Per gentile concessione dell'Autore, abbiamo l'onore di pubblicare la Lectio Magistralis che il Prof. Fabio Torriero ha tenuto a Bologna, il 5 ottobre 2019, in occasione del nostro evento "Identità e libertà dei popoli. L'Italia, l'Europa e le sue monarchie", organizzato con gli amici del Club Reale Italiano e dell'Istituto Nastro Azzurro fra i decorati al Valor Militare.
Quando nelle trasmissioni, negli incontri pubblici, parlo di valori, di tradizione, mi dicono medioevale. Io, al contrario, ricordo gli aspetti positivi del Medioevo (la nascita degli ospedali, delle università, le cattedrali che hanno trasmesso la cultura classica, grazie agli amanuensi), il tomismo, la Scolastica, Giotto, Dante, l’Impero d’Oriente, che vide la sintesi tra cultura greca, diritto romano e religione cristiana, il valore dell’economia curtense, ancora oggi studiata come modello etc).
Spesso rispondo con una provocazione: dico che chi attacca la tradizione, chi contesta i valori non negoziabili, ad esempio, del cattolicesimo (diritto alla vita, matrimonio non arcobaleno, centralità della famiglia naturale), è lui, il vero partigiano dell’anacronismo. Dico che loro, i sostenitori di questa tesi, sono quelli che stanno indietro, in quanto “neo-pagani”, e che i medioevali di oggi sono più avanti, in quanto il Medioevo storicamente è venuto dopo.
Del resto, basta fare un parallelismo culturale tra la caduta dell’impero romano d’Occidente, nel 476 d.c, e la società odierna, per riscontrare pericolose ed inquietanti analogie: il disprezzo per la vita, la promiscuità sessuale, la pedofilia (la pratica del “puer” da iniziare), l’idolatria degli animali resi divinità.
Per non parlare delle fake news, di chi fa “ideologia della storia” cioè il pregiudizio ideologico elevato a verità, e non la storia, basata sui documenti, le testimonianze, le fonti. Comunemente si dice che nel Medioevo c’era la cintura di castità, lo ius primae noctis, venivano bruciate le streghe. Quanta ignoranza. La cintura di castità non è mai esistita, lo ius era semplicemente una tassa che i giovani sposti pagavano al feudatario locale, e le prime streghe sono state bruciate a partire dall’umanesimo, il periodo che viene esaltato come il riscatto della civiltà umana rispetto all’oscurantismo dei secoli bui, E come se non bastasse, le guerre di religione sono scoppiate nel Cinquecento. Come volevasi dimostrare.
Perché questa articolata premessa? Per dire come in comunicazione, per pregiudizio ideologico, ignoranza, strumentalizzazione politica, la Monarchia, come istituzione subisce la stessa sorte della parola Tradizione. E se bisogna, come doveroso, riaffermare la verità, il lavoro è molto impegnativo, complesso e lungo: bisogna rimuovere ostacoli, cambiare la neo-lingua, smascherare i luoghi comuni e il pensiero unico dominante e alla moda.
Ci sono infatti, da sempre, tante fake news sulla Monarchia. Le principali le conosciamo tutti: è anacronistica, dittatoriale, inutile, costa. Interessante anche la contraddizione tra le stesse fake di stampo giacobino-laicista. Se non conta nulla, come può venire accusata di essere tirannica? Se è tirannica come si può affermare che sia inutile?
In quanto ai costi, basta comparare il costo della Monarchia inglese con i costi del nostro Quirinale e in quanto all’anacronismo, si può facilmente replicare che ciò che è bene e ciò che è male non conosce le lancette della storia. Valgono sempre.
Ma veniamo alle risposte che è pedagogico dare ai nostri avversari e alle persone che “ignorano”, perché non sanno, o perché fingono di non sapere per malafede o per meri interessi politici.
