Nuovo focus de "Il balzo del Veltro", relativo ad un argomento tanto importante quanto poco conosciuto. Un po’ di storia corredata da un’esperienza personale dell'autore di questo approfondimento, che pubblicheremo in tre puntate.
Prima parte
Premessa
Il Sudafrica è un paese che nel corso del tempo ha destato a fasi alterne un notevole interesse mediatico. In particolare dagli anni ’70 in poi la politica e il giornalismo nostrani lo dipinsero in modo sempre più negativo, sicché assurse pian piano nell’immaginario collettivo ad emblema stereotipato di “stato guidato da razzisti bianchi oppressori della popolazione nera”. Tuttavia, essendo una pedina molto importante nell’ambito della Guerra Fredda, il blocco occidentale evitò di boicottarlo in modo smaccato, poiché si temeva il successo di movimenti filosovietici così com’era avvenuto in Angola e Mozambico. Quando però, col crollo del blocco comunista, non fu più necessaria agli Stati Uniti la conservazione dello status quo, la situazione esplose definitivamente e si giunse così al 1994, col crollo completo del sistema politico e sociale sudafricano, fino ad allora basato sul concetto di apartheid.
Chi seguiva la politica già nel 1994 ricorderà la grancassa massmediatica di buona parte dei paesi occidentali, in giubilo per l’avvento della libertà e della democrazia in quel paese. Nelson Mandela, principale artefice del cambiamento, fu subito idolatrato e quasi civilmente santificato, entrando in quella sorta di olimpo di personaggi intoccabili, le cui citazioni appaiono, spesso a sproposito, un po’ dappertutto: egli ebbe così il suo posto accanto a Gandhi, Giovanni XXIII, John Lennon e tanti altri personaggi mitologici del XX secolo.
Ma qual è la realtà? Corrisponde veramente a queste visioni semplicistiche? Cercheremo di scoprirlo insieme attraverso il presente approfondimento, che si suddividerà in tre parti.
Nella prima parte sarà illustrata la storia del Sudafrica fino al 1994; storia la cui conoscenza è indispensabile per comprendere gli eventi successivi e l’attualità. Una particolare attenzione sarà poi dedicata al concetto politico di apartheid.
Nella seconda parte sarà spiegata la storia recente e l’attualità del Sudafrica.
Nella terza parte sarà infine raccontata un’esperienza personale dell’autore, tratta direttamente dal suo diario di viaggio, e si trarranno le conclusioni.
1. La storia del Sudafrica fino al 1994
Non è questa la sede per raccontare compiutamente la storia di un paese così complesso come il Sudafrica. Ci limiteremo pertanto a tratteggiarne gli eventi fondamentali, utili per comprendere i problemi dell’attualità, sottolineando in particolare gli aspetti etnografici e politici.
1.1. L’inizio del popolamento dell’Africa australe
L’area oggi occupata dalla Repubblica Sudafricana era, almeno fino all’epoca moderna, una delle meno abitate dell’Africa. Pur essendo ricca e fertile, essa ospitava infatti più che altro sparuti gruppi di genti boscimane e ottentotte (i cosiddetti khoisan), che si vantano infatti di essere i più antichi abitatori del paese. Queste razze sono sì camite, ma di ceppo completamente diverso da quello bantù. I caratteri sono meno negroidi, la pelle più chiara, la stazza e la conformazione delle ossa più piccole. Essi, da tempo immemorabile, vivevano in modo assai primitivo, limitandosi soprattutto a cacciare e nutrirsi di vegetazione spontanea. Nei secoli successivi mossero dal centro dell’Africa genti di stirpe bantù. I Bantù sono il gruppo eminentemente più rappresentativo delle razze negroidi. Il gruppo si suddivide a sua volta in un gran numero di razze e tribù (oggigiorno in Sudafrica se ne contano nove: Zulu, Xhosa, Venda, Ndebele del Sud, Sotho del Nord, Sotho del Sud, Swazi, Tswana, Tsonga). Queste genti sono scurissime di pelle, fisicamente forti, vigorose e molto combattive. Ebbero così facilmente la meglio su Boscimani ed Ottentotti e riuscirono a colonizzare qualche area soprattutto orientale dell’Africa australe, che tuttavia rimaneva nel suo complesso in gran parte disabitata.
