SAVOIA E BORBONE, DINASTIE EUROPEE

Chissà perché il 15 dicembre nella rubrica “Lo dico al Corriere” Aldo Cazzullo si è sentito in dovere di affermare che “Re Felipe a Napoli ricorda che i Borboni erano stranieri”. Stranieri per chi? Il re di Spagna non lo ha detto affatto. È un'opinione di Cazzullo. Nato a Madrid il 30 gennaio 1968, don Felipe nacque da Juan Carlos di Borbone (Roma, 5 gennaio 1938) e da Sofia di Grecia, che appartiene a una Famiglia dai rami diffusi in tutta Europa e legata a doppio filo alla Casa Savoia-Aosta.    Accolto in Parlamento a Camere riunite, onore speciale, Filippo VI ha parlato fluentemente in italiano, una tra le lingue di suo uso comune. A Napoli, come a Roma, non si è affatto sentito straniero, ma, qual è, europeo. Certo è gravato dal rango di Capo di uno Stato, la Spagna, la cui coesione è propiziata dalla monarchia e, come già suo padre, coltiva speciali legami con i Paesi dell'America “latina”, radicati in mezzo millennio di storia, quando essi, a differenza di quanto solitamente si crede, non erano “colonie” ma parte dello Stato spagnolo. Del pari il Paese iberico moltiplica i rapporti con gli ispanofoni degli Stati Uniti d'America, in continua espansione, e con genti che lo spagnolo come “lingua franca”, pur a fianco dell'inglese.    Dopo aver messo in riga lo “straniero” don Felipe, in una successiva risposta a un lettore, Cazzullo ha asserito che “i Savoia sono a tutti gli effetti una dinastia italiana da quando Emanuele Filiberto spostò la capitale (del ducato di Savoia, NdA) da questa parte delle Alpi, da Chambéry a Torino. Era il 1563...”. Un realtà erano e rimasero europei. “Testa di ferro”, come quel duca era detto, vincitore nel 1557 sui francesi di Enrico II a San Quintino, con la pace di Cateau Cambrésis (1559) aveva ottenuto la restituzione delle terre già sabaude e le stava riordinando a marce forzate. Il Ducato era uno Stato transalpino e anfibio, un piede sulle Alpi, l'altro immerso nel mare tra Nizza e Ventimiglia, ma territorialmente ancora esiguo.    Figlio di Carlo III il Buono e di Beatrice di Portogallo, Emanuele Filiberto sposò Margherita di Francia. Suo figlio, Carlo Emanuele I, si unì a Caterina di Spagna (Asburgo). I successori alternarono matrimoni con principesse francesi, tedesche (Polissena Cristina d'Assia-Rheinfels) e spagnole (Borbone). Gli ultimi tre re discendenti diretti di Testa di ferro (Carlo Emanuele IV, Vittorio Emanuele I e Carlo Felice) sposarono rispettivamente una francese, un'Asburgo d'Austria e una Borbone di Napoli.    A inizio Ottocento si verificarono due eventi di forte portata simbolica. Sconfitto da Napoleone I, Francesco II d'Asburgo rinunciò al titolo di sacro romano imperatore e retrocesse a Francesco I d'Austria. Divorziato da Giuseppina de la Pagérie, Napoleone ne sposò la figlia, Maria Luisa d'Asburgo. Doveva essere il matrimonio del secolo: garantire la pace perpetua tra l'impero austriaco e la Francia, mentre gli altri Stati europei di terra ferma erano satelliti di Napoleone, “imperatore dei francesi”.    Vincitori su Bonaparte, nel settembre 1815 i sovrani d'Austria (Francesco I, cattolico), Russia (Alessandro I, ortodosso) e Prussia (Federico Guglielmo, luterano), con successiva adesione della Francia del restaurato Luigi XVIII di Borbone (cattolico), sottoscrissero a Parigi la Santa Alleanza. «In nome della Santissima e indivisibile Trinità» i tre monarchi proclamarono di «restare uniti coi legami di una vera e indissolubile fratellanza». «Considerandosi come compatrioti», si impegnarono ad aiutarsi vicendevolmente «in qualunque occasione ed in qualunque luogo», come padri di famiglia dei propri sudditi. Anche se di lingue diverse, nessuno era “straniero” all'altro: erano una “comunità”.    