RISPOSTA COSTITUZIONALE
Visto che la Monarchia è sinonimo di arretratezza, anacronismo, tirannia, inutilità, i più grandi filosofi, scienziati della politica, studiosi, intellettuali, da Aristotele a Hegel, passando per San Tommaso, Sant’Agostino, che hanno definito la Monarchia la migliore forma di governo, erano e sono stati tutti folli? E tali fake news non insultano, offendono oggi la dignità di popoli che da secoli vivono felicemente sotto le Monarchie che, guarda caso, reggono i Paesi europei che offrono le migliori garanzie in quanto a unità nazionale, stabilità, continuità delle istituzioni, progresso e coesione sociale?
Ci sono tante definizioni di Monarchia. Ne sceglierò solo alcune. “La Monarchia è la proiezione della famiglia su scala politica”, “la Monarchia è ordine e movimento”, è “Progresso ereditario”, è - secondo una felice e creativa intuizione dei monarchici francesi – “l’anarchia più uno”. Per Salvator Dalì, il famoso eccentrico pittore, e artista a 360 gradi, “solo sotto una cupola monarchica si può essere liberi, veramente anarchici”. Quanta modernità in questa frase, un concetto-base che stravolge l’ideologia moderna, l’attuale pensiero unico basato sul mantra della libertà senza limiti, su l’individualismo di massa. La vera libertà è quando l’uomo è delimitato, con regole e valori superiori nei quali si riconosce. Che condivide. Non quando l’uomo si autodetermina su una base libertaria assoluta, secondo le pulsioni dell’io che creano dipendenza, sudditanza, la vera schiavitù (e uccidono la libertà vera). In tal modo la società implode, muore, perde ogni senso della polis, della res publica, della relazione. Ogni cittadino si perde in una bolla autoreferenziale, autocentrata, anaffettiva.
E ancora: la Monarchia rimane sempre sé stessa, pur mutando nelle sue forme storiche. Non a caso abbiamo avuto nella storia europea, Monarchie assolute, costituzionali, parlamentari, federali, sociali etc. Oggi tra le 10 Monarchie europee, abbiamo la Monarchia inglese, esempio di democrazia basata sul diritto non scritto, le consuetudini millenarie; le Monarchie nordiche sono sociali e parlamentari; la Monarchia spagnola è una corona autonomista, la Monarchia belga è federale. Cosa resta fermo e cosa cambia? Resta ferma l’idea dello Stato, espressione dell’identità storica, culturale, religiosa dei popoli, la trasmissione ereditaria, il senso della dinastia, la separazione tra lo Stato, che resta fermo e il governo che invece, muta col mutare del voto, secondo la libera scelta dei cittadini.
E ancora: la Monarchia assolve ad una fondamentale funzione: è una obbligata e indispensabile “precondizione” della politica: fa essere, determina la sana e giusta politica. Il fatto che un Re, simbolo vivente della patria, sia indipendente dai partiti, non sia scelto da loro, né subisca i ricatti, non agisca per la sua rielezione, o il semplice e transitorio consenso, ma sia indipendente per “missione, legittimità storica, vocazione e collocazione istituzionale”, favorisce l’identificazione con i cittadini che si sentono rappresentati e accolti. E ciò è una naturale precondizione di unità nazionale, di continuità e stabilità delle istituzioni. Valori centrali per lo sviluppo pacifico di una nazione.
Infine, il ruolo “arbitrale” del sovrano. Ossia, l’esercizio della terzietà. L’arbitro naturale non può che essere un Re, non un presidente della Repubblica, eletto dai partiti, che bene che vada, sembra un buon capo-ufficio, male che vada non è arbitro, né può esserlo. Non si può essere giudici e parte in causa al tempo stesso. E’ una spiegazione semplice quanto naturale. E i vari presidenti della nostra Repubblica che si sono avvicendati nell’arco del tempo, sono stati e vengono apprezzati per quanto di monarchico riescono e sono riusciti a fare.
