Giuseppe Bottai (Roma, 3 settembre 1895 – Roma, 9 gennaio 1959), il Fascista intellettuale che tentò di tradurre i principî nella pratica. Terza parte.
4. Dall’INFPS al Governatorato di Roma
Col nuovo rimpasto di Governo del 1932, Bottai lasciò il Ministero delle Corporazioni allo stesso Mussolini, che in quella fase preferì gestirlo direttamente: il Duce riteneva infatti giunto il momento di mediare tra le tante posizioni che si confrontavano sul corporativismo piuttosto che procedere unicamente sulla linea bottaiana.
Bottai divenne allora Presidente dell’Istituto Nazionale Fascista di Previdenza Sociale (INFPS). In tale veste contribuì al potente rafforzamento di quell’ente, sicché l’INFPS si sviluppò in un’estesa rete locale capace non solo di gestire accuratamente la questione della previdenza, ma anche di partecipare all’azione governativa attraverso opportuni interventi economici.
Lasciato l’INFPS, nel 1935 è nominato Governatore di Roma. Egli ebbe in quel periodo l’idea che Roma ospitasse presto l’Esposizione Universale, che si decise di organizzarsi pel 1942 (E42). Diede così il via alla costruzione del nuovo quartiere, il futuro EUR, destinato a sviluppare l’Urbe verso il mare.
Con lo scoppio della Guerra d’Etiopia, Bottai parte volontario in Fanteria, Divisione Sila, col grado di Maggiore. Entrato in Addis Abeba il 5 maggio 1936 con la colonna del Maresciallo Badoglio, ne viene nominato in quello stesso giorno ufficiosamente Governatore, a simboleggiare l’unione ideale tra le due capitali. Il 27 maggio lascia la carica ufficiale ad Alfredo Siniscalchi e ritorna a Roma.
Intanto partecipa alla commissione predisposta a dibattere la riforma della Camera dei Deputati in senso corporativo, che porterà nella successiva legislatura (1939) all’istituzione della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, in cui la rappresentanza politica della Nazione sarà espressa non più su base partitica, bensì su base corporativa.
5. La Carta della Scuola e i dibatti culturali di fine anni ‘30
Sostituendo De Vecchi il 22 novembre 1936 al Ministero dell’Educazione Nazionale, dove rimane fino al 5 febbraio 1943, Bottai, forte dell’esperienza maturata riguardo al mondo del lavoro nazionale, intraprende una riforma scolastica che culmina nell’emanazione della celeberrima Carta della Scuola del 1939. In tal Ministero egli profuse attivismo e ardore, con l’eccellente riforma posta sulla scia di ciò che già s’era compiuto con Gentile, compiendo una corretta e lodevole fascistizzazione della scuola intesa in senso antiagnostico, di ampio respiro etico e sociale.
Molto complesso è il substrato culturale da cui mosse Bottai nell’elaborazione della Carta: tra i tanti spunti non sono da dimenticare quelli della scuola “partecipativa” non nozionistica e quello dell’attivismo pedagogico, nonché i numerosi richiami alle esperienze di pedagogisti stranieri, quali ad esempio Kerschensteiner e Dewey. Agosti definì la Carta della Scuola, in senso istituzionale, “un piano regolatore che postula pochissime demolizioni; e pure va incontro a bisogni nuovissimi”. Essa infatti presenta indubbiamente un contenuto ideale fortemente dinamico e rivoluzionario, e al contempo sottende un fine senso della realtà della scuola nazionale, esplicitandosi in un carattere aristocraticamente conservatore. E’ invero avanguardia e tradizione, in una parola è fascista. Se da un lato l’applicazione della Carta dà precise specificazioni nell’ambito dell’ordinamento scolastico, dall’altro essa sprona a quella che lo stesso Bottai chiama autoriforma della scuola. Questa riforma interiore si basa sullo spirito d’iniziativa e la volontà dei maestri e delle dirigenze degli istituti scolastici. Se la Riforma Gentile aveva codificato il moto della cultura nazionale d’avanguardia, ora con la Riforma Bottai la scuola avrebbe “fatto suo” lo spirito programmatore, dimodoché la scuola traduca spontaneamente nell’ideale educativo l’ideale politico: in tale contesto lo Stato non ha più bisogno di “imporre un programma”.
Purtroppo la Riforma Bottai non poté andare oltre le prime fasi di attuazione a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale, della sconfitta bellica e della caduta del Regime. Considerato l’ampio respiro della stessa e i risultati a lungo termine che essa si prefissava, sarebbero stati necessari anni per raccoglierne i frutti. Tuttavia, dai primi segnali giunti, si può facilmente inferire che tali frutti sarebbero stati copiosi, soprattutto in funzione di una serie di aspetti: la formazione della futura classe politica; la valorizzazione della famiglia come ente intermedio fondamentale della società; il successo dell’idea ruralista, attraverso la costituzione di un robusto ceto contadino che costituisse la spina dorsale della Nazione; la netta crescita della preparazione spirituale, culturale e fisica di tutta la gioventù nazionale.
Circa la questione ebraica, e più in generale quella della razza, emersa in tutta la sua problematicità nel ’38, egli si dimostrò favorevole al Manifesto della Razza, di cui fu tra i firmatari, e all’emanazione delle leggi razziali, viste probabilmente in un’ottica di lotta alla borghesia liberalista. In qualità di Ministro dell’Educazione Nazionale ne applicò perciò i contenuti prevedendo apposite sezioni elementari per alunni ebrei e incentivando la costituzione di scuole private ebraiche.
In questo periodo Bottai diede il suo contributo alla più ampia polemica antiborghese, cercando di separare la corretta lotta ai “vizi di origine borghese” da un generico astio classista, che di fascista avrebbe avuto assai poco, avvicinandosi tutt’al più al marxismo.
Intanto, affrontando la tematica della continuità del Regime dopo la scomparsa di Vittorio Emanuele III e Mussolini, propose una possibilità assai originale e condivisa da una non trascurabile parte del mondo politico fascista: la riunione delle due figure istituzionali del Re e del Duce nella persona del Principe di Piemonte Umberto. Come infatti scrisse, il futuro Capo avrebbe dovuto avere un potere “più organizzativo che giuridico, che mira cioè a creare forme e enti e istituti, che a definirne in formule i rapporti. In tal caso è, nel nostro Stato il Duce. Svincolato dalla persona di Mussolini, il “duce” come istituto permanente, può concepirsi aderente ad altra persona, che non sia, in uno stato monarchico, il Monarca?”. E ancora egli sosteneva vi fosse in futuro la necessità di un Re-Duce, “un Re di Stato totalitario, espressione del popolo organizzato”. Come disse infatti nel ’38 Rossini allo stesso Bottai: “La situazione la risolverà Umberto. Sarà lui il Duce”.
Questa posizione non sopravanzò però quella, più diffusa, che riteneva importante il continuare a differenziare le figure del Re e del Duce, come peraltro prevedeva la normale prassi di avvicendamento dei Capi di Governo attraverso l’azione del Re e del Gran Consiglio. Com’è noto, i tragici eventi bellici che causarono la caduta del Regime non permisero di verificare quale delle due opzioni avrebbe avuto successo.
Contemporaneamente, considerando anche le vicende della Guerra di Spagna, Bottai si dimostrò favorevole alla diffusione universale delle idee fasciste, poiché riconobbe ciò come “diritto e dovere di un popolo portatore d’una nuova concezione di vita civile”.
Vittorio VETRANO
Continua con la quarta ed ultima parte