Il precedente pezzo, affrontando il “grande problema” del frazionamento del mondo monarchico, permette al nostro amico Leonardo Rivalenti di inserirsi nel dibattito con la sua riflessione sull’identità nazionale e sulla necessità di un nazionalismo monarchico.
SERVE UN NUOVO NAZIONALISMO MONARCHICO
Se la monarchia ha fatto l’Italia e l’ha resa grande, duole dover ammettere i monarchici italiani non siano riusciti a tenerne alti i colori. Essi infatti, partiti come una forza politica di tutto rispetto nel secondo dopoguerra, hanno visto, tra un errore e l’altro, la loro influenza declinare sempre più, fino a quando la morte di Re Umberto II in esilio, nel 1983, non ha inflitto il colpo di grazia. Alla fine del 2020, al movimento monarchico italiano, in tutte le sue sfaccettature, si può tranquillamente diagnosticare la morte cerebrale, essendo questo diviso tra questioni dinastiche, nostalgie pre-unitarie e una miriade di movimenti, associazioni e circoli, molti dei quali di stampo prettamente autoreferenziale. Conseguenza di ciò è la paralisi più totale, l’assenza di dinamismo, l’incapacità di attrarre nuovi membri, con conseguente contrazione graduale al passo in cui i membri più esperienti andranno incontro al destino inevitabile e, elemento a cui questo articolo intende dare più attenzione, la paralisi intellettuale. Tuttavia, questo non vuole essere un articolo disfattista, sentimento becero e ahimè troppo comune nell’Italia odierna. Piuttosto, vuole essere un articolo che identifica almeno uno dei grandi problemi del monarchismo attuale, per cercare di elaborare o almeno abbozzare, a partire da lì, una proposta di soluzione.
Se dovessimo cercare di raggruppare tutta l’accozzaglia di gruppi e associazioni monarchiche in poche categorie, vedremmo che la suddivisione fatta dal repubblicano Giovanni Spadolini nel lontano 1950 regge ancora, senza fare una piega: v’è un filone, secondo chi scrive ancora maggioritario, di monarchici liberali, laicisti, parlamentaristi e moderati, che si rifanno alla tradizione risorgimentale. Vi è quindi un secondo filone, un tempo marginale ma oggi più consistente di reazionari, tradizionalisti cattolici, molti dei quali rivolgono lo sguardo alle monarchie pre-unitarie e al Congresso di Vienna quale equilibrio (quasi) ideale rimpiazzato da un Regno d’Italia usurpatore e liberale. Infine, abbiamo i monarchici nazionalisti, minoritari ma comunque esistenti, eredi, almeno spirituali dell’Associazione Nazionalista Italiana, parte dei quali forse ha anche militato nelle file del MSI-DN. Questi sicuramente condividono l’affetto per il Risorgimento con i liberali, ma mantengono posizioni più vicine alla destra sociale, allo stato organico e ad un’idea più tradizionale o tradizionalista di monarchia.
Naturalmente, ça va sans dire, complice del fallimento è anche l’infantile disputa tra Savoia-Aosta e Savoia-Carignano su chi avrebbe le pretese più legittime su un trono ormai defunto (Ciampi lo fece addirittura rimuovere fisicamente dal Quirinale) Trono d’Italia. Ostacolo di per sé sormontabile, se i monarchici avessero saputo portare avanti un’opposizione più sostanziale e se si vuole “rivoluzionaria” contro l’imperante regime. Così però non è stato. Al contrario, i monarchici si sono spesso abbandonati al passatismo o non hanno saputo/voluto fornire risposte ai problemi che affliggono l’Italia e l’Europa. Primi fra tutti, i liberali si sono spesso rivelati troppo condiscendenti con il sistema repubblicano, accettando i suoi valori e le sue politiche, almeno nell’essenza. Questo è evidente già nell’accettazione di un modello monarchico in cui il sovrano rimpiazzerebbe semplicemente il Presidente della Repubblica, diventando nei fatti una figura decorativa. O ancora, lo è nell’evitare di schierarsi in questioni di grande politica, in nome del ruolo super partes della monarchia, così come nell’impossibilità di contestare i valori liberaldemocratici, essendo questi, nei fatti, insiti al sistema repubblicano.
Se i liberali quindi peccano di eccessiva compiacenza, i reazionari e i nazionalisti tendono invece a peccare di eccessivo passatismo. I primi infatti, tendono spesso a impelagarsi in un discorso profondamente religioso, che però ormai non trova più eco nemmeno in seno alla loro istituzione madre: la Chiesa Romana, ormai ostaggio di forze progressiste incarnate dall’attuale Pontefice. Naturalmente questo può non costituire un problema se si accetta l’idea che il reazionario deve porsi a difensore della Dottrina Cattolica più ortodossa, a prescindere dalla sua applicabilità. Ciò tuttavia condanna questo filone, nei fatti, all’irrilevanza politica. Prodotto di tale visione, sebbene non appartenenti a questo, sono anche i monarchici pre-unitari, come i neoborbonici. Questi, sebbene non irrilevanti sono dannosi, dal momento in cui negano l’unità nazionale, minando quindi la già precaria coesione del nostro tessuto sociale e tutto questo per inseguire chimere irraggiungibili, come potrebbe essere un nuovo Regno delle Due Sicilie. Non migliore risulta però essere la condizione dei nazionalisti, i quali oltre ad essere poco rappresentati a livello associativo ed editoriale, scadono spesso nel nostalgismo o si aggrappano a proposte vecchie, spesso inadeguate ai tempi attuali. Inoltre, diversamente da quanto avveniva nella prima metà dello scorso secolo, in cui vi era un movimento nazionalista e monarchico bene articolato, ad oggi, il nazionalismo sembra monopolizzato da organizzazioni e gruppi di orientamento repubblicano, a cui molti monarchici appartenenti a questa categoria sembrano inclini ad adeguarsi.
