16 febbraio 1907: muore il poeta Giosuè Carducci, primo italiano a vincere il Premio Nobel per la letteratura. Patriota, al momento della spedizione dei Mille scrisse: "Uno il cuore, uno il patto, uno il grido: Né stranier né oppressori mai più".
Oggi 16 febbraio cade l’anniversario della morte del poeta Giosue (“Giosue” e non “Giosuè”, come voleva lui) Carducci, nato il 27 luglio 1835 a Val di Castello, Frazione di Pietrasanta, in Versilia.
Per questo anniversario mi limiterò a ricordare alcuni aspetti della sua poetica.
L’opera carducciana, sorgendo dopo l’esperienza manzoniana e romantica, ed in parte contrapponendosi ai suoi canoni, si ricollega al neoclassicismo di Vincenzo Monti (1754-1828) e di Ugo Foscolo (1778-1827), e magari anche di Giacomo Leopardi (1798-1837). In tal modo essa tende a restaurare la tradizione classica. Tuttavia per il Carducci non si tratta tanto di nostalgia per la bellezza o l’integrità del mondo classico, quale era stata per Johann Joachim Winckelmann (1717-1768), Johan Wolfgang von Goethe (1749-1832) e quindi per Foscolo, quanto piuttosto di nostalgia per le parvenze eroiche di quel mondo, per un sogno eroico che poteva essere sognato soltanto nel più remoto passato e che, se si era incarnato anche in tempi meno lontani come la Rivoluzione Francese o il Risorgimento, tuttavia aveva potuto farlo soltanto perché i nuovi eroi avevano rivestito le loriche e le insegne dei Romani.
Giosue Carducci esordisce appunto nel mondo letterario manifestando la sua più decisa reazione ai principî del romanticismo e in particolar modo allo stanco gusto romantico diffuso nella poesia del suo tempo, deluso dal contrasto tra i grandi ideali del Risorgimento e la miseria della realtà italiana dopo le guerre di indipendenza.
Con l’eredità dei pensieri e degli affetti del Risorgimento, il Nostro ne aveva ricevuto anche quella dell’ideale poetico, perché se l’Italia, dopo Dante, era rimasta per quattro secoli priva del “poeta-vate” [appena un accenno sorse in Torquato Tasso (1544-1595)], il moto risorgimentale era stato invece contrassegnato dal riapparire di esso in molteplici scrittori e poeti.
Nelle sue opere lo scrittore conforta gli uomini oppressi dalla contraddizione fra gli ideali e l’amara realtà. Carducci, che è stato definito “il poeta della storia”, raggiunge momenti di alta commozione epica nella celebrazione della storia di Roma e nella rievocazione dell’Età Comunale, così come trova accenti di fervida passione politica e civile nell’esaltazione della Rivoluzione Francese e nella celebrazione appunto del nostro Risorgimento.
Ma è da tenere presente che nella visione della poesia storica non mancano i momenti in cui il poeta si cristallizza in una conoscenza piuttosto stanca ed accademica.
Nei componimenti migliori, lo scrittore si esprime in modo particolarmente vivo e i suoi scritti assumono una più intima connotazione lirica.
Giosue Carducci riesce ad accendere anche gli animi degli ideali religiosi e patriottici ed è considerato appunto il “poeta vate”, cioè lo scrittore simbolo della nazione italiana.
La costruzione della poesia da parte del poeta è di ampio respiro, spesso impetuosa e drammatica, espressa in una lingua ricercata senza risultare né sfarzosa né troppo evidenziata.
La storia, secondo la visione di Carducci, non è solo nostalgia ma anche attualità, cioè deve servire a smuovere gli animi, ed egli li smuove attraverso le sue poesie ispirate a figure del Risorgimento, come Giuseppe Mazzini (1805-1872) e Giuseppe Garibaldi (1087-1882), o a quelle di poeti antichi e moderni, come Omero, Dante , Vittorio Alfieri (1749-1803), Carlo Goldoni (1707-1793), Vincenzo Monti (1754-1828), Giuseppe Parini (1729-1799) ed Ugo Foscolo: essi gli servono come esempi di bellezza, d’arte, di vita e di amor patrio.
