FOCUS DI APPROFONDIMENTO: "MONARCHISMO PRE-UNITARIO"

Siamo giunti al termine di questo primo nostro focus di approfondimento sul "Monarchismo pre-unitario". Vogliamo concludere cercando di sintetizzare tutte le riflessioni fin qui esposte, sperando che questo nostro lavoro abbia stimolato la curiosità dei nostri gentili lettori e possa costituire una base teorica costruttiva per futuri approfondimenti.


CONCLUSIONI


Abbiamo voluto approfondire il tema del “monarchismo pre-unitario” e l’abbiamo fatto con interventi di spessore, cercando di sviscerare molti aspetti di questa controversa questione. Molto è stato detto e molto resta da dire. Sia ben chiaro: abbiamo tentato tutto ciò non per un mero esercizio di stile ma per affrontare un tema spinoso che risulta sovente divisivo, un tema già presente in seno allo stesso Fronte Monarchico Giovanile dei gloriosi tempi andati e che, se ignorato, tornerà sempre a galla.

Ci sia consentita una digressione: ogni epoca storica ha il suo perché, è determinata da cause (ora dirette ora indirette) ben precise e porta con sé luci ed ombre, verità e menzogne, eroismi e violenze; ogni epoca storica va sottoposta a quel sano, incessante, revisionismo scevro da rancori e vizi ideologici, che è nel DNA della vera storiografia, fatta di ricerca appassionata ma libera da pregiudizi e dogmi; revisionismo significa mettere in discussione, sempre, tutto ciò che si dava per scontato, tuttavia non significa denigrare, negare validità, ribaltare l’epoca storica che si vuole riconsiderare. Diceva Benedetto Croce che la Storia deve giustificare, non condannare, perché ogni fatto ha un suo perché, ha una sua causa diretta o indiretta e va compreso calandosi nella mentalità dell’epoca in cui accade: ogni eventuale errore commesso (per cattiva strategia o per sfortuna) va sempre storicizzato, cercando di comprenderne i coefficienti storici e considerando che è sempre facile giudicare con il senno di poi (anche se, ovviamente, una condanna morale - indipendente dalle motivazioni sottostanti - non può non gravare su genocidi, attentati terroristici, massacri, stupri, bombardamenti su obiettivi civili, ecc…).

Pertanto, sulla scorta di quanto sopra, anche l’epoca risorgimentale va affrontata serenamente, senza pregiudizi.

Sicuramente il Risorgimento ebbe tra le sue componenti anche frange anti-clericali e ottusamente laiciste che confondevano la giusta lotta contro le ingerenze politiche del Papa con la lotta contro il Papa stesso; ma è altrettanto innegabile come molti cattolici sostennero sinceramente e talvolta apertamente le guerre d’indipendenza, (lo stesso Pio IX, almeno inizialmente, era favorevole ad una unificazione della penisola). A questo proposito, tempo fa abbiamo pubblicato sul nostro sito internet un bellissimo lavoro dell’amico David Truscello che dimostra come ci sia stata un’identità cattolica all’interno del Regno d’Italia che, partendo dalla fase pre-unitaria e resistendo a certe pregiudiziali ostili più o meno giacobine, ha poi definitivamente trionfato nel 1929. In questa prospettiva, quindi, i Patti Lateranensi sancirono la vittoria dell’impegno cattolico nella realizzazione dell’Italia unita, ponendo fine all’annosa “Questione Romana” e realizzando compiutamente il primo articolo dello statuto albertino.

Ad ogni modo, al di là di tutte le possibili considerazioni storiche e politiche, resta una certezza solida e fondamentale: fu proprio grazie a quei tumultuosi decenni dell’800 che la nostra Nazione  acquisì l’ “autocoscienza” e si rese conto della necessità di ritrovare in sé la forza per “risorgere”, coronando poi con la Grande Guerra (ultima, importante Guerra d’Indipendenza) il suo desiderio di riscatto: grazie a Casa Savoia, che seppe coordinare gli aneliti patriottici provenienti sia dagli ambienti monarchici che da quelli repubblicani (in particolare, l’azione militare di Garibaldi, quella diplomatica di Cavour e quella intellettuale di Mazzini), tanti italiani seppero battersi per l’Onore e la Libertà d’Italia: questo è per noi il Risorgimento; condannarlo radicalmente, rimpiangendo i regni pre-unitari, significa rinnegare tutta l’Italia che si è realizzata dopo il 1861.

Tutto ciò che è accaduto nel passato, nel bene e nel male, ha contribuito a creare l’Italia come Nazione. Pertanto, non solo il Risorgimento, ma anche Fascismo, Resistenza, Repubblica, sono fasi importanti, imprescindibili della nostra storia, ciascuna con la propria dose di luci ed ombre: epoche storiche, ormai concluse (anche la Repubblica lo è, benché molti non se ne siano accorti), manifestazioni di un’unica evoluzione politico-culturale.

