FOCUS DI APPROFONDIMENTO: LA GUERRA RUSSO-UCRAINA

Prosegue il nostro focus incentrato sulla guerra russo-ucraina. Leonardo Rivalenti, mediante una ricostruzione delle relazioni tra la NATO e la Russia dai primi anni ’90 ad oggi, dimostra gli errori (evitabili) che sono stati commessi nel corso di tre decenni.


La Guerra in Ucraina – Parte I:

Errori Euroatlantici


Il 24 Febbraio del corrente anno, in Europa scoppiava una nuova guerra: dopo settimane di escalation militare e diplomatica, la Russia ha lanciato un’invasione dell’Ucraina, scatenando una guerra che ha già provocato migliaia di morti e almeno due milioni di rifugiati. Sebbene il conflitto sia iniziato in maniera repentina, con un attacco a sorpresa da parte dei Russi, questo in verità costituiva, per molti versi, una catastrofe preannunciata, risultante dall’incapacità o dalla non-volontà dei paesi NATO di trovare un modus vivendi con Mosca. Volendo sintetizzare, potremmo dire che l’errore fondamentale sia stato il non voler o il non essere in stati in grado di riconoscere la Russia come grande potenza e di agire di conseguenza nei suoi confronti. In questo articolo, con una ricostruzione delle relazioni tra la NATO e la Russia dai primi anni ’90 ad oggi, cercheremo di dimostrare gli errori (evitabili) che sono stati commessi nel corso di tre decenni.

Possiamo quindi iniziare la nostra ricostruzione partendo dal Dicembre 1989, più specificamente dal Summit di Malta, tra il Presidente Americano George H.W. Bush e il Segretario General del PCUS Mikhail Gorbachev. In questo episodio, il Presidente Americano aveva infatti già garantito che la NATO non si sarebbe spinta, a seguito dell’apertura e della democratizzazione dell’URSS, nella sfera d’influenza di quest’ultima tramite l’espansione della NATO. Infatti, il Segretario Generale aveva già allora messo in chiaro che una simile espansione sarebbe stata ritenuta incompatibile con la tutela della sicurezza dell’URSS. Il 10 Febbraio 1990 anche il Cancelliere della Germania Ovest, Helmuth Kohl, ribadì simili garanzie, che furono quindi confermate a più riprese nel corso del 1990.

Ciò nonostante, la dissoluzione dell’URSS nel 1991 e la conseguente situazione di instabilità, quasi anarchia in cui la Federazione Russa si trovò nel corso degli anni ’90 e che sarà arginata solo dopo l’ascesa di Vladimir Putin, nei primi anni 2000, spinsero la NATO ad espandersi comunque verso Est. Del resto, lo scenario globale sembrava favorevole a ciò: come proclamato dal Prof. Francis Fukuyama, la storia sembrava “finita”, con il trionfo dell’America e del capitalismo. Tutto sembrava giocare a favore di tale narrativa: la Guerra del Golfo aveva rappresentato uno sforzo globale per bloccare l’aggressione Irachena al Kuwait, la Russia non era che un’ombra della sua potenza trascorsa, la Cina, dopo le riforme di Deng Xiaoping, sembrava destinata a trasformarsi nell’ennesima potenza economica asiatica, capitalista e saldamente inserita nella sfera occidentale.

Nel 2000, l’elezione dell’ex-capo dell’FSB ed ex-Primo Ministro Vladimir Putin alla Presidenza della Federazione Russa non sembrava scalfire minimamente questo ordine di cose. Infatti, Putin sembrava provenire dalle file dei conservatori occidentalisti russi, con una postura aperta all’America e all’Area Euroatlantica. Naturalmente ciò deve essere sempre letto nell’ambito della realtà politica russa, evitando di equivocarsi credendo che il Putin dei primi anni 2000 fosse un democratico, disposto a trasformare la Russia in una “Grande Polonia” (chi scrive sta prendendo questo termine a prestito da un Membro del Club Valdai che ebbe piacere di conoscere nel 2016 in Canada). Al contrario, anche i conservatori occidentalisti russi ritengono, nella stragrande maggioranza, che l’autocrazia sia necessaria per governare una realtà come quella Russa e completarne l’occidentalizzazione. Allo stesso modo, nella visione Russa, l’integrazione della Russia nell’Occidente non si sarebbe dovuta dare in un rapporto di subordinazione agli USA, ma bensì in uno di co-egemonia come se, volendo tracciare un paragone storico, l’America fosse l’Impero d’Occidente e la Russia quello d’Oriente.