I primi bianchi, di razza portoghese, giunsero invece nella parte sud-occidentale alla fine del XV secolo, in seguito ai viaggi di Bartolomeo Diaz, e il Capo di Buona Speranza divenne già nel ‘500 una stazione d’appoggio per la via delle Indie. Ma il vero e proprio inizio della colonizzazione bianca è del secolo successivo: nel 1652 i primi 18 coloni di schiatta olandese, agli ordini del medico di bordo Jan Van Riebeck (1619-1677), sbarcarono e presto si organizzarono fondando Kaapstad, Città del Capo. Inizialmente la gestione fu affidata alla Compagnia Olandese delle Indie, ma non vi era affatto una vera e propria politica colonizzatrice. Sin da subito i coloni si considerarono autonomi e indipendenti, allo stesso modo in cui nell’antichità greca avvenivano le colonizzazioni di nuove aree (si pensi alla Magna Grecia, con la costituzione di nuovi stati del tutto indipendenti dall’originaria madrepatria).
Presto giunsero altri olandesi, in particolare frisoni, a cui si unirono altre genti germaniche, in maggioranza bavaresi, e ugonotte, alcune delle quali in fuga dalle guerre di religione che allora imperversavano in Europa. L’unione di queste stirpi forgiò nel tempo una nuova schiatta, che da allora si sarebbe detta Boera (da Boeren, contadini) o Afrikaner (letteralmente Africani; localmente è il termine più utilizzato anche se qualcuno lo usa in modo più esteso rispetto al termine Boer, indicando con essa tutti i bianchi che parlano l’afrikaans). Questa nuova razza si caratterizzò subito dal punto di vista religioso (Cristianesimo, in maggioranza di tipo protestante calvinista) e linguistico (dagli originari dialetti, in particolare frisoni, nacque nel corso del tempo una nuova lingua, appunto l’afrikaans). Al seguito dei Boeri, giunsero via via altre genti di varie razze asiatiche, provenienti specialmente dalle Indie Olandesi (Indonesia) e dalla Malesia.
1.2. L’arrivo degli Anglosassoni e il Groot Trek Boero
I Boeri, più che con le genti cafre, quasi inesistenti nella zona del Capo, dovettero far presto i conti con un’altra ingombrante popolazione bianca: gli Anglosassoni. Questi giunsero in Sudafrica già nel 1795 prendendo possesso di Città del Capo con la forza. Vistosi riconosciuto codesto possesso dal Congresso di Vienna del 1815 e opportunamente indennizzata l’Olanda, gli Inglesi iniziarono la loro strategia di penetrazione coloniale nel continente Africano da sud. I Boeri, che ormai erano decine e decine di migliaja, rifiutarono in massa gli ordinamenti e l’oppressione britannica e decisero di emigrare verso nord e verso est: iniziò così la ventennale epopea del Groot Trek (Grande Marcia): tra il 1835 e il 1854 carovane interminabili di Boeri attraversarono, affrontando difficoltà estreme, territori impervi e inospiti, spesso scontrandosi violentemente contro tribù Zulu e altre genti Cafre. Attraversando le pericolose montagne dei Draghi (Drakensberg) e spingendosi oltre il fiume Vaal, essi si sparpagliarono in tutto il Sudafrica nord-orientale e alcuni giunsero fino in Rhodesia e nel Mozambico. Fu così che iniziò la costituzione di una serie di Stati indipendenti, le cosiddette Repubbliche Boere, le principali delle quali costituirono i nuclei originari delle future Province Sudafricane: il Natal, l’Orange, il Transvaal (quest’ultimo originariamente detto semplicemente Repubblica Sudafricana). Tra i capi Boeri più significativi dell’epoca vi fu Andries Pretorius (1798-1853), da cui il nome della città di Pretoria.
