Continua il Focus di approfondimento dedicato al Conte Grandi. L’azione diplomatica e politica di Grandi fu sensazionale: i suoi viaggi negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Grecia, in Turchia e in altri paesi, grazie alla sua straordinaria abilità e alla sempre più approfondita conoscenza dei costumi, delle usanze e delle lingue dei popoli, permisero di ottenere all’Italia una posizione di prestigio nel mondo che non aveva mai avuto e che in seguito non ebbe più.
3. Al Ministero degli Esteri
Nel maggio del 1925 Dino Grandi diventa Sottosegretario agli Esteri, carica che terrà per quattro anni, in cui tra l'altro, imparerà perfettamente la lingua inglese ed entrerà in contatto col mondo britannico. Poiché il Dicastero era tenuto formalmente dallo stesso Duce, si può dire che Grandi fosse già Ministro de facto.
Il 12 settembre del 1929 Grandi diventa ufficialmente Ministro degli Esteri in una fase molto delicata, che peggiora quando in ottobre il mondo entra in crisi dopo il ben noto crollo di Wall Street. E’ il momento in cui occorre rilanciare l’iniziativa italiana e soprattutto il Fascismo, che ora, con l’America in crisi, l’Inghilterra isolazionista, la Russia nel terrore comunista e la Germania sull’orlo del baratro, è il sistema economico e politico cui tutti guardano come modello.
Nel complesso, i sette anni in cui Grandi guidò la politica estera Italiana furono anni di successi internazionali straordinari. L’Italia Fascista divenne un esempio per molte nazioni, specialmente in tema di gestione economica e sociale. L’azione diplomatica e politica di Grandi fu sensazionale: i suoi viaggi negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Grecia, in Turchia e in altri paesi, grazie alla sua straordinaria abilità e alla sempre più approfondita conoscenza dei costumi, delle usanze e delle lingue dei popoli, permisero di ottenere all’Italia una posizione di prestigio nel mondo che non aveva mai avuto e che in seguito non ebbe più. Imbastisce così ottimi rapporti con tanti Stati ed è tra gli artefici della piena convergenza con la Chiesa Cattolica.
Convinto sostenitore che il malato sistema di Ginevra e di Locarno dovesse essere curato non rigettandolo del tutto, ma agendo dal suo interno, è colui che riesce a organizzare il disarmo mondiale ed è ancora colui che riesce a far accogliere l’Unione Sovietica nella Società delle Nazioni, divenendo amico del Ministro degli Esteri Sovietico Litvinov. La Russia Comunista deve a un Fascista il suo ingresso ufficiale nella politica internazionale.
Ciò mostra pienamente come Dino Grandi considerasse la politica estera in chiave non ideologica, ma esclusivamente patriottica: le decisioni vanno prese e le amicizie coltivate non in base al regime presente in questo o in quel paese, bensì in base ai concreti vantaggi che possono essere ottenuti alla Patria. Mussolini in tutti gli anni ’20, pur con alcune riserve, è sostanzialmente concorde con quest’impostazione.
L’obiettivo di Grandi è di puntare al mantenimento e al consolidamento della pace europea, da ottenere attraverso un atteggiamento pragmatico e realista.
Disse una volta, profetico:
“Una guerra oggi fra le Nazioni d'Europa altro non si risolverebbe se non in una immane catastrofica guerra civile, in un vero e proprio tramonto e suicidio del nostro vecchio e glorioso continente.”
Ben conscio dei disastri che una guerra europea avrebbe potuto portare all’Italia disse altresì:
“Il Paese è ricco di uomini, ma è povero di risorse, e non può ancora permettersi il lusso di competere con le grandi potenze sulla preparazione bellica”.
