Continua il nostro focus di approfondimento, con un altro tema di scottante attualità, strettamente connesso ai fatti di Capitol Hill. Siamo sull'orlo di una dittatura digitale? Ce ne parla Filippo Del Monte.
PER LA REGOLAMENTAZIONE PUBBLICA DEI SOCIAL NETWORK
Trump, i social e la libertà di pensiero
Il fatto che al giorno d’oggi chi si occupa di comunicazione – di qualunque tipo – debba fare i conti con i social network è un fatto acclarato e ripeterlo rischierebbe d’essere quasi pleonastico.
Rincorrere una mai esistita “età dell’oro” nella quale il magma dell’opinione pubblica era monitorabile e, per certi aspetti, influenzabile senza i social è una scelta sotto tutti gli aspetti “impolitica”, specie nell’era delle democrazie digitali; è un volersi tirare fuori forzatamente dal dibattito in corso sulla libertà d’espressione e di opinione.
Il fatto che gli account Facebook e Twitter del presidente degli Stati Uniti – ancora in carica – Donald Trump siano stati cancellati poco dopo l’assalto dei suoi sostenitori a Capitol Hill ci fa capire quanto sia stato assurdo affidare a due società private il monopolio del dibattito pubblico. Twitter e Facebook non possono “schierarsi” nell’agone politico come un editore tradizionale, non possono prendere parte alla contesa: 2 miliardi di iscritti a Facebook ed 1,3 miliardi di iscritti a Twitter sono una utenza talmente vasta, un pubblico così variegato e difficile da ascrivere in categorie predefinite, che è difficile incanalare verso una unica direzione a meno che non gli si tolga la parola d’imperio, proprio come successo a Trump.
Anche spezzare questo monopolio della comunicazione “demo-digitale” è sostanzialmente impossibile perché, a fronte della “migrazione” su social alternativi come Parler (che per giunta è diventato impossibile scaricare a causa della censura di Apple, Google ed Amazon), non vi sono social network in grado di offrire gli stessi servizi e la stessa possibilità di diffusione dei messaggi, della “propria opinione”, come Facebook e Twitter. Parler ha solo 10 milioni di iscritti e di certo non hanno lavorato al suo sviluppo ingegneri, sociologi, filosofi, comunicatori, specialisti di dati, designer ed altri professionisti del settore né è stato oggetto di miliardi di investimenti.
La ricerca spasmodica di un “social sovranista” significherebbe rinchiudersi in una scatola chiusa nel quale non esisterebbero contraddittorio o censure ma, contemporaneamente, a depotenziare il proprio messaggio.
Eppure la “sospensione” sine die degli account social di Donald Trump non può lasciare del tutto indifferenti: se il presidente degli Stati Uniti con 88 milioni di followers può essere sospeso senza colpo ferire, allora significa che le libertà di espressione e pensiero non sono più diritti garantiti in democrazia. La sospensione di Trump dai social scopre, come in un novello ritratto di Dorian Gray, il volto imputridito e deforme della “democrazia” mondialista.
Allora l’unica strada da percorrere è sì una regolamentazione di internet, ma non quella gestita ad uso e consumo di società private come Facebook e Twitter che nel “ban” esprimono la loro sovranità digitale ed arrivano dove uno Stato non arriva, cioè a zittire i cittadini. Perché è bene ricordare che gli “utenti” delle piattaforme social, prima d’essere tali, sono innanzitutto cittadini e vanno pertanto tutelati, proprio come fatto dalla Polonia. Il governo di Varsavia, nel caso in cui vengano rimossi contenuti o bloccati account che non violano la legge polacca, potrà emettere multe fino a 8 milioni di zloty (circa 1,8 milioni di euro) contro i gestori dei social network. Sarà istituito un tribunale speciale online per la protezione della libertà di espressione, presso il quale gli utenti censurati potranno presentare reclamo chiedendo il ripristino dei proprio post o del proprio account. Il tribunale esaminerà il ricorso e risponderà entro sette giorni. Qualora il responso sia favorevole all’utente, la piattaforma social sarà obbligata a ripristinare i contenuti ingiustamente censurati per non subire sanzioni.
Quello polacco è un modello da studiare e recuperare, adattandolo anche alla realtà italiana, in quanto l’unica strada da percorrere per opporsi allo strapotere dei monopoli digitali privati è la regolamentazione pubblica di internet. Onde evitare che quanto successo a Donald Trump, quello che è a tutti gli effetti l’uomo più potente della terra, possa succedere anche alla “casalinga di Voghera”, a chi scrive ed a chi legge questo articolo, è bene che lo Stato intervenga con il suo potere di regolamentazione perché nel mondo ipertecnologizzato di oggi, la sfera digitale e la sua libertà d’espressione sono diritti umani.
Filippo DEL MONTE
Nato ad Anagni (FR) il 07/04/1994, lavora nel campo della comunicazione politica con incarichi di staff e campaign management. È membro del Comitato redazionale dell'Istituto Stato e Partecipazione e redattore del bimestrale "Il Guastatore". Collabora con testate e blog come "Difesa Online", "Geopolitica.info", "Progetto Prometeo" e "L'Italia Coloniale" occupandosi di attualità politica, geopolitica e storia.
Immagine di copertina: da https://www.leurispes.it/la-dittatura-del-terzo-like-il-dibattito-politico-e-sostituito-dai-post/