Con le parole del saggista Mario Consoli, che ringraziamo, vogliamo ricordare l'eroe di guerra Guido Pallotta, Medaglia d'Oro al Valor Militare. RECTE AGERE, NIHIL TIMERE.
NELL' ANNIVERSARIO DELL'EROICA MORTE
DELLA MEDAGLIA D'ORO V.M. GUIDO PALLOTTA
Dopo 95 giorni dall'entrata in guerra dell'Italia, il 13 settembre 1940, Rodolfo Graziani, il comandante supremo delle Forze Armate italiane in Africa del Nord, fece scattare l'attacco contro l'Egitto.
L'obbiettivo era il canale di Suez, passaggio fondamentale per lo scacchiere bellico del Mediterraneo e del Medio Oriente. Ma, per giungere alla meta prefissata, occorreva invadere tutta la costa egiziana e percorrere quasi ottocento chilometri.
Le resistenze inglesi che incontrarono i nostri soldati furono scarse. La Decima Armata riuscì ad avanzare velocemente: in soli tre giorni l'avamposto italiano, il Raggruppamento agli ordini del generale Pietro Maletti, raggiunse il porto di Sidi el Barrani, 120 chilometri all'interno del territorio egiziano.
Graziani fece l’errore, a questo punto, di ritenere che la supremazia italiana sulle forze inglesi fosse destinata a durare nel tempo e preferì ordinare a Maletti di conservare la posizione e attendere sulla linea di Sidi el Barrani rinforzi e munizioni che dovevano giungere dall’Italia. Con la saggezza del poi si può senz’altro affermare che questa decisione sottraeva alle nostre forze armate la carta della sorpresa e della velocità d’attacco che fin lì aveva funzionato. Fatto sta che all’inizio di dicembre la situazione era ancora quella. Il raggruppamento Maletti fremeva, ma era costretto ancora ad attendere.
Il 9 dicembre le forze inglesi, sfruttando, questa volta loro, l’effetto sorpresa, attaccarono gli italiani per respingerli entro i territori libici. La reazione fu pronta, ma non sufficiente a fronteggiare il nemico e le perdite italiane furono ingenti. Tra i caduti ci fu anche lo stesso generale Maletti.
Gli italiani dovettero retrocedere e, per invertire la situazione, si dovette attendere l’intervento di Rommel e delle truppe tedesche.
Ma, tornando alla battaglia di Sidi el Barrani, tra i caduti, in questo tragico scenario bellico, ci fu anche il sottotenente Guido Pallotta che, saputo che un avamposto italiano non era stato ancora avvertito dell'attacco inglese in corso, si era offerto volontario per consegnare direttamente a quell'avanguardia il pacchetto di ordini. Lungo il tragitto incappò in un carro armato inglese. Pallotta, utilizzando le bombe a mano che aveva addosso, lo affrontò cercando di bloccarlo tentando di far passare gli ordigni già innescati tra le feritoie del mezzo nemico, ma fu raggiunto da una sventagliata di mitra e morì lì, tra le dune di Alam el Nieiwa. Ventitré giorni dopo avrebbe compiuto 40 anni.
Il 27 maggio 1943 gli fu conferita la Medaglia d'oro al Valor Militare.
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Guido Pallotta nacque il primo gennaio 1901 da una nobile famiglia marchigiana, i conti della Torre del Parco.
A 18 anni fuggì da casa per seguire Gabriele d’Annunzio nell’impresa di Fiume, dove fu ammesso a far parte della Disperata, la compagnia delle guardie del Comandante. Questa esperienza formò in maniera decisa il carattere e il bagaglio di valori del giovane Pallotta, ai quali rimarrà fedele per tutta la vita. Questo pacchetto di idee e di valori lo si può schematizzare così: patriottismo incondizionato e concezione sociale e nazionale codificata nella Carta del Carnaro.
La Carta del Carnaro, la Costituzione della Libera Città di Fiume, fu la prima a proporre lo Stato sociale: vi si trovano idee per quel tempo assolutamente nuove, ardite e avveniristiche. Istruzione obbligatoria, salario equo, assistenza sanitaria gratuita per tutti i cittadini, pensione di vecchiaia, lavoro come perno dell’economia, collaborazione di tutte le diverse componenti del processo produttivo, moneta emessa da una Banca Nazionale controllata dal governo, proprietà dello Stato di tutti i beni e di tutte le strutture di pubblica utilità.