Se gli Inglesi riuscirono a conquistare presto il Natal (1842), con l’Orange la cosa fu più ardua, poiché dopo averlo conquistato (1848), a causa di insurrezioni interne alla Provincia del Capo, dovettero ritirarsi e riconoscere l’indipendenza di uno Stato Libero (1854); circa il Transvaal, essi non riuscirono ad annetterlo e furono infine duramente sconfitti a Majuba Hill (1881, Prima Guerra Boera), sicché, con la Convenzione di Pretoria dello stesso anno, questo Stato fu riconosciuto come pienamente indipendente da tutte le parti in causa. Ma la bramosia Britannica non cessò per questo di premere verso nord e la scoperta di ricchi giacimenti aurei nel Transvaal fece ancor più prepotentemente convergere l’interesse inglese verso l’area. Un afflusso continuo di cercatori d’oro e affaristi britannici scombinò la compagine etnica del Transvaal. Inoltre, a complicare ancor più il già intricato mosaico etnico sudafricano, al seguito dei britannici affluirono numerosi asiatici provenienti dall’India, utilizzati soprattutto come lavoratori agricoli nel Natal. Nel corso del tempo giunsero anche gruppi di cinesi, nonché di bianchi non germanici (tra cui Italiani, alcuni dei quali erano presenti addirittura già ai tempi del Grande Trek)."
Se a ciò s’aggiunge la politica di espansionismo coloniale promossa dal Primo Ministro della Colonia del Capo Cecil Rhodes negli anni ’90 del XIX secolo, si comprendono bene le premesse dell’imminente guerra anglo-boera. Le Repubbliche Boere si ritrovarono presto accerchiate, poiché a nord, sia la Beciuania (Botswana) che le due Rhodesie (Zambia e Zimbabwe) erano ormai sotto stretto controllo Britannico, come peraltro già erano i Regni cafri degli Suazi e dei Basuto (i futuri Swaziland/Eswatini e Lesotho). Nonostante l’intransigente politica del Presidente Paul Kruger (1825-1904), i Boeri non riuscirono ad evitare la penetrazione Britannica e lo scontro divenne inevitabile.
1.3 La Guerra Anglo-Boera (1899-1902) e il colonialismo Britannico
Dopo il fallito tentativo di fomentare rivolte interne (il cosiddetto Jameson raid del 1895) agli Inglesi non rimaneva che la guerra, che fu però formalmente dichiarata dai Boeri, vistisi ormai in grave pericolo, il 9 Ottobre 1899. I Britannici pensavano di aver gioco facile, data la sproporzione delle forze in campo, ma la resistenza Boera fu di una forza e di un’audacia degna delle migliori schiatte guerriere, sicché ci vollero tre anni e tutto il genio militare del Generale Roberts per averne ragione. La Seconda Guerra Boera, o Guerra Anglo-Boera propriamente detta, terminò così coi Trattati di Vereeniging e di Pretoria, entrambi del 1902, coi quali l’Impero Britannico annetteva Orange e Transvaal. Rimasero tristemente noti i campi di concentramento per i Boeri sconfitti allestiti dagli Inglesi. Kruger andò in esilio terminando i suoi giorni in Isvizzera.
Solo nel 1909 i Britannici fondavano l’Unione Sudafricana, federata dei quattro territori (le tradizionali Province del Sudafrica) conquistati nel tempo: Capo, Natal, Orange, Transvaal. La maggioranza della popolazione bianca del territorio restava però boera, sicché gli Anglosassoni dovettero scendere a patti. Il primo gabinetto del nuovo stato eretto a Dominion (1910) fu infatti affidato a un boero, eroico reduce della guerra ma conciliante, il Generale Louis Botha (1862-1919), che con Jan Smuts (1870-1950) aveva fondato il Partito Sudafricano. Botha accondiscese alla politica bellica della Gran Bretagna nella Prima Guerra Mondiale, nonostante l’opposizione di gran parte della comunità Afrikaner, che sfociò nella Rivolta Boera, apertamente filo-tedesca, guidata dal Generale Manie Maritz, che si unì all’esercito tedesco di stanza in Africa del Sud-Ovest. Domata la ribellione, il governo Sudafricano occupò l’intera Africa del Sud-Ovest già tedesca (Namibia), affidatagli poi in mandato dalla Società delle Nazioni. Smuts successe a Botha e il Sudafrica fu riconosciuto come Stato nell’ambito dell’Impero Britannico e ammesso nella Lega delle Nazioni. Tuttavia la politica moderata e filo-inglese di Smuts rimase invisa a gran parte dei Boeri, tanto che nelle elezioni del 1924 il Partito Sudafricano fu nettamente sconfitto dal Partito Nazionale, che espresse il nuovo Primo Ministro, James Barry Munnik Herzog (1866-1942).