Tuttavia, almeno nella visione di chi vi scrive, di queste tre correnti, il nazionalismo monarchico è quella che ha il maggiore potenziale sia per ravvivare il movimento, sia per proporre una vera alternativa al sistema repubblicano. Questo perché il nazionalismo, a seconda di come lo si plasma, ha la capacità di conciliare il passato glorioso della nazione con la proiezione verso il futuro, grazie alla concezione competitiva del sistema internazionale che deriva da esso. Inoltre, la Repubblica Italiana, nata dalla consacrazione della sconfitta, è nata antinazionale e antinazionalista e così si è dimostrata nei fatti fino ad ora. Quindi un movimento monarchico e nazionalista quale l’Action Française in Francia potrebbe essere in grado di presentare una contestazione seria, rilevante e appetibile all’attuale regime. Vale infine considerare il dibattito sul ruolo e sul peso dello Stato-Nazione e del concetto di sovranità in Europa e nelle sue ex colonie, in cui i modelli internazionalistici consolidati negli anni ’90 sono sempre più criticati e in cui un nazional-monarchismo si può inserire come alternativa al nazional-populismo.
Tralasciando il discorso sullo stato, che meriterebbe una discussione a sé, sul piano identitario, un nazionalismo monarchico dovrebbe puntare a pacificare le contradizioni inerenti alla nostra identità nazionale (e di conseguenza monarchica). Pacificazione che deve in seno al mondo monarchico, volgendosi alle contradizioni in seno ad esso. Più esattamente, si tratta di conciliare l’idea identitaria legata al Regno d’Italia con le identità regionali e locali spesso associate alle monarchie pre-unitarie che si contrapposero a Casa Savoia. Questo perché se da una parte l’unità nazionale e il bene indissolubile del Re e della Patria non devono essere negoziabili, dall’altra occorre riconoscere che il centralismo che ha contraddistinto buona parte della storia dell’Italia unificata, pecca di inflessibilità e inorganicità, rischiando di non farsi sufficientemente rappresentativo di un’identità complessa come la nostra.
Proprio dall’accettazione di tale complessità e frequenti contrasti entro l’identità italiana si profila la natura del discorso identitario che i monarchici del ventunesimo secolo devono portare avanti, facendo in primo luogo pace, al loro interno, con il passato pre-unitario. Infatti, per oltre mille anni la nostra penisola è stata disunita e divisa in diversi stati, ognuno dei quali con i suoi momenti di gloria e i suoi momenti bui. Ciò vale anche per il periodo intercorso tra il Congresso di Vienna e l’Unità d’Italia, dove sovrani come gli Asburgo-Estensi di Modena erano sinceramente intenti a promuovere i migliori interessi dei loro territori e per questo furono amati dalla popolazione. Piaccia o no, l’Unità d’Italia ha quindi rappresentato uno strappo con realtà consolidate. Uno strappo necessario, inevitabile per impedire che l’Italia continuasse ad essere terra di conquista, ma pur sempre tale. Già da subito, l’integrazione della Corona Ferrea di Lombardia ai simboli del neonato Regno d’Italia rappresentò un tentativo di ricucire tale strappo, richiamando l’eredità del Regnum Italiae medievale. Tuttavia, ciò era il massimo che il Regno d’Italia poteva fare, con un’identità nazionale ancora da forgiare e di conseguenza necessitante ancora di identificare in quegli stati immediatamente precedenti la sua nascita il nemico.
Oggi i tempi sono cambiati e con essi anche il discorso sull’identità. Più di settant’anni di malnata repubblica stanno portando questo paese allo sfacelo, liquidando la sua sovranità e dissolvendone la nazione nella massa grigia e anodina di una società aperta e globalizzata. I nazional-populisti, se da un lato rappresentano una risposta a questa degenerazione, non si rivelano capaci di promuovere soluzioni di lungo termine. Un monarchismo nazionalista invece potrebbe avere questa potenzialità. Rivolgendoci dunque all’ambito a cui questo articolo è dedicato, un’alternativa monarchica dovrebbe quindi fondarsi sull’accettazione nell’epica nazionale anche delle monarchie pre-unitarie (oltre che delle già accette repubbliche marinare), spesso intimamente legate alle piccole patrie interne alla più grande Patria Italica. Occorre quindi riconoscere e accettare anche il loro contributo, pur mantenendo fermo il fatto the il Regno d’Italia, sotto la guida di Casa Savoia rappresenti la culminazione dei destini e della missione storica dell’Italia. Sia invece la repubblica, grande nemico da abbattere, l’incarnazione dell’anti-nazione, nata dalla sconfitta e dall’umiliazione e portatrice di divisione e annullamento. In questo modo, la restaurazione della monarchia non potrà che essere un momento di riconciliazione della nazione con il suo passato, quindi con la sua anima, ergo un momento di restaurazione e rinsaldamento di essa, tale da permetterle di proiettarsi nel futuro e riprendere la missione storica che dal tracollo di Roma non è mai più stata compiuta.
Leonardo RIVALENTI