"Il dramma dell'italianità nelle terre dell'Adriatico orientale". Una recensione del prof. Sfrecola, consigliere del Ministro Gennaro Sangiuliano.
Un dramma nel dramma. Quello dell’italianità nelle terre dell’Adriatico orientale nel contesto della Seconda Guerra Mondiale e del suo epilogo in una terra da secoli abitata e resa prospera dalle popolazioni italiane. “Foibe, esodo, memoria” (Aracne, Roma, 2023, pp. 299, € 25,00) è un volume di estremo interesse, documentatissimo, presentato nei giorni scorsi a Roma, nel salone del Circolo Magistrati della Corte dei conti, presente un pubblico attento e commosso alle parole di alcuni degli autori. Introdotti dal Presidente del Circolo, Stefano Castiglione, gli interventi sono stati moderati da Massimiliano Atelli, Magistrato della Corte dei conti e Capo di Gabinetto del Ministro per lo Sport e i giovani, Andrea Abodi, che ha portato un suo saluto partecipe dei tragici eventi. Hanno preso poi la parola tre degli autori, Giovanni Stelli, Presidente della Società di Studi Fiumani, Mariano Minich, Direttore dell’Archivio Museo Storico di Fiume e Pier Luigi Guiducci, storico della Chiesa e giurista, assente Emiliano Loria, Capo redattore della rivista di studi adriatici “Fiume”.
Li ha presentati Massimiliano Atelli, che ha delineato il quadro storico, il contesto, nel quale si sono svolti gli eventi oggetto del libro, iniziando da ricordi della sua famiglia, proveniente da Zara, abbandonata una notte, improvvisamente, per mettersi in salvo, con solo quanto avevano in dosso, abbandonando con la terra dei propri avi, anche tutti i beni di una condizione economica agiata. Come molti degli italiani dell’Istria e della Dalmazia, operosi nelle professioni e nelle attività artigianali e commerciali. L’esodo degli italiani della Venezia Giulia e della Dalmazia avvenne, come ormai è noto, nell’incubo di una epurazione preventiva che ha caratterizzato l’avvento al potere del regime comunista iugoslavo con eccidi e deportazioni che hanno interessato centinaia di migliaia di italiani. Parliamo di terre italianissime, di una popolazione operosa, di una cultura che si ricollega alle tradizioni della Repubblica di Venezia che nel corso dei secoli aveva favorito lo sviluppo economico in un contesto sociale solido, permeato di valori civili e spirituali. Tutto quel che i comunisti del Maresciallo Tito avevano in odio e volevano estirpare. E lo hanno fatto in tutti modi possibili per cancellare una tradizione, anche perseguitando gli esponenti del clero cattolico.
Nella presentazione del libro il primo intervento è stato quello di Giovanni Stelli, autore di numerosi lavori sulla storia del confine orientale. Si è soffermato sul termine “foibe” che in Venezia Giulia, a Fiume e in Dalmazia sono state le tombe di molti italiani. Lo sappiamo ormai da tempo, sono delle cavità carsiche, anche molto profonde, nelle quali sono stati gettati, spesso ancora vivi, coloro i comunisti iugoslavi volevano far sparire. Legati i polsi con filo spinato a gruppi spariva nelle cavità carsiche seguendo spesso il primo che, ucciso trascinava nel baratro gli altri. Sicché, ha spiegato il Presidente Stelli, con il termine “foibe” si indicano “le eliminazioni fisiche e le persecuzioni subite dagli italiani della Venezia Giulia e della Dalmazia nel periodo che va, grosso modo, dall’autunno del 1943 a tutto il 1945 (ma la data finale andrebbe spostata in avanti di qualche anno) ad opera dei comunisti jugoslavi”. Stelli ha ripercorso gli eventi di quegli anni drammatici della guerra delineando i vari periodi nei quali si è sviluppata la “pulizia etnica” degli italiani, nel quadro di un fenomeno repressivo generale che ha visto anche numerosissime vittime slovene e croate.