1.4 Il Sudafrica tra le due guerre mondiali
Herzog inaugurò così una politica che potremmo già definire di apartheid, su cui riuscì a far convergere anche il Partito Sudafricano, giungendo all’unione dei due partiti nel Partito Nazionale Unito Sudafricano (1933). Intanto a livello di politica economica interna si assisté a una crescita notevole, grazie all’abilità boera in due settori fondamentali, quello agricolo e quello minerario: dal nulla, i bianchi Afrikaner crearono un sistema produttivo efficace ed efficiente. Alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, Herzog promosse una politica di sganciamento dalla Gran Bretagna e di avvicinamento all’Asse. In questo periodo ebbe una certa diffusione l’associazione nazionalista boera Ossewabrandwag (letteralmente sentinella del carro trainato dai buoi), che si proponeva una stretta alleanza con la Germania Nazionalsocialista, anche in virtù della comunanza razziale (sia Tedeschi che Boeri appartengono al ceppo continentale del gruppo Germanico).
Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, Herzog cercò di ottenere almeno la neutralità, ma la dura ostilità dei bianchi anglosassoni provocò la caduta del suo governo (1939). Gli successe ancora una volta Smuts, che accolse le direttive della Gran Bretagna, affiancandola in una guerra che fu alfine vittoriosa.
1.5 Il Sudafrica dell’apartheid: dai successi al crollo
Annessa definitivamente l’Africa del Sud-Ovest (annessione che la neocostituita ONU non riconobbe mai), il Sudafrica si avviò (1948) col nuovo governo di Daniel François Malan (1874-1959) a risolvere in modo più deciso il problema della confusione razziale, ormai difficile da gestire. Oltre a tutte le razze citate, iniziava allora ad essere consistente anche il numero dei sanguemisti, più che altro derivati da incroci di bianchi con neri (tipicamente tra uomini Boeri e donne Ottentotte), denominati localmente coloureds, sicché furono proibiti i matrimoni misti, al fine di evitare di disperdere le numerose identità culturali.
Legati ai concetti espressi a suo tempo dalla Ossewabrandwag e a quelli dell’Afrikaner Broederbond (Lega dei Fratelli Afrikaner) i due nuovi partiti di governo, Herenigde Nasionale Party (Partito Nazionale Riunificato) e Afrikaner Party (Partito Afrikaner), diedero il via al pieno sviluppo della politica di apartheid, puntando a una gestione completamente Boera dello Stato centrale, in quanto erano i Boeri ad aver fondato e costruito il paese. Il Governo costituito da Malan escludeva infatti anche i Bianchi Anglosassoni. Questi ultimi, essendo tradizionalmente abili commercianti, sarebbero poi stati coinvolti soprattutto nella gestione economica del paese, mentre a livello politico rimasero sempre in posizione subordinata rispetto ai Boeri, pur godendo dei principali diritti politici. Il Governo centrale avrebbe dovuto nel tempo delegare il potere locale alle varie razze insediate in territori ben specifici. Come vedremo meglio, in base al principio dell’apartheid, ogni razza avrebbe dovuto infatti svilupparsi autonomamente in un proprio settore territoriale, con una propria economia e una propria politica (in particolare per le razze cafre furono costituite le cosiddette Patrie Bantù).
