista Fiume n. 3-4 - anno 1955 – p. 171
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Cenni biografici
Nato a Fiume il 27 gennaio 1881 da Agostino e Francesca Canarich si diplomò presso l'Accademia di commercio di Graz. Pur non disdegnando di continuare la tradizione orafa del padre si dedicò a sviluppare i suoi poliedrici interessi culturali, quasi un novello umanista: fu principalmente un attento cultore del folklore fiumano, spaziò dalla poesia al teatro, dall'architettura all'archeologia, dalla storia all'araldica. Queste sue passioni sono testimoniate da opere teatrali quali "Lo zio d'America" od il "Gianni Schicchi" sino al lavoro, ancor oggi fondamentale, sul "Folklore fiumano", che è del 3 settembre del 1944 pochi mesi prima della sua tragica fine, che Gigante accompagna con queste significative parole: "Questa mia fatica... intesa come un atto d'amore verso la mia città - alla qual forse fui troppo molesto - ma che ho sempre servito con purità di fede, sia nell'intenzione, sia nell'azione".
Di chiari sentimenti italiani, fu sempre presente nelle varie manifestazioni irredentiste nel periodo antecedente la prima Guerra Mondiale. Fu uno dei fondatori della "Giovine Fiume", collaborando dal 1907 al 1910 all'omonimo periodico. Collaborò inoltre a riviste come "La Vedetta" organo del Circolo Letterario Fiumano e al "Bullettino" della Deputazione Fiumana di Storia Patria.
Per rinsaldare il sentimento d'italianità nei suoi concittadini organizzò due gite a Ravenna sul Sacello a Dante Alighieri (nel 1908 e nel 1911) cosa che gli causò il deferimento all'autorità giudiziaria austro-ungarica e lo scioglimento d'autorità della Giovine Fiume, tutto ciò non gli impedì nel 1914 di denunziare un'azione provocatoria della polizia ungherese, che aveva fatto esplodere un ordigno davanti al Palazzo del Governatore, tramite un polemico numero unico dal significativo titolo "La bomba!",
Allo scoppio della prima Guerra Mondiale si recò in Italia ove si arruolò volontario nel Regio Esercito raggiungendo il grado di capitano propugnando in tutti i modi l'inclusione di Fiume nel pacchetto delle rivendicazioni italiane verso l'Impero Austro-Ungarico, cosa che gli procurò una condanna a morte in contumacia.
Dopo la guerra, rientrato a Fiume, fece parte del locale Consiglio Nazionale, propugnando fortemente l'annessione di Fiume all'Italia. Partecipò alla "Marcia di Ronchi" e fu uno dei più fedeli collaboratori di d'Annunzio nell'Impresa Fiumana, diventando uno dei celebri "Uscocchi", tanto che il Vate gli riservò una delle Arche del Vittoriale.
Terminata l'impresa fiumana continuò la sua lotta per l'annessione di Fiume all'Italia venendo eletto Sindaco della città.
Va detto che fu tra i nazionalisti che bruciarono nel 1921 le schede elettorali che assegnavano la vittoria agli Autonomisti zanelliani e che intraprese insieme ad altri ex legionari fiumani ed appartenenti dei Fasci di combattimento fiumano l'assalto al Municipio per impedire il governo della città di Riccardo Zanella. Azione che però abortì ben presto cosicché il Governo Bonomi per allontanarlo dalla città lo inviò in Romania con il compito di ricercare gli ex-prigionieri di guerra italiani ancora dispersi.
Dopo l'annessione di Fiume rientrò nella sua amata città e dal 1930 al '34 ne fu il Podestà. Nel '43 fece parte di una delegazione senatoriale che si recò da Vittorio Emanuele III per "prospettargli la catastrofe a cui si andava incontro". Dopo l'armistizio siglato dal Governo Badoglio, sempre spinto dalla sua volontà di salvaguardare in ogni modo l'italianità di Fiume, aderì alla Repubblica Sociale Italiana operando per evitarne l'annessione da parte della Croazia, continuando in questo la linea politica anti-croata (ma non anti-slava) seguita sempre dalla libera Città di Fiume. Per un breve lasso di tempo ricoperse la onerosa e pericolosa carica di Prefetto della città, ma ne venne rimosso perchè non gradito ai nazionalisti croati "Ustascia".
In tutto questo marasma, come abbiamo visto con l'opera sul folklore fiumano del '44, non cessò la sua attività di studioso tanto che ancora nel '45 inviava a Ladislao Lazloczky una copia della sua opera "Terzo supplemento al Blasonario fiumano" accompagnadola con queste profetiche parole "Avevamo in progetto un altro fascicolo di Studi-Saggi-Appunti... fascicolo (che) va in fumo come andremo in fumo noi, se continua così...".
Nell'approssimarsi dell'evacuazione della città da parte delle truppe tedesche, e della conseguente occupazione dei partigiani titini, si rifiutò di abbandonarla per rimanere assieme al suo popolo in quei tragici frangenti. Fu così che nella notte fra il 2 ed il 3 maggio, mentre i tedeschi si andavano ritirando, venne prelevato da alcuni agenti della polizia segreta jugoslava. Il 4 maggio fu visto vivo per l'ultima volta alla periferia di Castua, legato insieme al maresciallo della Finanza Vito Butti. Si seppe poi che ambedue, insieme ad altri 10 sventurati, furono uccisi ed i corpi gettati barbaramente in una fosse comune.
dal sito http://www.rigocamerano.it/spintrallegato1.htm