E ancora:
“Bisogna impegnarsi coraggiosamente in una politica di pace, volta al disarmo e alla collaborazione internazionale. L’Italia può conquistare un suo ruolo specifico e decisivo nel contesto europeo e porre così le condizioni per far valere le proprie storiche rivendicazioni (...) fino a condizionare la politica estera non soltanto in Africa o sul Mar Rosso, ma anche su un più vasto terreno internazionale, in Europa e nei rapporti intercorrenti con la Francia e l'Inghilterra. Non dobbiamo parificarci adesso nei loro confronti come grande potenza, né possiamo imporlo, ma creare le condizioni per arrivare a confrontarci: questo lo possiamo fare. Il problema sarà quello di creare un ruolo stabile nel contesto internazionale, dobbiamo darci delle direttive di fondo e ispirarci all’azione. Una potrebbe essere quella di fare dell'Italia l’arbitro della situazione europea, l’ago della bilancia”.
Egli è l’artefice della politica del peso determinante, pienamente concordata con il Duce, che faceva dell’Italia la potenza in grado di far pendere la bilancia economica, politica e militare, ora dalla parte di una potenza ora dalla parte di un’altra. Questa politica diede frutti eccezionali, almeno fino alla Guerra d’Etiopia. In seguito risultò sempre più difficile da praticare e con la Guerra di Spagna divenne di fatto impossibile.
Nessun Ministro degli Esteri Italiano fu così lungimirante; il 2 ottobre 1930 egli disse:
“La Nazione italiana non è ancora abbastanza potente, politicamente, militarmente ed economicamente, da potersi considerare come una nazione protagonista della vita europea. Ma la Nazione italiana è già tuttavia abbastanza forte per costituire col suo apporto politico e militare il peso determinante alla vittoria dell’uno o dell’altro dei protagonisti del dramma europeo, che prima o dopo esploderà. Posizione quindi di forza e di prestigio, posizione aperta a tutte le possibilità nel futuro a condizione beninteso che l’Italia rimanga libera di scegliere il proprio posto in caso di conflitto a seconda di quelli che essa giudicherà al momento opportuno essere esclusivamente i suoi vitali interessi nazionali.”
Durante una riunione della Società delle Nazioni, il 31 agosto del 1930, già aveva scritto un appunto ancor più determinato al Duce, citando Machiavelli:
“Il tempo lavora per noi. Noi saremo arbitri della guerra. Ma dobbiamo prendere più alta quota possibile nella politica continentale europea. Fare della diplomazia e dell’intrigo, applicare Machiavelli un po’ più di quello che non abbiamo fatto finora. Il Trattato di Locarno è un pezzo di carta inventato dalla democrazia, può diventare nelle nostre mani la biscia che morde il ciarlatano. Con tutti e contro tutti...”
Grandi ripeterà le stesse cose nell’ottobre del 1931 al Gran Consiglio. Eppure alcuni lo accuseranno di pacifismo e disarmismo.
Nella sua azione, Grandi cerca di mettere in difficoltà la Francia, che da tempo è arrogante e si crede egemone in Europa:
“Se riusciamo a far questo sarà la stessa Francia a cercare accordi con noi.”
Ed è per questo che Grandi insiste sulla rivalutazione della Società delle Nazioni, mirando a farla diventare una comunità di eguali che si misurano unicamente sul prestigio e sulla forza politica.
Operando così, Grandi spiazzò tutti gli antifascisti che accusavano il Fascismo, aprioristicamente e in malafede, di essere bellicista. Inoltre questa politica rafforzò le già buone relazioni con la Gran Bretagna. Non solo, ma dagli stessi Stati Uniti, quando nel novembre del 1931 volò a incontrare il presidente Hoover, egli ricevette molti apprezzamenti e la politica del Fascismo in Europa e nel mondo iniziò ad avere un credito universale.
Tra i successi di Grandi si annovera anche la sistemazione della posizione giuridica degli emigrati Italiani, in particolare degli italo-americani. Fino ad allora, gli emigrati, anche quelli che prendevano la cittadinanza americana, potevano essere arrestati al loro ingresso nel Regno se non avessero già adempiuto agli obblighi militari. Poiché gli Stati Uniti permettevano la doppia cittadinanza, Grandi riuscì a studiare e a far approvare modalità giuridiche che impedissero questo rischio. Grandi divenne così un paladino di tutte le Little Italy americane.