Ma, la critica tradizionalista al processo risorgimentale non si limita alla semplice denuncia di presunte nefandezze garibaldine (a volte vere, altre volte ipotizzate, altre volte ancora palesemente false), bensì è mossa da un desiderio più profondo: la condanna radicale dello stesso concetto di Italia come Nazione unita.

Non crediamo si debba discutere sul concetto di Nazione, dal momento che, perfino secondo una prospettiva cristiana, sia Papa Giovanni Paolo II sia Plinio Correa de Oliveira affermano la sua realtà e ne esaltano il ruolo chiave nell’ambito della società umana: per entrambi, il concetto generale di Nazione vale quale “ponte” che connette l’identità locale a quella continentale, “corpo intermedio” necessario e vitale tanto quanto quegli “organismi” sociali che a loro volta lo costituiscono (famiglie, corporazioni, associazioni, comuni, regioni, ecc.).

Ma il vero nodo gordiano, che emerge dal confronto con gli amici tradizionalisti, riguarda il concetto di Italia come Nazione unita politicamente oltre che culturalmente.

Ora, già il Prof. De Mattei (ben noto agli ambienti monarchici tradizionalisti), nella sua “Lettera ai Parlamentari europei”, scritta all’indomani del Trattato di Maastricht stipulato l’11 dicembre 1991 per avviare la nuova organizzazione internazionale denominata “Unione europea”, denuncia il progetto di creare un’europa falsa e vuota, affermando l’importanza degli Stati nazionali europei (e quindi anche della Nazione italiana) come argini alla dilagante globalizzazione finanziaria. Perfino Magdi Allam ha evidenziato, nel suo libro “Io amo l’Italia”, l’importanza della Nazione italiana e dell’identità italiana quale argine al dilagante terrorismo globale.

Sarebbero sufficienti queste citazioni per capire l’insostituibile ruolo che gioca l’Italia unita come Nazione.

Ma aggiungiamo ulteriori motivazioni. Da uomini liberi e critici, ci rifiutiamo di credere che tutto ciò che si è verificato nei secoli XIX e XX sia da catalogare con disprezzo come orribile e diabolico: ci rifiutiamo di credere che i Savoia furono una banda di ladri assassini; ci rifiutiamo di credere che l’Italia unita fu una storia di efferatezze e plebisciti farlocchi; è vero, avremmo potuto unificare l’Italia diversamente, secondo un progetto federale che vide il cattolico Gioberti tra i suoi principali teorici; ma l’Italia fu anche e soprattutto il coraggio dimostrato dai nostri soldati nell’unificarla prima e nel difenderne i confini poi, fu l’esplosione di bellezza (pensiamo alla Lirica, alle Arti figurative, all’ avanguardia futurista), fu l’educazione morale di generazioni di fanciulli sul modello del mitico “Libro Cuore”, fu l’orgoglio di avere fra i Senatori del Regno persone del calibro di un Alessandro Manzoni, fu la nascita dello scautismo italiano, fu l’arditismo dannunziano che portò l’Italia a Fiume e in tutta l’Istria, fu la costruzione di Ospedali e Scuole che ancora portano nomi dalla chiara appartenenza alla famiglia sabauda, fu la lotta alle malattie sociali, fu l’eroismo del Duca d’Aosta, fu la nascita dei gloriosi Ordini professionali (penso, per esempio, all’Ordine dei Medici), fu lo sviluppo delle Scienze con Marconi, Majorana e Fermi, fu la riforma del codice penale grazie alla mente eccelsa di un Arturo Rocco, fu la riforma della Scuola grazie ai migliori intellettuali del novecento come Gentile e Bottai, fu la Carta del lavoro quale fondamento del Corporativismo e prezioso tentativo di difendere e responsabilizzare i lavoratori riconoscendo i loro diritti-doveri nel nome del nascente “Stato sociale”, fu la grandezza del valore dei nostri militari ad El Alamein, fu la fedeltà con cui l’Arma dei Carabinieri e le Forze Armate servirono e tuttora servono il Tricolore, fu la fondazione di Città e la bonifica di zone paludose e malariche, fu la grande capacità unita all’ onestà cristallina che un Araldo di Crollalanza seppe dimostrare ricoprendo incarichi sociali di alta responsabilità, fu la riconciliazione dello Stato con la Chiesa attraverso il Concordato; persino nella noiosa e mediocre epoca repubblicana abbiamo potuto veder risplendere la rettitudine morale e la qualità intellettuale di un Almirante, di un La Pira, di un Edgardo Sogno, di un Enrico Medi, di un Montanelli, di un Malagodi, di un Covelli, di un Pacciardi, finanche di un Berlinguer; e come dimenticare la grandezza di un Falcone e di un Borsellino e poi ancora il sacrificio dei caduti dei Nassiriya e di Fabrizio Quattrocchi; infine, come ignorare la qualità creativa (invidiata ed imitata da tutto il mondo) delle nostre produzioni artigianali ed eno-gastronomiche che vanno sotto il nome di Made in Italy; e potremmo continuare ancora per pagine e pagine…

Nonostante tutto e tutti, noi crediamo fermamente ed orgogliosamente nel Popolo d’Italia, un popolo “di poeti di artisti di eroi / di santi di pensatori di scienziati / di navigatori di trasmigratori”, come recita l’iscrizione scolpita sulla facciata del magnifico Palazzo della Civiltà Italiana di Roma.