I due partiti di governo si fusero nel 1951, costituendo quel Partito Nazionale che avrebbe ininterrottamente guidato il Sudafrica fino al 1994. In tutto questo lasso di tempo, in particolare coi governi di Johannes Gerhardus Strijdom (dal 1954 al 1958), Hendrik Frensch Verwoerd (dal 1958 al 1966: con lui nel 1961 il Sudafrica recise definitivamente ogni legame con l’Impero Britannico e da Unione divenne Repubblica), Balthazar Johannes Vorster (dal 1966 al 1978) e Pieter Wilhelm Botha (1978 al 1989, dal 1984 come Presidente, dopo la riforma presidenzialista) fu realizzato compiutamente il sistema politico dell’apartheid, anche se in modo incompleto e non precisamente collimante con le idealità che ne stavano alla base.
Si realizzò così una grande crescita economica, ma si accrebbero vieppiù le tensioni razziali.
Con l’avvento alla presidenza di Frederik De Klerk (dal 1989 al 1994) si ebbe il progressivo smantellamento dell’apartheid, per la verità già iniziato sotto la presidenza Botha, fino al suo crollo definitivo. De Klerk liberò e chiamò al suo fianco lo Xhosa Nelson Mandela, il capo del Congresso Nazionale Africano (African National Congress, ANC), il principale partito dell’opposizione nera, legalizzato dallo stesso De Klerk.
Gravi scontri però avvennero tra gli Zulu nazionalisti del Partito della Libertà Inkatha[1] (Inkatha Freedom Party, IFP, guidato da Mangosuthu Buthelezi e ispirato dal Re Zwelithini), che desideravano essere gli unici interlocutori di De Klerk, e l’ANC, che alla fine ebbe la meglio. Gli Zulu si dovettero accontentare dell’istituzione di un loro Regno autonomo (il Kwazulu-Natal) nell’ambito della riforma amministrativa del paese (1994), che riunì le vecchie quattro Province tradizionali (Capo, Natal, Stato Libero dell’Orange, Transvaal) e le dieci Patrie Bantù (Transkei, Bophutatswana, Venda, Ciskei, Kwazulu, Lebowa, Qwaqwa, Gazankulu, KaNgwane, KaNdebele) nelle attuali nove Province (Capo Occidentale, Capo Settentrionale, Capo Orientale, Stato Libero, Gauteng, Regno del KwaZulu-Natal, Limpopo, Mpumalanga, Nordovest).
1.6. I principî dell’apartheid: soltanto razzismo o tentativo fallito di indipendenza?
In Europa spesso si parla di apartheid senza nemmeno sapere di che teoria politica e filosofica si stia parlando. Per scoprirlo occorre studiare da un lato gli scritti dei principali pensatori sudafricani che lo teorizzarono, dall’altro le applicazioni politiche che ne seguirono.
Il Primo Ministro Malan disse un giorno che apartheid “significa per i non bianchi un’ampia indipendenza, poiché li abitua a contare su se stessi e a sviluppare la propria dignità personale. L'apartheid offre loro, allo stesso tempo, una maggiore possibilità di svilupparsi liberamente, conformemente al loro carattere e alle loro capacità.”
Il Primo Ministro Verwoerd a sua volta definiva l’apartheid “una politica di buon vicinato” tra le varie razze.
Come potevano costoro affermare ciò se l’apartheid fosse solo mero sopruso? Vediamo in dettaglio di capire questa teoria politica, senza pregiudizi di sorta, descrivendola soltanto in modo oggettivo.
L’apartheid, termine che in afrikaans significa separazione, è un sistema filosofico, sociale e politico sudafricano che fu sviluppato a livello sia teorico che pratico nel XX secolo. La definizione corretta e ufficiale di questo sistema è sviluppo separato di comunità. I principali pensatori che svilupparono questa dottrina socio-politica furono Hendrik Frensch Verwoerd, Werner Eiselen, Daniel François Malan e Johannes Gerhardus Strijdom.
Il concetto di apartheid trae origine dall’ideale nazionalistico Cristiano boero, affondando le sue radici nel pensiero puritano dei secoli della riforma (con riferimento particolare al calvinismo) e strutturandosi nel particolare contesto etnografico sudafricano.
