Vinse la Repubblica e i Savoia furono esiliati. I tanti che li votarono non ebbero l’onore delle armi e per non essere dei paria si riciclarono. Pubblichiamo un articolo di Massimo Nardi che ogni monarchico degno di tale nome dovrebbe leggere.
Domani, (oggi per chi scrive), si festeggia la data del 2 giugno 1946, quando al referendum istituzionale tra Repubblica e Monarchica, la prima prevalsa sulla seconda. Stando ai dati forniti dall’archivio del Ministero degli Interni, i voti furono: Repubblica 12.718.641 (54,27%), Monarchia 10.718.502 (45,73%), schede bianche e non valide 1.509.735. Ci furono luci, ma anche ombre su questo cambiamento istituzionale. I brogli ci sono stati, o no? Poco conta. Ormai, anche se uscisse un manoscritto dell’allora ministro dell’Interno Giuseppe Romita in cui gongolando confessa di avere estratto dal cassetto i famosi due milioni di voti a favore della forma repubblicana, non cambierebbe nulla. Cosa fatta capo ha. I libri, gli articoli e le dichiarazioni, tante a favore della vittoria pochi a contestare o anche solo a valutare obiettivamente la sconfitta della monarchia. D’altronde, come ieri e ancora oggi, vale il detto, tengo famiglia. Per chi volesse approfondire l’altra faccia della storia, alla fine di questo redazionale troverà alcuni titoli alternativi.
Così, oltre dieci milioni d’italiani rimasero orfani e i partiti come padri affettuosi cercarono di adottarli, ma non fu cosa facile. Già alle votazioni per l’Assemblea costituente si vide che gran parte dell’elettorato della Democrazia Cristiana aveva votato per il mantenimento dell’istituto in essere, facendo illividire di rabbia la dirigenza della già balena bianca che, salvo rare eccezioni, era composta di repubblicani. Tuttavia, nelle successive elezioni politiche del ‘48 e ‘53, 1.854.850 di senza genitori scelse il Partito Nazionale Monarchico, che ebbe anche migliaia di eletti nei consigli comunali arrivando ad amministrare molti comuni e alcuni capoluoghi di provincia. Poi, anche questi orfani capirono che era meglio trovare casa altrove. In parte, per colpa di chi li guidava e in parte per il detto sopra citato. Si era negli anni della ricostruzione e già la politica s’intrecciava con l’economia, o meglio, il mondo del lavoro. Lo capì, tardi, uno dei leader monarchici: l’armatore Achille Lauro. Lo capirono sicuramente meglio altri imprenditori, ma di più lo capì il semplice monarchico che andava a cercare un’occupazione. Erano i tempi delle famose lettere di raccomandazione mandate ai politici che stavano a Roma, dai tanti parroci dei paesi. Specialmente dal Lazio in giù, che aveva votato in maggioranza per la monarchia al referendum. Inoltre, il meridione era il serbatoio di voti per il PNM. Il Don del paese, che sapeva, scriveva solo che il raccomandato era un buon cattolico, anche se il sostenuto possedeva in casa la foto di Umberto II. Apro una parentesi.
Nella fretta di fare la Repubblica, si costrinse il Re ad anticipare il decollo da Ciampino verso il Portogallo che, così, poté allontanarsi con tutte le prerogative del sovrano che soccombe per un colpo di stato e non per una volontaria abdicazione. E questo, non era poco. In tal modo, la Repubblica perse l’occasione di ricomporre una frattura, consegnando alla storia una pagina, non molto chiara, sulla sua nascita. In seguito, consci dell’errore fatto, i repubblicani più giacobini pensarono di rendere eterna la forma repubblicana, inserendo nella costituzione l’art. 139 dove si enuncia - La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale -. Niente di più illiberale. Inoltre, aggiunsero l’art. 13 nelle Disposizioni transitorie e finali, dove si proibiva l’ingresso al Re, alla moglie e al pretendente al trono (norma decaduta nel 2002). Ciliegina sulla torta fu l’esproprio (avocati nella stesura originaria) e il passaggio alla proprietà di Stato dei beni appartenenti a Casa Savoia sul territorio italiano, timorosi, forse, che il Re potesse finanziare la propaganda. Chiusa parentesi.
Con queste premesse chi si dichiarava monarchico, che attese poteva avere? Nulle, o subire passivamente, nel mondo del lavoro e in tante altre realtà, le eventuali rappresaglie, affidandosi alla frase - Nel segreto dell’urna Dio ti vede, Stalin no-. Espressione coniata in occasione delle elezioni del 1948 a favore della DC, dal monarchico papà di Peppone e Don Camillo, Giovannino Guareschi, prima di capire che l’ostracismo più forte a un’eventuale restaurazione, veniva proprio dallo Scudo Crociato, che voleva i voti del PNM. Voti, di un elettorato moderato che facevano comodo e tale situazione si è mantenuta pesante fino alla fine della Balena bianca. Inoltre, il PNM ci metteva del suo: litigi, cambio di nome, l’incapacità di vedere nel lungo periodo, perenne contesa con l’Unione Monarchica Italiana, l’associazione che Umberto II considerava la casa madre di tutti i monarchici. Come partito vivacchiò fino al 1972, poi, i suoi capi, per salvare la poltrona, confluirono nel MSI perdendo, così, quell’aurea di destra liberale. Altro grave errore.