Il padre di Guido, Alfredo, era funzionario della pubblica amministrazione e all’epoca dell’impresa fiumana era vice-prefetto a Cividale del Friuli. Quando il governo, che era presieduto da Francesco Saverio Nitti, decise di bloccare l’azione di D’Annunzio e di abbandonare Fiume, Alfredo Pallotta si trovò lacerato tra il giuramento prestato allo Stato e i valori testimoniati da Guido, fuggito a Fiume, che peraltro erano condivisi da tutta la sua famiglia. La questione si concluse con le sue dimissioni dalla carica prefettizia e con il ritiro nella sua casa paterna, a Montefano – tra Recanati e Macerata – ad amministrare i beni di famiglia.
Guido, dopo le esperienze nel Quarnaro, proseguì, a Torino, gli studi universitari che lo portarono a laurearsi in giurisprudenza e si dedicò alla professione di giornalista.
Lavorò a Il Maglio, alla Gazzetta del Popolo e al Popolo d’Italia. Un’antologia dei suoi articoli fu pubblicata nel 1935 in un volume di 600 pagine, intitolato Pagine di un gregario.
Ma il veicolo più importante attraverso il quale Pallotta volle indirizzare le proprie idee e le proprie battaglie politiche fu il foglio Vent’Anni, da lui stesso fondato, che, nato per gli universitari torinesi, finì per avere lettori in tutta Italia.
Pallotta divenne, nel 1930, il capo del GUF torinese (Gruppi Universitari Fascisti) e nel 1939 il capo di tutti i GUF d’Italia e, come tale, membro del direttorio nazionale del PNF e deputato alla Camera, che allora si chiamava dei Fasci e delle Corporazioni.
La sua posizione nei GUF dette a Pallotta anche un ruolo fondamentale nella realizzazione dei Littoriali. I Littoriali dello Sport, del Lavoro e soprattutto quelli della Cultura e dell’Arte, furono una palestra vivissima e intensissima di idee e di dibattito che si svolsero dal 1934 al 1940.
Ruggero Zangrandi – che dopo essere stato il compagno di giochi dei figli di Mussolini fece una lunga trasmigrazione politica che lo portò a diventare un pupillo di Togliatti, il leader dei comunisti italiani, e giornalista di punta di Paese Sera, quotidiano del PCI – affermò, nella sua monumentale opera sul fascismo, che nei Littoriali erano stati possibili «dibattiti con tutte le posizioni: giovani fascisti ortodossi, giovani critici o dissidenti e anche non pochi giovani di sentimenti più o meno antifascisti».
Fatto sta che i Littoriali furono innanzitutto un formidabile crogiolo per quella che doveva diventare la nuova classe dirigente fascista, se i tragici avvenimenti della seconda guerra mondiale non avessero decretato la fine di quell’avventura politica, ma finirono anche per rappresentare un vero e proprio vivaio per la classe dirigente post-fascista e anti-fascista.
Per capire bene di che cosa si stia parlando, sarà opportuno fare qualche nome, scegliendo tra i più significativi: i futuri politici Franco Calamandrei, Amintore Fanfani, Pietro Ingrao, Aldo Moro, Alessandro Natta e Giorgio Napolitano; Giuliano Vassalli, che diventerà presidente della Corte Costituzionale; Franco Modigliani, che riceverà il premio Nobel per l'economia; i futuri editori Alberto Mondadori, Ugo Mursia e Edilio Rusconi; cineasti del calibro di Michelangelo Antonioni, Alberto Lattuada e Luigi Comencini; il pittore Renato Guttuso; i giornalisti Giorgio Bocca, Jader Jacobelli, Gianni Granzotto, Sandro Paternostro e Eugenio Scalfari, il “padre” di Repubblica; scrittori come Andrea Camilleri, Giorgio Bassani, Silvio Bertoldi, Carlo Bo, Vitaliano Brancati e Vasco Pratolini; i poeti Alfonso Gatto, Pier Paolo Pasolini e Leonardo Sinisgalli.
E sui giornali dei GUF apparivano firme della portata di Salvatore Quasimodo, Giuseppe Ungaretti, Alberto Moravia, Cesare Zavattini, Vittorio Zincone, Enzo Biagi e così via.
Guido Pallotta di questo mondo vivido di idee e di creatività fu parte, promotore e animatore allo stesso tempo. Tra i giovani di tutta Italia la sua popolarità era grandissima; seconda – qualche storico affermò – solo a quella di Mussolini.
Pallotta era un irruento, sempre disponibile ad esporsi in prima persona, a rischiare. Era un leale, un generoso, un disinteressato, un idealista, un coerente ad ogni costo. E come tutte le persone pulite e trasparenti, era sempre di buonumore e risultava istintivamente simpatico.