Nonostante tra gli anni ’90 e gli anni 2000 si siano allacciate collaborazioni con la Russia in diverse sfere e la Russia sia riuscita a ricavarsi un ruolo importante di fornitore di materie prime nell’economia globale, le relazioni tra Mosca e l’Area Euroatlantica rimasero, in larga misura all’insegna dell’incomprensione. Il primo esempio di ciò fu già inizi del secolo, quando l’Unione Europea cercò di stabilire una partnership economica con la Russia. In tale occasione, l’UE presentò alla Russia, insieme alle proposte di collaborazione, una lunga lista di riforme politiche e istituzionali che questa avrebbe dovuto intraprendere. Naturalmente la risposta di Mosca fu negativa, preferendo negoziare individualmente e con maggiore successo con gli stati membri. L’altro grande problema era rappresentato dall’ormai inesorabile espansione della NATO verso Est, che a quel punto Mosca non era semplicemente in condizioni di contestare ma che, al passo in cui la consolidazione di collaborazioni per la sicurezza procedeva a rilento, iniziava ad allarmare il Cremlino.

Rimaneva anche un altro nodo da sciogliere: il ruolo della NATO nel XXI Secolo. Infatti, la NATO nasceva esplicitamente con il proposito di difendere l’Europa da una possibile aggressione sovietica, ma venuto meno il nemico, tale proposito non sussisteva. Le alternative erano e in qualche misura rimangono tre: la prima e meno realizzabile essendo lo scioglimento, la seconda di farne un’alleanza per garantire la sicurezza e la stabilità dell’Area Euroatlantica e delle regioni limitrofe, includendo anche l’ex nemico; la terza infine, di mantenerla come alleanza anti-Russa, sebbene contrariamente agli interessi di molti dei suoi membri. L’incapacità dei suoi membri di ridefinirne il ruolo ha portato, involontariamente, alla terza opzione.

Questa situazione ci ha quindi portati al punto di rottura: il 2008. L’anno prima, al Summit sulla Sicurezza di Monaco, Vladimir Putin aveva già ammonito circa un presunto isolamento della Russia che avrebbe avuto, in futuro, conseguenze. Tuttavia, l’anno seguente si raggiunse il punto di rottura: il 17 Febbraio, il Kosovo, allora sotto amministrazione ONU, dichiarava unilateralmente l’indipendenza dalla Serbia. Ciò avveniva dopo che nel 2000, la promessa di rispetto dell’integrità territoriale della Serbia, storico alleato di Mosca, era servita, tra le altre garanzie, a comprare la non-opposizione Russa allo UNSC, per un intervento NATO nella regione. Venne quindi il Summit di Bucarest, tra il 2 e il 4 Aprile, in cui fu rilasciata, da parte della NATO, una dichiarazione in cui si apriva all’ammissione di Ucraina e Georgia, qualcosa di inaccettabile per Mosca, che si sarebbe trovata con un’alleanza anti-Russa a ridosso dei suoi confini. La risposta a tale dichiarazione arrivò ad agosto, quando sfruttando un conflitto a bassa intensità tra la Georgia e le repubbliche separatiste e filo-Russe di Abkhazia e Ossezia del Sud, la Russia intervenne militarmente in Georgia, spingendosi in territorio Georgiano e assicurando i due stati separatisti nella sua sfera d’influenza. In quell’occasione, i paesi della NATO si fecero trovare impreparati e divisi, con l’Italia e la Germania, tra gli altri, più interessate a preservare i propri interessi economici che a farsi coinvolgere in un conflitto armato in Caucaso.

Sei anni dopo questo episodio, fu quindi la volta dell’Ucraina. In questo caso, a scatenare la crisi furono le proteste del 2014, ricordate come Euromaidan e aventi come obiettivo la deposizione dell’allora Presidente Ucraino Viktor Yannukovich, il quale pur cercando di avvicinare l’Ucraina all’UE, era anche accomodante verso il Cremlino, in parte anche a causa dei suoi vincoli con gli oligarchi dell’Ucraina Orientale. Il rovesciamento di Yannukovich attraverso una serie di rivolte violente portò quindi allo stabilimento di un governo marcatamente filo-Occidentale (NATO e UE) e ostile alla Russia.

Avendo quindi in prospettiva un’Ucraina allineata e potenzialmente aderente alla NATO, la Russia intervenne, sostenendo attivamente delle milizie ribelli filo-Russe nel Donbass e annettendo la Crimea, penisola di importanza vitale per il controllo del Mar Nero e nella quale aveva già delle truppe dispiegate nella base di Sebastopoli. Diversamente dalla Georgia, qui Mosca trovò una risposta più netta da parte della NATO e dell’UE, portando alle prime sanzioni economiche e politiche. In ogni caso, in questa occasione gli Europei si dimostrarono prudenti: non sanzionarono nessun settore di importanza vitale, mantenendo aperta la collaborazione con Mosca e cercarono, attraverso gli accordi di Minsk, di diminuire l’entità del conflitto, allontanando il pericolo di ulteriori escalations. In questo modo, pur avendo fallito nel tentativo di porre fine al conflitto tra i due paesi, si riuscì a stabilizzare l’entità e l’intensità del conflitto, situazione che sembrò avvicinarsi ad una cristallizzazione con il subentrare di Donald J. Trump alla Presidenza USA nel 2016.