Giosue Carducci fu quindi sicuramente e giustamente definito il “poeta della Storia”.
Nella lirica, dove appunto riversasi la storia, il passato gli parve la sola degna materia che restasse nei tempi moderni al poeta. Volle dunque atteggiare a rappresentazione artistica i ricordi storici della terra italiana, le figure di eroi e le leggende, e nutrire il verso di ogni sorta di reminiscenze.
Tre sono, senza dubbio, le forme della poetica carducciana: l’etico-politica, in cui operasse la sola passione politica, con una poesia parenetica (come l’esortazione in quanto motivo oratorio o di elaborazione letteraria), gnomica (che compendia a mo’ di sentenza il significato morale di un atteggiamento o di un componimento) e satirica; l’epico-storica, in cui la passione e la cultura storico letteraria confluissero; l’autobiografica, quella definita individuale e personale. E qui ritornano certamente Dante, Tasso, Alfieri e Foscolo.
Carducci fu sicuramente anche un poeta civile, che passerà, con la celebrazione degli eroi edei fasti, alla serena contemplazione della storia e dell’epos. E’ qui che troviamo l’ode “Agli Italiani”; “Per la proclamazione del Regno d’Italia”; “Alla Croce di Savoia”, ove invoca Vittorio Emanuele II per il riscatto dell’Italia
“(…)E tu, Croce di Savoia,
Tu fra l’armi e su le mura
Spargerai fuga e paura
In tra i barbari signor.
Noi, progenie non indegna
Di magnanimi Maggiori,
Noi con l’armi e con i cuori
Ci aduniamo intorno a te.
Dio ti salvi, o cara insegna,
Nostro amore e nostra gioia!
Bianca Croce di Savoia,
Dio ti salvi e salvi il Re!”
Più gli anni trascorrono, più le celebrazioni si fanno più pure nella pacata espressione. Ecco le odi “Alla Regina d’Italia” (Margherita di Savoia), “A Giuseppe Garibaldi”, “Scoglio di Quarto” e “Miramar”.
Tutti i motivi della poesia carducciana sono sicuramente raccolti in una visione cosmica ove la storia oggettiva, il paesaggio, le memorie si ordinano ad esprimere il senso alto della vita, la suprema ed eroica malinconia del vivere, nel pensiero della morte.
Ciascuno stadio (ideale) poetico carducciano può essere benissimo sciolto e fuso e ciò vale per qualsivoglia periodo della vita del poeta.
Tra i giudizi, più o meno equilibrati, ricordiamo quello del critico letterario Walter Binni (1913-1997), che, indagando sulla linea e sui momenti della poesia carducciana, ne individua il tema centrale nel radicale incontro e contrasto di un sentimento della vita nella sua pienezza e di un ugualmente energico sentimento della morte, come totale e fisica privazione di vita. Come giudizio complessivo si può certamente scrivere che nella poetica carducciana si può scorgere in un medesimo tratto il volto della tradizione e quello dell’innovazione.
Per concludere, scrive limpidamente lo storico della letteratura italiana Francesco Flora (1891-1962): «(…)La letteratura che sorge dopo il Carducci e della quale in lui poté soltanto essere un lucore di albe venture, amato e temuto, vive già col d’Annunzio e col Pascoli gli spiriti di un’età nuova. Perciò noi, che pur faremo constatare quei legami che uniscono l’arte di un d’Annunzio all’arte del “Maestro avverso”, abbiamo voluto dissociare quella triade. Carducci è l’ultimo poeta del Risorgimento».
Gianluigi CHIASEROTTI
Bibliografia
Carducci G. (2005), Poesie, Garzanti, XII Edizione
Croce B. (1963), La Letteratura Italiana (per saggi storicamente disposti a cura di Mario Sansone), Edizioni Laterza, Bari, V Edizione, “Giosue Carducci”, passim
Francesco Flora F. (1959), Storia della Letteratura Italiana, Arnoldo Mondadori Editore, XI Edizione, Volume V, “Giosue Carducci”, passim