Il presupposto fondamentale è dato dal fatto che i Boeri, fondatori del Sudafrica come entità politica, costituiscono una collettività spirituale dotata di un costume sociale comune, caratterizzato da frugalità, moralità, religiosità e intraprendenza. Essi devono perciò ottemperare a due obblighi morali essenziali: il primo è quello di civilizzazione, far trionfare cioè gli ideali della civiltà Cristiana bianca in una terra difficile e composita come quella sudafricana (concetto tipicamente europeo); il secondo è quello di preservare le individualità comunitarie ed etniche da reciproche corruzioni (concetto tipicamente africano appreso direttamente dal tribalismo bantù).
Le due suddette istanze, che potrebbero di primo acchito sembrare contraddittorie, vengono conciliate nel concetto di sviluppo separato: le comunità devono sì svilupparsi, ma mantenendo inalterata la propria identità culturale, territoriale ed etnica. Se infatti si imponesse un miscuglio etnico in un unico territorio, l’unico risultato sarebbe lo sradicamento delle popolazioni e la loro riduzione in schiavi del processo economico.
Un terzo elemento si aggiunge per completare l’impalcatura filosofica dell’apartheid. Le radici di questo sistema non sono infatti scevre da una certa influenza anglosassone: il colonialismo britannico, contrariamente ai colonialismi latini, tese sempre ad applicare una netta separazione tra gruppi etnici e il suo influsso contribuì notevolmente a cementare in Sudafrica il già forte principio di separazione di comunità tipico come abbiamo visto sia del puritanesimo boero sia del tribalismo cafro.
Pertanto l’unico modo per salvaguardare l’indipendenza dei vari gruppi etnici è far sì che si sviluppino autonomamente nel proprio territorio. Si può dire in sintesi che l’obiettivo originario di questo sistema fosse l’indipendenza dei singoli gruppi etnici, quale estensione del principio dell’autodeterminazione dei popoli. Tale obiettivo non fu però mai raggiunto.
1.7. L’applicazione politica, sociale ed economica dell’apartheid
Nell’ambito della preservazione delle identità, vi furono scuole di pensiero che privilegiavano l’aspetto politico e territoriale della questione (scuola del grande apartheid di Eiselen), mentre altre si basavano soprattutto sull’aspetto sociale ed educativo (scuola del piccolo apartheid di Verwoerd). Ambedue queste impostazioni ebbero una certa influenza pratica, ma soprattutto la seconda divenne nel tempo preminente, fondamentale per delineare il cosiddetto apartheid sociale, ossia quell’insieme di norme giuridiche, usi e costumi tesi a suddividere la vita delle varie etnie anche quando esse fossero compresenti, ad esempio per motivi lavorativi, in uno stesso territorio.
Politicamente ed economicamente l’apartheid si applicò in modo alquanto dirigistico, poiché furono gli enti statali (in particolare governo centrale bianco e governi locali neri) a gestire il lavoro e il capitale attraverso Corporazioni di Sviluppo, presenti in ogni territorio etnico. Di grande importanza furono perciò le norme emanate circa l’educazione e l’autogoverno dei Bantù, promosse in particolare da Verwoerd. Nel corso del tempo furono infatti insediate le già citate 10 Patrie Bantù (volgarmente dette bantustan, ufficialmente tuislande e homelands, rispettivamente in afrikaans e inglese). Tra queste Transkei, Bophutatswana, Venda e Ciskei furono dichiarate unilateralmente indipendenti tra il 1976 e il 1981 e il Kwazulu si avviava a diventarlo. Questi nuovi Stati furono organizzati da esponenti politici Bantù quali Lucas Mangope, Kaiser Matanzima, Holomisa Bantù, Oupa Gqozoe e Mangosuthu Buthelezi, il capo zulu dell’Inkatha Freedom Party.
Per ciò che concerne i gruppi etnici privi di un territorio di riferimento (coloureds e asiatici) furono previste assemblee specifiche a livello centrale. Tuttavia esse funzionarono regolarmente e in modo costituzionale molto tardi, con l’instaurazione del tricameralismo (1983).
