Il ricordo del grande artista e patriota Francesco Hayez (Venezia, 10 febbraio 1791 – Milano, 12 febbraio 1882), arricchito da un prezioso materiale iconografico, nel 230° anniversario della sua nascita. A cura di Elisabetta Gavetti.
Il 2021 è l’anno degli anniversari, ricorrenze che offrono occasione di ricordare personaggi celebri che hanno contribuito in modo determinante alla storia, alla cultura e al prestigio d’Italia, e verso i quali avremo sempre un debito di riconoscenza.
È l’anno di Dante, ma anche l’anno di Francesco Hayez, riconosciuto già dai contemporanei, come il critico Lombardo Luigi Archinti, il padre della pittura romantica italiana:
“Egli fu in Italia il primo e l’ultimo della scuola romantica, della quale porta seco nel sepolcro la bandiera come cosa propria.”
E’ tra i protagonisti indiscussi del Risorgimento, della formazione dell’identità di un’Italia unita, come espresso magistralmente dal poeta Ambrogio Bazzero:
“Francesco Hayez fu giovanissimo nella cosciente baldanza del genio, fu sfidatore e vittorioso d’una battaglia che rovesciava il culto di una tradizione consacrata da una falsa libertà e da un tetro servaggio, fu l’interprete fremebondo e profetico e grandioso di una generazione che, senza futuro, attingeva nella storia le sole sorgenti della speranza.”
Il suo nome è oggi ricordato soprattutto per “Il bacio. Episodio della giovinezza. Costumi del secolo XIV” (oggi alla Pinacoteca di Brera), concluso nel 1859, commissionato dal Conte Alfonso Maria Visconti di Saliceto, che chiese al pittore un dipinto che rappresentasse la volontà di emancipazione dall’invasore austriaco con l’aiuto del nuovo alleato francese: lo stesso anno, infatti, vennero firmati gli accordi di Plombières tra Napoleone III e Cavour.
Meno note sono forse le sue memorie: autobiografia rimasta incompiuta, ma risorsa preziosa per assumere il suo punto di vista, quello di un pittore vocato all’Arte, che servì tutta la vita, consapevole della forza e dell’importanza che le opere, di qualunque Musa, possono assumere quando legate alla politica e all’identità di una nazione.
“Nacqui in Venezia, il giorno 10 febbraio 1791 nella Parrocchia di Santa Maria Mater Domini, da Chiara Torcellan da Murano e da Giovanni Hayez da Valenciennes: la mia famiglia si componeva di cinque figli, e la ristrettezza dei mezzi decise il padre mio ad affidarmi alla sorella di mia madre, moglie a un genovese per nome Francesco Binasco. Questi era negoziante antiquario, e possedeva una bella collezione di quadri dei primari autori, fra i quali un bel Tiziano, un Paolo Veronese, un Wandyck, ecc., che sin da piccino formavano la mia ammirazione!”
Inizia così la sua storia, raccontata con una estrema autenticità nel modo di esporre avvenimenti: non vi è intento celebrativo, solo narrativo, nonostante fosse consapevole della propria rilevanza nel panorama contemporaneo.
Proprio lo zio materno lo instraderà nella carriera artistica, intuendo le capacità del nipote.
Entrato nel 1803 nella nuovissima Accademia di Belle Arti di Venezia, nel 1809 vinse un concorso che lo condusse a Roma, dove poté studiare vicino a Canova, apprendendo e facendo suo lo stile neoclassico che lo renderà nel giro di pochi anni artista rinomato nella futura Capitale.
Nel 1815, in un’Europa in piena Restaurazione, lascia la città a seguito di uno scandalo sentimentale che lo vede coinvolto, approdando a Napoli, dove rimane fino al 1818, quando parte per Milano.
Qui conobbe la cerchia di intellettuali impegnati anima e corpo nella ricerca di un’identità storica e nazionale di un’Italia che, nel giro di pochi decenni, avrebbe visto compiersi il disegno di unità nazionale.
Gli ideali del Risorgimento e del Romanticismo italiano trovarono forma primaria in ogni pennellata del pittore veneto, che ne fu padre, interprete, protagonista.
E come gli uomini della cerchia intellettuale che nella Milano dell’epoca trovò terreno ideale, e probabilmente memore delle gozzoviglie di gioventù, Hayez non fu artista dissennato e spericolato.