Aldo Grandi, l’autore di una sua biografia che è stata stampata dieci anni fa – e della quale è prevista una nuova edizione, per i caratteri di Rusconi editore, nel 2021 – ha intitolato quel libro: «Il gerarca con il sorriso».
Con lo scoppio della guerra d’Africa del 1935, Pallotta, assieme a un folto gruppo di universitari torinesi – e ai propri fratelli Cesare e Carlo – partì volontario. Combatté all’Amba Aradam, marciò su Addis Abeba. Fu tra i fondatori del Giornale di Addis Abeba, concluse la sua guerra africana partecipando alla cattura del ras Destà, il genero del negus Hailé Selassié, e tornò a casa con una croce di guerra e una medaglia di bronzo al valor militare.
Una volta in Italia, riprese la sua attività con i GUF e le sue lotte politiche con il suo giornale Vent’anni.
Il sottotitolo di Vent’anni era «organo di bonifica integrale». Per «bonifica» non si riferiva alle opere pubbliche destinate a sanare le paludi e le terre incolte, che pur in quei tempi era un’attività molto praticata, ma alla pulizia da effettuare presso i dirigenti dello Stato che spesso, come purtroppo sempre accade, anche allora confondevano le cariche di pubblica responsabilità con l’occasione di far carriera personale e di ottenere benefici economici.
Pallotta aveva un altissimo concetto del bene comune e dei doveri che dovevano caratterizzare chi ricopriva posti di comando e non era disposto a risparmiare nessuno dai suoi strali. Era intransigente. Credeva nello Stato come bene del popolo e non poteva sopportare neanche il sospetto che qualcuno sfruttasse le proprie posizioni di potere per fare i propri affari.
Guido era quindi un uomo che risultava scomodo: nei suoi articoli c’erano continuamente attacchi agli «accumulisti, i cadreghinisti, i cacciatori di prebende, i collezionisti di gettoni di presenza, i veri disertori dell’opera assistenziale. Zavorra, Zavorra, Zavorra!».
Non era un personaggio accomodante e talvolta il suo giornale Vent’Anni finì bersaglio dei gerarchi piemontesi e la questura giunse a sequestrarlo.
Guido Pallotta, nell’affrontare la critica ai corrotti che utilizzavano il regime fascista per arricchirsi e per conquistarsi personali posizioni di potere, non fu solo. Vanno ricordati, tra i molti, Niccolò Giani, Fernando Mezzasoma e Berto Ricci.
Nel febbraio del 1940 Pallotta partecipò, a Milano, al Convegno Nazionale di Mistica Fascista, durante il quale tenne una relazione che suscitò grande risonanza, nel corso della quale sviluppò le tematiche legate ai doveri che lui riteneva fondamentali per chi condividesse la sua visione etica della vita, della rivoluzione, dello Stato. Per chi, come lui, si riteneva «uomo della Patria».
Tra l’altro affermò: «Chi intende misticamente la Rivoluzione, non può non essere preparato a morire per essa, perché vi è un solo modo di essere mistici quando la Patria chiede sangue: offrirlo». «Noi riteniamo che senza l’azione eroica, senza la possibilità di cingerci domani la fronte d’un rosso gallone di sacrificio, senza la possibilità di misurare la fede a buon metro d’ardimento, la vita sarebbe una ben misera, una ben triste cosa».
Guido Pallotta era, ho prima ricordato, un uomo estremamente coerente. Il 10 giugno l’Italia entrò in guerra e lui, coerentemente, abbandonò gli incarichi che ricopriva e partì volontario. Si arruolò nel raggruppamento del generale Maletti e partì per la Libia.
La lunga attesa sulla linea di Sidi el Barrani lo rese impaziente e manifestò questo suo stato d'animo nelle numerose lettere che inviò in Italia ai suoi amici, alla sua famiglia e soprattutto a sua madre, con la quale condivideva simbioticamente idee e valori.
Il 28 novembre 1940 Pallotta è nominato Ispettore Nazionale del PNF. La notizia l'apprende a Sidi el Barrani, ascoltandola alla radio. «Purché non mi facciano rientrare!» esclama.
L'ordine di rientro in effetti era già partito, ma il 9 dicembre, il giorno della sua eroica morte, era ancora in viaggio.
Mario CONSOLI
Presidente dell'Associazione Culturale “Medaglia d’oro V. M. Guido Pallotta”