Poiché Grandi riuscì a intessere una rete di rapporti amichevoli con un numero immenso di personaggi di rilievo dei vari Paesi, c’è chi lo accusò di essere un mondano (era anche un frequentatore del famoso salotto romano della Principessa Colonna). Egli ribatté alle accuse spiegando la grande differenza che c’è tra rapporto sociale e mondanità: se il primo è il mezzo fondamentale attraverso cui si possono intessere convergenze e accordi atti ad arrecare benessere e grandezza alla Patria, la seconda è la degenerazione del primo, rimanendo sempre fine a se stessa. Egli era perciò esperto e cultore del rapporto sociale, non già della mondanità.
All’inizio degli anni ’30 Grandi audacemente propone, invano, un’unione doganale a Francia ed Austria, sostenendo che una diminuzione del protezionismo avrebbe potuto garantire la pace.
Nonostante le idee costruttive di Grandi, il grande ostacolo rimase sempre la Francia, vittima specialmente delle insofferenze ideologiche sia del Fronte Popolare che dei partiti nazionalisti, non disponibili a un vero disarmo. Grandi ottenne infatti solo una moratoria nella costruzione di nuove armi per un anno. La Francia rimase sostanzialmente ostile all'Italia a prescindere da tutto, sia per motivi ideologici che per motivi di prestigio mediterraneo, infastidendola troppo l’avere un vicino potente.
In questa prima metà degli anni ’30 inizia a svilupparsi in Mussolini, a causa di tutta una serie di fattori interni ed esterni su cui per motivi di spazio non possiamo soffermarci, l’idea del Fascismo universale: è evidente che sulla base di un approccio ideologico alla politica estera, l’impostazione grandiana non poteva accordarsi con questa nuova prospettiva mussoliniana. Di qui le sue dimissioni da Ministro degli Esteri, avvenute nel luglio 1932.
4. Ambasciatore a Londra
A questo punto Grandi viene inviato come Ambasciatore a Londra, dove resterà per sette anni, instaurando ottimi rapporti con gli inglesi. Sette anni eccellenti in quanto a diplomazia, nonostante l’impresa dell’Italia in Etiopia, malvista e boicottata dai britannici, nonostante le inique sanzioni e la guerra civile spagnola. Grandi fa il possibile perché Albione ragioni e non faccia il vile gioco della Francia, ma l’attrito cresce di anno in anno.
Intanto si affacciava sulla scena la Germania di Hitler, assurto al potere nel ‘33, con le sue richieste di annullamento delle riparazioni di guerra e di riscossa dalle umiliazioni subite a Versaglia. Di fronte a un riarmo improvviso di Francia e Germania, sfumò così il sogno di disarmo di Grandi. Quando Mussolini iniziò a guardare con interesse alla Germania, lo fece, anche di concerto con Grandi, sempre nella scia della politica del peso determinante, con lo scopo di continuare a fare dell’Italia il famoso ago della bilancia.
Più che la faccenda etiopica, in fin dei conti risoltasi con un trionfo Italiano, non solo militare ma alla lunga anche diplomatico (la stessa Gran Bretagna promosse e ottenne il ritiro delle sanzioni) fu la delicatissima questione spagnola a creare problemi gravissimi. Se la Russia (e con molta più cautela la Francia) foraggiava smaccatamente i rossi, l’Inghilterra era fortemente dubbiosa: Grandi fu un vero maestro di diplomazia, arrivando addirittura a giuocare d’astuzia per ricomporre i dissidi tra Italia e Inghilterra, contrastando il lavorio anti-Italiano di Eden e mostrando ai Britannici la cattiva volontà della Francia.