Le pulsioni nazionali sprigionate dalla Rivoluzione francese (altra cosa dalla guerra per l'indipendenza delle colonie della Nuova Inghilterra contro  la Gran Bretagna, dalla quale nacquero nel 1783 gli Stati Uniti d'America) erano considerate fonte di divisioni artificiose e di confitti pretestuosi. Per frenarle, nel 1815 gli Alleati deliberarono di ritrovarsi annualmente in congressi, anche a vantaggio degli Stati che, come il regno di Sardegna, via via aderirono e ne accettarono le decisioni. Quell'intesa fu meno retorica di quanto si crede, perché, pur tra varie scosse, garantì un secolo di pace, sino alla catastrofe del 1914. Ciascuno nella propria ottica, un Borbone, un Asburgo, un Savoia condividevano la responsabilità di un governo “cristiano” sovranazionale che aveva il pregio non secondario e più illuministico che reazionario di aver consegnato al passato remoto le guerre di religione. Non per caso alla Santa Alleanza non aderì il papa, per il quale chi non era cattolico era “eretico” e in “peccato mortale”, al pari di liberali, socialisti e dei massoni, a suo giudizio ispiratori di sette sataniche.    Primo re di Sardegna della Casa di Savoia-Carignano, Carlo Alberto (1798-1849), figlio di Carlo Emanuele e di Maria Cristina Albertina di Sassonia-Curlandia, già conte dell'impero napoleonico, francofono, all'ascesa al trono non pensava affatto a un “progetto italiano”. Sposata Maria Teresa di Asburgo-Lorena (Toscana) ne ebbe il futuro Vittorio Emanuele II, che prese in moglie Maria Adelaide d'Asburgo (Austria), e Ferdinando, duca di Genova, che sposò Elisabetta di Sassonia e ne ebbe Margherita, poi consorte di Umberto I, suo cugino primo, e Tommaso Alberto, maritato con Isabella di Baviera.    Nel 1838 Carlo Alberto maturò la svolta: depose formalmente il rango di Vicario dell'ormai inesistente sacro romano imperatore e conferì alla Regia deputazione di storia patria il compito di esplorare e proporre la missione italica della Casa di Savoia: un compito al quale si dedicarono Cesare Balbo e uno stuolo di studiosi. Le guerre condotte da Carlo Alberto e da Vittorio Emanuele II contro il dominio diretto e la preponderanza degli Asburgo in Italia furono o vennero narrate come inter-parentali (dati i vincoli matrimoniali fra Savoia, Asburgo e Borbone delle Due Sicilie) ma non inter-italiche. La storiografia evidenziò che gli eserciti dei sovrani degli Stati pre-unitari erano mercenari o coatti, a differenza di quello sabaudo, ispirato da una missione morale e civile e in lotta per la liberazione dal secolare “servaggio”. Però anche da re d'Italia i Savoia continuarono a svolgere il ruolo richiesto ai sovrani: concorrere di persona a procacciare la pace europea. Lo si colse nel 1871, quando, mentre l'Europa era sconvolta dalla guerra franco-prussiana (o franco-tedesca) e dalla “Commune” di Parigi, il venticinquenne Amedeo di Savoia, duca di Aosta, secondogenito di Vittorio Emanuele II, maritato con Maria Vittoria Dal Pozzo della Cisterna, assunse la corona di Spagna, offertagli dalle “Cortes” di Madrid su impulso del generale Prim e d'intesa con Carlo Michele Buscalioni, già gran maestro del Grande Oriente Italiano. Dopo la sua abdicazione e un breve esperimento di repubblica, sul trono di Spagna tornò un Borbone, Alfonso XII, gradito ai liberali e contestato dai “carlisti”, capifila dei clerico-reazionari d'Europa, alla stregua del conte Enrico di Chambord, vaticinato re di Francia in alternativa alla Terza Repubblica.    A conclusione si può riconoscere che Filippo VI di Borbone, al pari degli attuali principi della Casa di Savoia, è espressione della storia europea: più precisamente del ruolo svolto in Europa dalle molte Case che nei secoli ne hanno scandito la storia. Chi un tempo riteneva che i re fossero la causa prima di guerre e che le repubbliche avrebbero garantito pace, libertà e progresso, oggi deve constatare che, là ove sono, i sovrani non risultano affatto più esecrabili di tiranni di formazione repubblicana. Per i molti motivi accennati sentivano di avere una missione comune, più di quanto oggi mostrino di avere politici provvisoriamente al potere e, talvolta, disposti a tutto pur di rimanervi. Come mostra il caso di Sarkozy, inseguito da una voce che si leva dal deserto. 

Aldo A. Mola 

Didascalia : Juan Carlos e il fratello minore Alfonso insieme al padre Giovanni nel 1950.