Ricordiamo il Sommo Poeta, nell'anniversario della sua morte, recuperando, con fierezza, la sua immensa Opera politico-culturale.
Il 13 settembre del 1321 moriva in Ravenna Dante Alighieri ed ogni anno si celebra, presso la Basilica dedicata a San Francesco, la Santa Messa in onore del Sommo Poeta.
Come sempre, ci siamo recati a rendere omaggio al Vate, in una splendida giornata dorata dal sapore bizantino.
Ma non è solo l’ammirazione per questo grande Uomo, retto e fiero, sprezzante della meschinità mondana e delle avversità esistenziali, a spingerci annualmente a Ravenna; non è solo l’orgoglio di avere nel sangue la stessa lingua con cui il Poeta vergò i suoi versi; non è solo la meraviglia che proviamo tutte le volte che leggiamo le sue sublimi riflessioni filosofiche e teologiche, simmetricamente disposte a formare una misteriosa e luminosa cattedrale di rime. Tutto ciò non è sufficiente a spiegare il nostro sincero legame con Dante. C’è qualcosa di più.
L’Alighieri ci ha lasciato in eredità, non soltanto un patrimonio estetico inestimabile ma, ancor di più, un messaggio vigoroso nella sua freschezza e nella sua chiarezza straordinario. Noi abbiamo la fortuna e, oserei dire, il dovere di recuperare la sua grande Visione spirituale della vita e del mondo; un sistema organico e provvidenziale di concepire la Storia, un’esigenza impellente di riscoprire la nostra identità di popolo, in cui tutto ha un senso e niente è affidato al caso. Persino la politica ha un suo ruolo ordinatore di origine divine.
Ecco, la politica, questa sconosciuta che ai tempi nostri non osiamo più chiamare con il suo nome, che ai tempi nostri evoca solo tangenti ed abusi di potere, che ai tempi nostri non esiste più se non come triste giacobinismo anti-politico.
Nell’ Opera dantesca noi abbiamo la Politica, nel senso più profondo e nobile che questo termine possiede; qui tutto vive in un’aura sacra: l’autorità, l’ordine, la libertà, la personalità, la responsabilità, il servizio. Tutto ha un suo valore che non ha prezzo.
Dante ci aiuta a riscoprire la cortesia, quel codice di valori morali che fanno di un individuo una Persona, di un essere umano un Uomo. Oltre la biologia, oltre la psicologia, esiste l’unità di anima e corpo, genio e passione, a immagine e somiglianza di Dio.
In tutto ciò, la Monarchia costituisce l’elemento ordinatore per eccellenza, l’Istituzione migliore atta a garantire la presenza dell’Unum quod non est pars, l’Uno che riflette l’unità divina in terra e riconcilia la molteplicità e le diversità terrene senza sopprimerle.
Dante è naturaliter monarchico, perché ogni persona ed ogni cosa possano trovare il proprio giusto ruolo nella gerarchia del mondo; e, solo apparentemente, è paradossale il suo tentativo di innestare nella Monarchia la virtus repubblicana della libera e responsabile partecipazione: si pensi, infatti, a come il Sommo Poeta, cantore delle gesta imperiali, esalti la sobria austerità di Catone, repubblicano nemico di Cesare e martire della Libertà, facendo dell’Uticense il guardiano del Purgatorio.
Sulla scorta di queste riflessioni, invitiamo il gentile lettore ad una considerazione di attualità. L’ottimo Adriano Scianca, nel suo recente libro “La Nazione Fatidica”, scrive giustamente: “… il populismo non è un soggetto, è un campo, un linguaggio, una dimensione comunicativa necessaria ma non sufficiente. Il populismo non va combattuto, né sovrastimato, va attraversato…”; e continua: “… la coscienza di popolo va costruita… nello sforzo permanente dello Stato che lavora sul popolo empirico, cioè la collettività informe di un momento storico dato, per elevarlo all’altezza del popolo trascendente...”.
Questo è “patriottismo verticale”: l'unica possibilità equilibrata e profonda che abbiamo per contrastare efficacemente le forze globaliste anti-nazionali senza però cadere negli eccessi di segno opposto.
Ora, non possiamo non condividere questo appello di Scianca, che facciamo nostro, forti del pensiero di Dante.
Possiamo non raccogliere questo potente richiamo? Possiamo venir meno al sacro impegno di salvare la Patria dalla dissoluzione?
Siamo noi monarchici che dobbiamo rivendicare più di tutti il diritto e ancor più il dovere di guidare le forze populiste e sovraniste nelle loro sane potenzialità, rettificandole, sublimandole e riconducendole a quella unità che solo un Re può effettivamente garantire. La nostra Idea costituisce il motore meta-politico di quel “patriottismo verticale”, il collante di tutte le forze nazionali, siano esse di destra e di sinistra, che desiderano salvare l’Italia, perché amano profondamente l’Italia.
Possiamo e quindi dobbiamo essere noi monarchici, il faro capace di illuminare la strada per la ricostruzione di una grande Nazione che sia libera dal giogo del globalismo ma che, al tempo stesso, non ceda alle tentazioni del gretto localismo; in altre parole, dobbiamo avere il coraggio di batterci, con paziente fermezza, per l’Italia vera e profonda, sovrana e popolare, aristocratica e democratica, guidando i populismi ed i sovranismi di oggi e di domani: siamo noi che - contrastando con tenace saggezza i fanatismi ideologici del tradizionalismo passatista, del liberismo capitalista e del socialismo collettivista - abbiamo, più di ogni altra forza politica esistente, il diritto storico ed il dovere morale di orientare in senso tradizionale, liberale e sociale, il risorgimento della nostra amata e fatidica Nazione.
Ravenna, 13- IX - 2020
Giovanni FLAMMA