Quando in particolare a Downing Street si insediò Chamberlain, utilizzò spregiudicatamente tutti gli stratagemmi per farne un alleato di Mussolini. E’ molto interessante leggere quanto scrisse egli stesso in merito alla questione nel 1937:
“(…) egli era il solo uomo col quale ci si sarebbe potuti intendere. Ho “sentito” che io dovevo assolutamente fare di tutto per determinare una comprensione psicologica tra il Duce e Chamberlain. (…) Ho sentito che vi era un solo terreno sul quale battere Eden. Eden era fissato nell’idea di dimostrare la cattiva fede di Mussolini. Bisognava distruggere questo piano di Eden cercando di dimostrare a Chamberlain la buona fede di Mussolini. Questo è stato il criterio direttivo di tutta la mia azione ‘personale’ dal giugno al febbraio di quest’anno. Determinare in Chamberlain la stima e la fiducia per Mussolini non bastava tuttavia. Occorreva una cosa ancora più difficile: determinare in Mussolini la stima e la fiducia per Chamberlain. Questo era più difficile ancora. Eppure ci sono riuscito. In che modo? Ho cercato di ‘avvicinare’ personalmente questi due uomini, sia pure da lontano, e così mentalmente distanti. Nei rapporti a Roma ho fatto una pittura di Chamberlain assai più ottimistica di quello che egli fosse effettivamente, rappresentandolo come un amico dell’Italia e un ammiratore del Duce, molto più ‘amico’ e ‘ammiratore’ di quello che Chamberlain fosse effettivamente. Ho ‘inventato’ io stesso un messaggio di Chamberlain al Duce nel giugno del 1937 (…). Per la verità Chamberlain non mi ha incaricato mai di un messaggio per il Duce. Le cose andarono così. Durante il pranzo al Foreign Office per il ‘birth day’ di Re Giorgio VI Eden presentò al nuovo Primo Ministro (…) tutti gli ambasciatori. Chamberlain trattenne ciascuno di noi per qualche minuto dicendo delle parole cortesi ad ognuno. A me disse delle parole cortesi, ma non con un determinato significato politico. Mi bastarono tuttavia per una comunicazione a Roma nella quale ‘esagerai’ volutamente il carattere di queste innocue parole di Chamberlain e il loro aspetto di riguardo per la persona del Duce, aspetto che Chamberlain non si sognò affatto di darvi…”
Il risultato fu quasi immediato e il 27 luglio del 1937 Grandi, in un apposito colloquio politico col Primo Ministro Britannico, ripeté il “giochino”, illustrando un presunto “messaggio” molto distensivo del Duce a Chamberlain. In realtà Grandi confessò in seguito che il Duce mai l’aveva incaricato di un messaggio di questo genere. Tant’è che Chamberlain si sentì in dovere di rispondere per iscritto e Mussolini, e quest’ultimo, ricevendo la lettera, fu impressionato così positivamente che gli rispose a sua volta in modo straordinariamente amichevole. Italia e Inghilterra si avviarono così a rapporti di grande amicizia e tutto grazie al giuoco diplomatico di Dino Grandi.
Si arrivò così ai cosiddetti “Accordi di Pasqua” del 1938, che sembrarono rimuovere definitivamente ogni ostacolo per l’amicizia italo-britannica. Purtroppo essi non diedero però i frutti sperati poiché il dinamismo della Germania, l’astio anti-Italiano della Francia, l’eccessiva spregiudicatezza di Mussolini e del Ministro degli Esteri Ciano nel tentare di ottenere risultati attraverso eccessive pretese e provocazioni finirono col vanificare gli sforzi di Grandi, nonostante l’apparente successo del Patto di Monaco.
Quando si giunse al Patto d’Acciaio, che Grandi considerò un grave errore, iniziò un notevole attrito con Mussolini e Ciano, i quali continuavano a sperare di avere ampi margini di manovra, non rendendosi invece conto di aver imboccato un vicolo cieco.
La diplomazia di Grandi divenne così sterile ed essendo ormai assai compromessi i rapporti con la Gran Bretagna, Grandi venne nel Luglio del 1939 richiamato in Italia.
Vittorio VETRANO
Immagine del titolo: Dino Grandi Ambasciatore a Londra.
Continua con la quarta ed ultima parte: "Al Ministero della Giustizia; la Seconda Guerra Mondiale - La caduta del Regime - Il secondo dopoguerra - Conclusione".