La funzione arbitrale vuol dire, infatti, promozione attiva della legalità costituzionale, mediazione istituzionale, intervento nei conflitti costituzionali, capacità di intervento nello Stato di eccezione, e in momenti di gravi conflitti sociali.
RISPOSTA VALORIALE
Le ragioni della Monarchia non possono prescindere anche da un’attenta analisi della odierna realtà culturale, sociale, istituzionale, specialmente dell’Occidente. Cioè, dalla capacità di attualizzare e declinare tale istituzione ponendola e proponendola come la migliore risposta rispetto a due epocali domande: chi siamo e dove andiamo come civiltà e come popoli?
Da tempo le categorie politiche non sono più “destra-sinistra”, ammesso che siano state sempre oggettive e non piuttosto, usate come forzato linguaggio ufficiale del ceto politico, che le ha deificate solo per dividere ed eccitare le rispettive tifoserie (per fini elettorali), o come utopie narrative degli intellettuali. Da tempo destra e sinistra non corrispondono più alla realtà e alla verità. In Italia poi, le ripartizioni, le definizioni sono sempre state più complesse e trasversali rispetto ad altri Stati europei. Da noi i liberali, i sociali, gli statalisti, i liberisti, gli atei, i cattolici, gli europeisti, i nazionalisti, sono sempre stati presenti in tutti e due gli schieramenti, sia a destra che a sinistra. Noi siamo figli della destra storica, che è stata liberale in politica, ma non liberista in economia; siamo figli del fascismo che è stato un coacervo di sensibilità e correnti; siamo figli della dottrina sociale della Chiesa che ha rappresentato e rappresenta una sorta di terza via tra il capitalismo e il marxismo.
Oggi le nuove categorie sono “alto-basso”, popoli contro caste, identità contro globalizzazione, sovranità contro economie finanziarie cosmopolite; il civismo, come forma di autorappresentazione territoriale della società, patriottismo amministrativo; e “antropologia contro ideologia”, ossia diritto naturale, primato della vita, della famiglia naturale, contrapposto al culto della libera, totale, autodeterminazione dell’uomo, fino a scegliere chi deve nascere (con l’aborto), quando bisogna morire (l’eutanasia), a normalizzare il diritto a prostituirsi, drogarsi, comprare figli (con utero in affitto), a costruire famiglie arcobaleno (omosessuali), e a scegliere il proprio sesso (la priorità dell’identità psichica), a prescindere dall’identità biologica (sancita dalla natura).
In estrema sintesi, lo scontro tra i limiti (morali, naturali, storici, spirituali) che “delimitano” la vita degli uomini e delle comunità organizzare, gli Stati, e un’idea illimitata di libertà, nel nome e nel segno del nuovo dogma contemporaneo, in base al quale ogni desiderio deve diventare un diritto; mentalità che porta direttamente a certificare, consacrare, l’individualismo di massa che chiamano modernità, secolarizzazione, laicizzazione della società, edificando obbligatoriamente una visione di Repubblica intesa come mera espressione delle pulsioni dell’io.
Con tali basi, lo ripetiamo ancora una volta, la società che si basa per costituzione, sulla relazione, sull’identità, tramonta.
Una società globale, del cittadino globale, del mercato globale, senza limiti, senza confini, senza frontiere, senza identità, non è e non sarà mai una società liberata, felice, ma una società di esseri soli, chiusi in bolle autoreferenziali, autocentrate e opposte all’empatia che invece costituisce il cuore della cosa pubblica, del bene comune, dell’interesse generale.
Forse un continente di uomini senza identità storiche, culturali, sociali, religiose (viste come nazionalismo, conflitti, guerre, discriminazione, xenofobia, fascismo, omofobia etc), potrebbe essere un continente più integrabile, più armonioso, ma a che prezzo?
Eccolo: un mondo di “apolidi”, senza appunto, identità culturali, statuali, religiose; un mondo di “precari”, senza identità sociale e lavorativa; di “liquidi”, senza identità sessuale. Stiamo descrivendo il drammatico indebolimento culturale e biologico dei popoli: col cosmopolitismo e il gender.