Tuttavia, questa linea sembrò destinata a cambiare già dall’inizio dell’Amministrazione Biden, nel 2021, quando quest’ultimo riprese una linea di aperta ostilità alla Russia, definendo Putin, già a inizio 2021, un assassino.

Tale posizionamento si fece ancora più esplicito con l’organizzazione di tre grandi esercitazioni NATO in territorio Ucraino: la prima fu un’esercitazione navale, realizzata a Giugno 2021 e soprannominata Maritime Breeze, considerata la più grande nella storia di quell’esercitazione (dal 1997). La seconda e la terza, invece, avvennero rispettivamente a Luglio e a Settembre 2021 e furono di carattere terrestre e aereo, chiamandosi rispettivamente Three Swords e Rapid Trident. A tutto ciò, occorre anche aggiungere un’offensiva, da parte dell’Esercito Ucraino, forte di queste dimostrazioni di sostegno Euroatlantico, contro i separatisti del Donbass, tra l’autunno e l’inverno 2021. La risposta di Mosca a queste mosse non si fece attendere: già dalla scorsa estate, l’Esercito Russo era stato impiegato in diverse esercitazioni nella regione, mentre l’effettivo stabilmente dispiegato al confine con l’Ucraina aumentava drasticamente. Finalmente, all’inizio del 2022 l’aumento di tensioni tra Russia e Ucraina portò ad una crisi diplomatica, con Mosca che iniziò ad esigere delle “garanzie di sicurezza” da Kiev che invece, e giustamente, le percepiva come violazioni della propria sovranità. La crisi culminava quindi il 23 Febbraio, con la richiesta Ucraina di accedere alla NATO, il giorno seguente, prevedibilmente, scoppiava la guerra.

 La cronologia presentata, dentro ai suoi limiti, illustra gli errori commessi ripetutamente dagli stati Europei e dagli Stati Uniti – per i quali tuttavia, si tratta, probabilmente, più di direttive strategiche che non di errori: il mancato riconoscimento e la continua provocazione. Il rifiuto a mantenere l’Europa Centro-Orientale come una regione neutrale prima, poi la ripetuta esclusione della Russia dalla cooperazione per la sicurezza, quindi il programma di espandere la NATO fino all’Ucraina e alla Georgia ed infine le ripetute provocazioni nel corso del 2021 ne sono tutte dimostrazione. Non è necessario dire che la Russia abbia saputo rispondere, come la guerra in Georgia ha dimostrato, con aggressività a tutte queste politiche, fornendo una base per giustificare un ulteriore incremento della militarizzazione dell’Europa Orientale da parte dell’Occidente.

Tutto ciò rientra nel disegno strategico Americano, erede della Teoria del Rimland di Nicholas Spykman e di quella dell’Heartland di Sir Halford Mackinder, per i quali, la manutenzione della Russia come grande antagonista europeo è provvidenziale alla giustificazione della loro presenza militare in Europa, assicurazione che il Vecchio Continente rimanga saldamente nel loro impero informale. Rimane legittimo chiedersi se consolidare un asse Russo-Cinese che rischia di portarsi dietro svariate potenze dell’area Afro-Euro-Asiatica sia stata una scelta altrettanto strategica o un errore madornale.

Tuttavia, tale disegno non dovrebbe rientrare in quello delle potenze Europee. Infatti, per gli Europei, la Russia non solo rappresenta un potenziale mercato consumatore, ma anche e soprattutto un importante fornitore di materie prime, nonché un potenziale e fondamentale partner militare. Averla come nemica equivale, in primo luogo ad infliggersi dei danni ingenti all’economia, come iniziamo già a percepire, quindi ad attirare sull’Europa una seria minaccia che impegna, per la difesa dei confini orientali, risorse sia umane che materiali che avrebbero potuto essere destinate a obiettivi di maggiore interesse e beneficio. Tutti questi, naturalmente, erano calcoli che avrebbero dovuto essere stati fatti in passato, prima dello scoppio della guerra tra Russia e Ucraina. Ad oggi, purtroppo, non resta che correre ai ripari, se non si vuole dare l’ennesima prova di inettitudine e di meritare inequivocabilmente il ruolo di subordinazione agli Stati Uniti che sta toccando all’Europa. Sarà quindi necessario riconoscere e mettere in evidenza la divergenza di interessi tra Europa e USA in questo conflitto, quindi abbandonare le risposte spesso irrazionali ed emotive che si sono viste nei giorni scorsi ed elaborare una risposta europea, pragmatica, realista e che metta in primo piano gli interessi delle nazioni europee. 

25-III-2022


Leonardo RIVALENTI


Immagine del titolo: President Joe Biden and Russian President Vladimir Putin participate in a tete-a-tete during a U.S.-Russia Summit on Wednesday, June 16, 2021, at the Villa La Grange in Geneva. (Official White House Photo by Adam Schultz). Pubblico Dominio. Da https://it.wikipedia.org/wiki/Conflitto_russo-ucraino#/media/File:P20210616AS-0561_(51269449735).jpg