Alla sua collaborazione con l’Accademia di Brera, dove prestò servizio come insegnante di pittura dal 1822, egli dedicò ogni sforzo nel segno dell’amore per l’arte. Come raccontato il 19 febbraio 1890 da Emilio Visconti Venosta in occasione dell’inaugurazione del Monumento a lui dedicato nell’Accademia milanese:
“Nella sua scuola l’insegnamento fu dato con paterna coscienza e ricevuto con affettuoso rispetto. Gli artisti usciti dal suo studio conservarono tutti pel maestro un ricordo riconoscente. Gli anni, la fama non lo avevano reso intollerante, nè esclusivo; ebbe sempre pei giovani l’animo aperto ed amico, pronto a riconoscere, a salutare con schietta soddisfazione ogni nuova speranza. E quando, testimonio quasi della vita artistica di un secolo, vide sorgere altre tendenze e l’arte tentare altre vie, egli accolse con animo liberale le opere dei nuovi venuti, accettandole in parte e in parte, come può supporsi, facendo le sue riserve. Solo parlando della sua scuola e dei suoi allievi, egli soleva ripetere modestamente: «Io non posso insegnare che quello che so.» E il vecchio maestro intendeva dire ch’egli poteva fornire ai giovani quelli che sono i mezzi certi e gl’insegnamenti necessarii dell’arte, ma che non presumeva di prescrivere loro quegli ideali e quelle predilezioni che si mutano e si trasformano coi tempi.”
Una sobrietà e umiltà che trovavano specularità nel suo stile di vita e nel suo stesso studio pittorico, come descritto dal critico Defendente Sacchi:
“Una stanza non troppo grande ingombra di varii leggii sui quali posavano i quadri che stava lavorando, ignude le pareti senza la solita impannata di disegni, di carte, di abbozzi, senza che v’abbia attelata la consueta schiera di automi, di gessi, di cui sogliono i pittori a Roma popolare la casa. Hayez, dopo qualche schizzo, senza moltiplicare gli studi, le prove, pinge alla prima i suoi quadri, indi invia a chi li allogò, senza tenerne o disegni o ricordanze: è il genio che crea, né mai si volta indietro.”
Nella sua vita artistica produsse oltre 80 capolavori, sparsi oggi tra le maggiori collezioni museali italiane ed estere, dalle decorazioni parietali di stile classicheggiante degli esordi, ai ritratti di alcuni tra i più importanti esponenti politici ed intellettuali del nostro Ottocento: tra i tanti, il Manzoni, suo caro amico, Giacomo Poldi Pezzoli, Massimo D’Azeglio, Gioacchino Rossini, a formare una galleria illustre affiancata dai dipinti di fatti e personaggi della tradizione classica, quelli biblici, fino a quelli medievali. Un escamotage per raccontare il contemporaneo, i suoi valori e speranze, nelle vesti della storia.
Un interesse per la storia condiviso dai contemporanei, alle prese con la questione dell’identità di una Nazione ancora da costruire, cucire insieme sotto un’unica Corona e un’unica Bandiera. Francesco Dall’Ongaro ben descrisse il ruolo di Hayez all’interno del panorama intellettuale del proprio tempo:
“Hayez tentò nell’arte ciò che il Manzoni, il Grossi, il Balbo e l’Azeglio vennero man mano facendo colle memorie storiche, col dramma, colla poesia, col romanzo. Non ch’egli si limitasse ad illustrare questi lavori, ma s’inspirava liberamente a quel soffio di vita contemporanea che agitava in certo modo l’atmosfera.”
E non possiamo, oggi, a distanza di 230 anni dalla sua nascita, che essere grati all’artista e all’uomo, per l’eredità inestimabile che ci ha lasciato e che è nostro dovere tutelare per l’Italia del presente e del futuro.
Elisabetta GAVETTI
Bibliografia
Catalogo della mostra Hayez di Gallerie d'Italia (7 novembre 2015 - 21 febbraio 2016), Gallerie di piazza Scala.
Hayez F. (1890), Le mie memorie dettate da Francesco Hayez, Milano, Tipografia Bernardoni.
Mazzocca F. (1994), Francesco Hayez: Catalogo ragionato, in Cataloghi ragionati di artisti lombardi dell'Ottocento, Federico Motta Editore.
Mazzocca F., Marelli I., Bandera S. (2011), Hayez nella Milano di Manzoni e Verdi, Milano, Skira.
Immagine del titolo: Francesco Hayez, Autoritratto, Galleria degli Uffizi, Firenze (1862)