Il bilancio dell’applicazione di questi principî tra gli anni ’50 e ’60 fu sostanzialmente positivo. Il Sudafrica divenne un colosso economico di importanza mondiale e le stesse condizioni di vita dei negri divennero le migliori dell'intero continente: durata di vita media di 10 anni superiore; tasso di alfabetizzazione doppio; reddito pro capite triplo (sempre rispetto alla media dell'intero continente); costante immigrazione nera dagli altri paesi verso il Sudafrica. I dati sono stati pubblicati da tempo e sono facilmente consultabili. Da segnalare anche il grande sviluppo delle lingue, delle letterature e delle culture etniche, nonostante ciò che dicano i detrattori dell’apartheid. In particolare fiorirono le letterature Afrikaans e Inglese (lingua usata spesso anche da poeti e romanzieri non bianchi), ma anche quelle Bantù ebbero un grande sviluppo: in particolare quelle delle tribù minori si svilupparono di più durante l’apartheid. In nessun altro stato africano le lingue etniche si svilupparono come in Sudafrica, tanto che sono assurte oggidì a livello di lingue ufficiali.
1.8. Cause del declino e del crollo dell’apartheid
Nonostante i notevoli successi economici e culturali delle impostazioni prima descritte, il funzionamento del sistema fu minato sin dall’inizio da alcuni fattori di origine esterna ed interna. Tali fattori ne causarono alla lunga il declino e il crollo.
Tra i fattori esterni principali annoveriamo anzitutto il contesto internazionale, costituito dai due blocchi della Guerra Fredda, entrambi ideologicamente sempre più lontani, e il conseguente sempre maggior isolamento del Paese: il crollo del comunismo nel mondo a cavallo degli anni ’80 e ’90 giocò paradossalmente un ruolo sfavorevole, poiché, come già accennato, il blocco occidentale non ebbe più alcun interesse a mantenere lo status quo in Africa australe, sicché il Sudafrica fu largamente boicottato da gran parte della cosiddetta “comunità internazionale”.
Ma il vero fattore chiave che costituì il fallimento dell’apartheid fu tutto interno al gruppo dirigente bianco e al trionfo della scuola del piccolo apartheid. Paradossalmente si può dire infatti che l’apartheid fallì perché non fu applicato appieno: è evidente che se da un lato si pretende lo sviluppo separato, ma da un altro si permette che ci si avvalga di manodopera multietnica, magari a basso costo, il sistema è viziato da un errore di fondo, che inevitabilmente causa ingiustizie e legittimo desiderio di rivalsa. I nazionalisti Boeri lo dissero da sempre: se si vuole veramente essere autonomi, occorre fare tutto da sé, dalla gestione delle industrie alla pulizia delle strade. Altrimenti, considerando la semplice forza numerica dell’insieme dei non bianchi, il sistema è destinato al fallimento. Infatti l’opposizione interna, in particolare nera ma anche di altre razze, crebbe manifestandosi sempre più violentemente, sicché il pragmatismo iniziò via via a sostituirsi all’impostazione filosofica e il regime fu nel tempo costretto a curare vieppiù l’aspetto repressivo a scapito di quello propositivo con esiti fallimentari, in una sorta di circolo vizioso.
Nonostante il tentativo di Pieter Willem Botha di riprendere l’impostazione filosofica originaria dell’apartheid attraverso la difesa del lavoro, con lo sviluppo e l’appoggio dei sindacati neri (1979), la situazione precipitò negli anni ’80 e nel 1991 l’impalcatura del sistema era di fatto già smantellata.
(continua con la seconda parte “Dal 1994 ad oggi: la democrazia multietnica”)
Vittorio VETRANO
[1] "INkatha" in lingua isiZulu è un particolare oggetto artistico fatto di fascine e, simbolicamente, rappresenta la razza Zulu.
Foto di copertina: XVII secolo: il primo incontro tra Boeri e Boscimani in un bellissimo quadro di Charles Davidson Bell (1813-1882).