Non è lecito denigrare la Patria italiana, come purtroppo ancora fanno alcuni gruppi sedicenti tradizionali ma che di tradizionale non hanno nulla se non un malcelato disprezzo nei confronti della Nazione (si pensi alla disinvoltura con cui certe associazioni neo-borboniche frequentano i centri sociali comunisti o sostengono le politiche scellerate di De Magistris a Napoli; si pensi anche al vero e proprio odio che molti abitanti dell’Alto Adige nutrono nei confronti della razza italiana, un odio - a volerla dire tutta - foraggiato dai nostri soldi che, negli ultimi decenni, la Provincia autonoma ha percepito senza disdegnarne la provenienza).

Chi dice di essere per un “rinnovamento nella Tradizione”, non può riesumare forme politiche morte: non si possono riportare indietro le lancette dell’orologio, precisamente alla fase pre-unitaria, con la scusa più o meno sincera, di recuperare le piccole patrie e le identità territoriali;  ma si deve agire in senso veramente tradizionale, cioè conservando nel presente e proiettando nel futuro, non il passato ma ciò che non passa del passato; in altre parole si deve considerare ciò che di buono vi era nella fase italiana pre-unitaria così come quello che di buono ci fu nelle successive fasi. Si tratta di un movimento dialettico (fatto di tesi/epoca preunitaria – antitesi/epoca unitaria – sintesi/epoca attuale), alla base di ogni sana, serena considerazione culturale e politica.

Piuttosto, dovremmo confutare con fermezza l’opposizione tra piccole patrie e patrie nazionali. A tal proposito, nel suo saggio “La cultura della destra” M. Veneziani (uno dei nostri riferimenti che abbiamo considerato nello stilare il manifesto politico-culturale “Patto per la Patria”) rileva l’esistenza di un pregiudizio che “stabilisce una netta incompatibilità tra le identità locali e l’identità nazionale, che dà luogo a un antagonismo radicale. Il punto debole di questo antagonismo è nella convinzione che identità nazionale si identifichi con centralismo e statalismo e che viceversa localismo si identifichi con rivolta anti-politica… proprio l’avvento della globalizzazione mostra che il nemico delle identità e delle origini non è l’identità più grande o l’identità altrui, ma la negazione del principio di identità, il rifiuto delle origini e della tradizione. L’antagonismo delle patrie locali è l’uniformità mondiale e non la differenza nazionale… si tratta di compiere un salto di qualità rispetto al nazionalismo giacobino che riproduceva nella dimensione statuale la stessa uniformità e la stessa coscrizione obbligatoria delle identità che è oggi prodotta dalla globalizzazione. Oggi l’identità locale e l’identità nazionale si trovano oggettivamente dalla stessa parte, nel segno delle identità comunitarie, rispetto alla mondializzazione che non riconosce senso alle patrie”. E’ il già citato patriottismo dei cerchi concentrici.

Crediamo che rinunciando a tutto ciò, i tradizionalisti perdano un’occasione d’oro: l’occasione culturale e politica di recuperare la ricchezza orgogliosa, feconda e multiforme delle identità territoriali italiane che vissero nell’anima dei nostri popoli fino al 1861, rigettando però le divisioni e le prepotenze che dilaniarono per secoli la nostra penisola prima dell’Unità (già denunciate da Dante, Petrarca, Machiavelli e che in realtà non sono mai state sopite, se ancora oggi assistiamo allo squallido spettacolo di fazioni rancorose, intolleranze partigiane e piccoli interessi di bottega). Un’occasione che il grande giurista cattolico Carlo Francesco D’Agostino aveva intuito in maniera disinteressata e brillante sebbene ancora legato, in parte, a certi stilemi di tradizionalista memoria.

Senza l’idea di Italia, quale narrazione mitica che unisca e non divida, è impossibile ogni spiraglio di pacificazione nazionale, di elaborazione di una condivisione di memorie diverse e non di un’unica memoria condivisa (tanto artificiosa quanto falsa); senza la fede nell’ unità della Nazione, senza l’amore per l’Italia, qualsiasi tentativo di superamento delle antiche divisioni (guelfi VS ghibellini, risorgimentali VS  antirisorgimentali, fascisti VS partigiani, monarchici VS repubblicani…) sarà sempre velleitario.

E in ciò può stare la nostra grandezza: un nuovo Risorgimento, che sappia riportare la stessa idea di Patria italiana nell’alveo della Tradizione cristiana ed europea, propriamente romana in quanto cattolica (cioè universale); ritrovare l’unità contro l’ uniformità globale per recuperare l’ energia della propria sovranità e per ribadire con forza ciò che fu detto all’indomani dei Patti Lateranensi del ’29: “Gloria a Dio ridato alla Patria e Pace alla Patria ridata a Dio”.


Giovanni FLAMMA