Quanti furono gettati nelle foibe? Difficile dirlo perché non tutti i corpi sono stati recuperati, perché molte foibe sono state fatte esplodere per nascondere l’eccidio, perché molte cavità carsiche sono in territorio jugoslavo e non è stata possibile la conta tragica dei morti. È necessario, dunque, procedere per stime, sviluppando i calcoli delle fonti documentali delle anagrafi, quando è stato possibile per essere sopravvissute ad incendi e dispersioni. È certo che sono molte migliaia le persone gettate delle foibe.
Del lungo esodo dall’Istria, Fiume e Zara ha parlato il Direttore Minich partendo dalla descrizione del contesto storico-politico, dalla fine della guerra al trattato di pace di Parigi del 1947, un calvario che ha coinvolto centinaia di migliaia di italiani dalle terre istriane, fiumane e dalmate. Attendevano di essere accolti in Patria a braccia aperte. Non fu quasi mai così. Anzi si ricordano episodi di straordinaria crudeltà, quando ai profughi fu impedito di scendere dai treni, di essere assistiti ed alimentati, ovunque il Partito Comunista Italiano (P.C.I.) impose il suo veto all’accoglienza mesa in opera da istituzioni caritatevoli. Come a Bologna, dove fu impedita anche l’alimentazione dei più piccoli, con la dispersione del latte sul selciato.
Molti trovarono l’accoglienza di amici e parenti. Altri trascorsero lunghi mesi nei centri di raccolta, stipati “in dieci o dodici” in una stanza, come ha scritto Indro Montanelli in un articolo per il Corriere della Sera, richiamato nel libro, dove riescono a vivere “in un ordine e pulizia esemplari cercando lavoro, ma rifiutando elemosine e senza mai lamentarsi”. Ho visitato un centro di raccolta mantenuto a memoria di quei tempi e devo dire che non è possibile non percepire la sofferenza di quei nostri concittadini.
Della persecuzione della Chiesa nel dopoguerra ha detto il Prof. Guiducci che ha puntellato la sue esposizione con il ricordo di eventi che su disposizioni del Maresciallo Tito eseguì la polizia segreta, l’Ozna, che aveva il compito di eliminare ogni avversario a qualsiasi livello nel più breve tempo possibile. L’obiettivo era di colpire “tutte quelle realtà locali ritenute a vario titolo “un ostacolo” ai disegni del regime, quindi anche le aggregazioni sociali caratterizzate da radici e cultura italiane”. Le disposizioni erano chiare e vincolanti. Il libro riporta un telegramma ai vertici Ozna della Croazia dopo la presa di Zagabria (9 maggio del 1945) dove si legge “il vostro operato è insoddisfacente. In dieci giorni dalla liberazione a Zagabria sono stati fucilati solo duecento banditi. Questa esitazione nel pulire Zagabria dai criminali ci sorprende”.
Nel richiamare più volte il libro per i necessari approfondimenti il Prof. Guiducci ha delineato la “strategia” dell’eliminazione, da un lato di quanti avevano collaborato con il regime fascista e con l’occupante tedesco, dall’altro i “nemici del popolo” perché non comunisti. Tra questi il clero cattolico a tutti i livelli della gerarchia, accusato di connivenza con il regime che aveva collaborato con i tedeschi, come nel caso del Cardinale Stepinac processato perché ostile al nuovo governo comunista, condannato a 16 anni di lavori forzati e alla successiva privazione dei diritti politici e civili per 5 anni.
Sono pillole tratte dalla presentazione di un libro di estremo interesse molto documentato, come hanno tenuto a ribadire più volte gli autori, perché una storia di queste dimensioni e con queste tragiche caratteristiche non si può scrivere se non richiamando, riga dopo riga, documenti autentici e di estremo interesse.
Va segnalata l’appassionata partecipazione di Massimiliano Atelli che, nel moderare il dibattito, ha fornito stimoli agli intervenuti facendo da abile raccordo tra di essi con annotazioni di carattere storico e culturale sulla realtà delle popolazioni italiane delle terre dell’Adriatico orientale, così coinvolgendo i presenti nelle realtà drammatica cui il libro è dedicato.
Salvatore SFRECOLA