La difesa e l’affermazione dei valori naturali e delle identità storiche, culturali e religiose, è al contrario, il perimetro dove si gioca e si giocherà in futuro, il ruolo, la funzione, l’attualità della Monarchia.
Monarchia come presidio delle patrie, delle identità, della storia, della cultura, dei valori e dei simboli identitari dei popoli e delle nazioni, strettamente connessi e all’interno di uno spazio storico, geografico e culturale che si chiama Stato. Stato sovrano.
Il suolo non è un semplice passaggio, dove popoli differenti e indifferenziati, mettono i piedi per andare ovunque e quindi, da nessuna parte. Per questo lo “ius soli” è un pericoloso e clamoroso errore: un conto è l’accoglienza che deve essere universalizzata, e parametrata alla capacità degli ordinamenti di assorbire in termini lavorativi, sociali, sanitari, normativi e abitativi, i migranti. Un conto è la cittadinanza, che presuppone una scelta volontaria, un percorso costituzionale, la condivisione dei valori aggreganti e fondanti di un popolo.
Il suolo non è un dettaglio, ma il luogo, il territorio, che esprime una storia, una cultura, una mission. La vita non nasce e muore con noi, ma c’era prima, prosegue con noi e continua dopo di noi. Di “Padre in Figlio”, come in Monarchia, dal Re che incarna la storia, la tradizione, il quale passa il testimone al figlio, il Principe, che assorbe, modifica, cambia la trasmissione ereditaria dei contenuti e valori, esalta il passaggio di consegne. Attualizza e modernizza il passato. Ecco come si spiega il senso e il significato del concetto di Monarchia, secondo le definizioni più efficaci e suggestive dei pensatori, filosofi, costituzionalisti, politici che si sono avvicendati nella storia. La Monarchia come la proiezione naturale della famiglia, come ordine e movimento, come progresso ereditario.
E solo la Monarchia può difendere, custodire, preservare e affermare in un mondo globalizzato le identità storiche, culturali, sociali e religiose dei suoi popoli. Anzi, per meglio dire, i Re sono gli ambasciatori naturali dei loro popoli.
Oggi lo scontro in atto e si vede, è tra sovranisti e mondialisti, tra identitari e globalisti. Ma in realtà sono due posizioni speculari che si rafforzano reciprocamente.
Papa Giovanni Paolo II aveva risolto egregiamente tale contrapposizione. L’uomo deve far coesistere la dimensione universale della fede, la visione dell’umanità con la nazione, con la propria appartenenza. Se non si trova una sintesi tra le due spinte naturali dell’uomo e dei popoli, l’utopia del tutto e del niente, e la paura dell’ignoto (da qui il bisogno di certezze), il messianismo democratico, il governo mondiale dell’economia e i nazionalismi vissuti come chiusura, fortezza, egoismo, si alterneranno pericolosamente in una dialettica sbagliata e illusoria.
La Monarchia può e deve inserirsi in questo duello tra sovranisti e globalisti. Dando una solidità, un obiettivo, agli Stati sovrani e uno sguardo alla vocazione dei popoli più ampia, nel dialogo su valori comuni e condivisi dei Continenti.
Esempio, l’Europa delle 10 monarchie. Ognuna rappresenta peculiarità originali dei propri Paesi, diritti e dignità nazionali, ma nello stesso tempo sono figlie di quell’idea unitaria di Europa, che o è cristiana, recuperando il senso e il valore delle sue radici millenarie, legittimate dal Medioevo, o non è. Per concludere: Casa Savoia e Carlo Magno sono i simboli, il richiamo e la riscossa della Monarchia, di ieri, di oggi, di domani.
FABIO TORRIERO
Giornalista parlamentare
Docente di Media, società, politica LUMSA
Spin doctor di politici e ministri