Sopravisse l’UMI che, grazie al nuovo (e storico) segretario Sergio Boschiero, rilanciò l’idea e le diede nuova visibilità. Tuttavia, una mazzata arrivo nel 1978, quando l’erede Vittorio Emanuele fu coinvolto in un litigio nell’isola di Cavallo, che si concluse mesi dopo con la morte del ragazzo ferito durante la disputa per un gommone. Una storia poco chiara, nonostante il principe anni dopo fosse assolto. Ma il danno era fatto. Dopo la morte del Re gentiluomo nell’83, le superstiti file dei monarchici, che per questioni anagrafiche si stavano assottigliando, si divisero non su una politica di come continuare una battaglia istituzionale, ma su chi era il pretendente: Savoia ginevrini o Savoia Aosta in Toscana?
Oggi, cosa rimane del popolo monarchico? Poco e niente. Tante sigle, alcune con nomi rimbombanti e che in alcuni casi rappresentano solamente il fondatore e la sua famiglia, unitamente alla pochezza di chi si propone politicamente, spesso senza capacità di portare avanti una vera battaglia istituzionale. In effetti, le poche menti pensanti, giustamente si sono messe in pensione. In pensione anche Vittorio Emanuele erede di Umberto, che ha lasciato al figlio Emanuele Filiberto il compito di pretendente, ma che al momento si è distinto più come principe dello spettacolo, ballando, cantando e facendo beneficenza, con qualche incursione nel mondo dell’imprenditoria. Dall’altra parte ci sarebbe Aimone di Savoia Aosta, manager affermato che ha partecipato, come ufficiale di marina, alla prima guerra del Golfo. In seguito è andato all’estero, in una nazione dalle grandi possibilità. In pochi anni si è saputo fare apprezzare, non per il cognome che porta, ma per le sue capacità dirigenziali fino a diventare responsabile della Pirelli Tyre Russia e paesi nordici. E’ presidente del consiglio imprenditoriale italiano, organo di raccordo delle realtà associative imprenditoriali italiane operative nella Federazione russa. Nel 2018 è insignito dell’Ordine dell’Amicizia da Vladimir Putin e nel 2019 diventa Cavaliere dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana ed è nominato Ambasciatore dell’Ordine di Malta in quella nazione. Un principe che, però, pochi conoscono specialmente i monarchici non censiti. Ovvero, chi è attratto dalla forma istituzionale monarchica per i motivi più svariati. In effetti, è un principe anomalo, vista la sua propensione a stare lontano dai riflettori. Forse, anche troppo. A mio avviso, la sua partecipazione a manifestazioni patriottiche, non necessariamente monarchiche, sarebbe apprezzata. Redipuglia in primis.
Termino questo lungo editoriale, sicuramente incompleto per ovvie ragioni di spazio, con una considerazione su Umberto II. In una vecchia foto si vede il Re che guarda le onde dell’Atlantico che s’infrangono sulle scogliere di quella parte remota di Portogallo. Uno sguardo triste. Forse, pensa che il 9 settembre 1943, all’aeroporto di Pescara, avrebbe dovuto ascoltare gli ufficiali che lo pregavano di rientrare in aereo a Roma (come ricorda Francesco di Campello, ufficiale d’ordinanza, nelle sue memorie), cambiando, sicuramente, il corso della storia. Invece, niente. Seguendo gli ordini sciagurati del maresciallo Pietro Badoglio, mise la prima pietra per la sconfitta al referendum.
1° Giugno 2020
Massimo Nardi
Libro azzurro sul “Referendum” 1946 – Di Niccolò Rodolico e Vittorio Prunas-Tola 1953
La Repubblica nasce nel sangue – Carlo Antonio del Papa 1968
Cronache di un referendum – Franco Ceccarelli 1996
Dalla parte del Re - 1946 La verità sul referendum – Giovanni Semerano Camillo Zuccoli 1996
La grande frode. Come l’Italia fu fatta Repubblica – Franco Malnati 1997
Il Referendum Monarchia-Repubblica del 2-3 giugno 1946 – Aldo A. Mola 2016
Foto di copertina: Umberto II nel 1976 a Villa Italia, da http://monarchicinrete.blogspot.com/2012/02/linchino-re-umberto-ii.html