Qual è il vero motivo per cui l’Italia festeggia l’entrata nella Grande Guerra? Perché festeggiare una Vittoria bellica, oltretutto gravemente "mutilata"? Anche e soprattutto perché il 24 Maggio del 1915 significa mobilitazione nazionale e popolare inimmaginabile. Il Popolo d’Italia, senza distinzioni di classe, ceto, idea politica o religiosa, si sentì a un certo punto unito e chiamato a un compito supremo.
La solennità civile odierna può apparire quasi provocatoria in un paese come l’Italia attuale, ammorbato da un’ideologia che in modo retorico e spesso violento disprezza qualunque cosa esprima una visione virile della vita. Questa ideologia oggi di moda, un tempo chiamata panciafichismo, trasforma il concetto naturale di pace, intimamente legato alla giustizia e all’etica, in un erroneo concetto fine a se stesso, totalmente slegato da ogni altro valore. In definitiva si tratta sempre della classica opposizione tra la pace di Cristo, che è la pace giusta, e la pace del mondo, che è la pace ingiusta [1].
Chiariamo bene le cose: nessuno ha un insano amore della guerra per se stessa. La guerra è inevitabilmente foriera di immensi lutti e distruzioni.
Alla guerra ci si risolve legittimamente come extrema ratio, allorché non ci sia altra possibilità di difendere la vita della Patria e di far trionfare la giustizia, la civiltà e il buon diritto.
Ma al di là di queste premesse generali e di principio che si limitano a spiegare perché si può festeggiare un’entrata in guerra, qual è il vero motivo per cui l’Italia festeggia proprio l’entrata nella Grande Guerra?
Si potrebbe rispondere molto banalmente perché si è vinto, ma sarebbe una risposta incompleta, tanto più che la Vittoria fu gravemente mutilata.
Il motivo decisivo è in realtà più profondo: il 24 Maggio del 1915 si assiste infatti per la prima volta a una mobilitazione nazionale e popolare inimmaginabile. Il Popolo d’Italia, senza distinzioni di classe, ceto, idea politica o religiosa, si sentì a un certo punto unito e chiamato a un compito supremo. La Grande Guerra si trasformò subito in un’autentica guerra rivoluzionaria, una guerra di popolo inteso come comunità organica che si sviluppa nel tempo e nello spazio. E fu così che si realizzò, attraverso l’immane sacrificio bellico, l’adesione delle masse popolari alla Nazione, più volte auspicata nei decenni precedenti. Re, Parlamento e Popolo furono un cuore solo e un’anima sola.
(Tavola di Beltrame per la Domenica del Corriere, Luglio 1915).
Alcuni dissero: ma molti vivevano male, erano poveri, quasi stavano meglio al fronte che a casa! Certo, c’erano anche casi di quel tipo. Ma c’erano anche molti giovani ricchi, agiati, che godevano assai della vita e che in taluni casi avrebbero potuto benissimo evitare la guerra per età inidonea o per altri motivi di esenzione, come quelli relativi a problemi fisici o a particolari situazioni familiari. Eppure partirono lo stesso volontari. E quando venivano mandati al corso ufficiali e dovevano a volte aspettare mesi prima di andare al fronte, si lamentavano e fremevano dall’impeto, temendo che la guerra finisse troppo presto, che non riuscissero a misurarsi col nemico: la loro paura era quella.
Come non rimanere ammirati da tutto ciò?
Chi oggi sarebbe in grado di avere un carattere e una forza d’animo del genere?
Ecco perché è importante festeggiare il 24 Maggio, soprattutto ai nostri giorni.
Noi additiamo il 24 Maggio ai ragazzi di oggi come esempio da imitare, a partire dalle piccole cose. Al momento essi non sono chiamati a cimentarsi nelle trincee, ma è lo spirito dei loro coetanei di cent’anni fa ch’essi dovranno recuperare se vorranno veramente vivere la vita in senso pieno ed autentico. Quello spirito che permette di affrontare la vita pensando anzitutto al bene comune e agli altri prima che a se stessi, anteponendo ai propri egoistici istinti (che altro non sono se non tutta quella paccottiglia che oggi viene spacciata per diritti più o meno umani) l’interesse sociale, il bene familiare, della stirpe e della Patria.
Se essi un giorno avranno fatto proprio quello spirito e quella forza d’animo e saranno riusciti ad applicarli alla vita, al lavoro, allo studio, alle attività sociali e politiche, al fine di riedificare finalmente la nostra disastrata civiltà, potranno meritarsi anch’essi la loro legittima medaglia al valore.
Vittorio VETRANO
Immagine del titolo tratta dalla Domenica del Corriere n. 47 del 1915
[1] Cfr. Gv 14,27