Il 9 maggio 1946, Umberto diventava non "re di maggio" ma Re d'Italia. Nonostante la pavida politica dell'epoca non volesse ammetterlo, Egli ascese al Trono, per grazia di Dio e per volontà della Nazione. Alessio Benassi ricostruisce minuziosamente tutti gli eventi del momento, invitando il lettore a rivivere gli stessi stati d'animo di quella Italia, ferita dalla guerra ma carica di speranza per il futuro.
Giovedì 9 maggio, anno 1946, le onde del mare bagnano le scogliere di Posillipo, i gabbiani volano nel cielo azzurro, il Vesuvio fermo immobile guarda altri secoli di storia passare ai suoi piedi.
A Villa Maria Pia, alle ore 15.15 pomeridiane l'anziana mano di Vittorio Emanuele III verga con decisione una carta bollata di lire 12. Con parole semplici, le stesse utilizzate dal suo avo Carlo Alberto dopo la sconfitta di Novara, il vecchio Re scrive:" Abdico alla corona del Regno d'Italia in favore di mio figlio Umberto, Principe di Piemonte".
Da Roma giungono il ministro della Real Casa, Duca Pietro Acquarone e lo stesso Umberto, che vuole essere presente. Il commiato che segue l'abdicazione viene testimoniato dal generale Paolo Puntoni e dal Colonnello Brunoro De Buzzaccarini, aiutanti di campo di Sua Maestà, il vecchio Sovrano, impassibile in viso come sempre, lascia però trasparire i segni dell'emozione. Saluta il figlio, già luogotenente dal 1944, ora ufficialmente Sovrano, con il semplice saluto militare, la "sciabolata sabauda"e l'attenti, in ambienti repubblicani si apostrofa questa cerimonia come una forzatura da cerimoniale spagnuolo, per i presenti invece la commozione traspare ovunque, dopo il saluto solenne al padre, Umberto bacia e abbraccia la madre, Elena del Montenegro, che con affetto ringrazia tutti.
Alle 19.40, gli ex sovrani si imbarcano sull'incrociatore Duca degli Abruzzi, destinazione Egitto meta del loro esilio. La notizia dell'abdicazione fa ben presto il giro della penisola e d'Europa, tutti i giornali titoleranno del fatto, i partiti politici sono in subbuglio, la tregua istituzionale che si era creata nel 1944 con la luogotenenza viene rotta. Infatti era previsto che Umberto, conservando le prerogative di luogotenente portasse il paese al referendum, ma con l'abdicazione il fronte repubblicano vede come una minaccia l'uscita di scena di Vittorio Emanuele III e la salita al trono del figlio.
La bagarre in parte si risolve con le parole del presidente del Consiglio De Gasperi, che si affretta a definire tale atto come "una questione interna a Casa Savoia", ma contemporaneamente fece si che sui documenti ufficiali non comparisse la dicitura "per volontà della nazione" ma solamente la scritta "Umberto II, per grazia di Dio Re d'Italia", infatti il leader della DC è conscio di avere una base elettorale filo monarchica ma dirigenti fermamente repubblicani. Un atteggiamento più solare venne invece da oltre Tevere, il Vaticano di Pio XII vide di buon occhio il nuovo monarca, giovane e soprattutto cattolico, appena salito al trono Umberto II riceverà una delegazione di cardinali al Quirinale, e prima di partire andrà di persona dal Pontefice a rendere omaggio e chiedere la benedizione.
Appena assunto il titolo regale Umberto II si reca a Roma, il giorno successivo viene diramato dal Quirinale il proclama ufficiale del nuovo monarca, parole cariche di sentimento, ricordo verso le vittime della guerra, unità nazionale, identità italiana della Venezia Giulia, delle terre d'oltremare, riconoscimento verso i caduti e gli esuli. Inoltre il Re esprime parole di unità e consolidamento di una nuova monarchia costituzionale, e la ricerca della pace mostrando l'Italia come esempio di concordia con la sua secolare "civiltà cristiana", ed infine conclude con parole d'impegno verso la Patria:"Davanti a Dio giuro alla Nazione di osservare lealmente le leggi fondamentali dello Stato che la volontà popolare dovrà innovare e perfezionare". Ben presto una folla immensa si raduna per le strade di Roma, arrivando sotto il balcone del Quirinale, una piazza stracolma e festante inneggia al Re e alla monarchia, il Sovrano che compare più volte dal balcone della Reggia a salutare la folla.
La marea continua ad acclamare Umberto II, mutilati e reduci alzano stampelle e grucce insieme a bandiere tricolori e fiamme bianche con lo scudo sabaudo, molti gridano "viva il Re" altri acclamano Trieste e la Venezia Giulia italiane. La monarchia, che molti politici repubblicani davano per definitivamente sconfitta, si stava palesando ancora forte, un sentimento nazionale legava le generazioni, uno spirito patrio che andava dal Risorgimento a Vittorio Veneto, sino a quella piazza del 10 maggio 1946. La campagna elettorale referendaria sarà dura, Umberto II riuscirà a guadagnare consensi, girerà ogni città d'Italia da Nord a Sud. L'esito del referendum non sarà favore ad Umberto, nonostante il sospetto di brogli, il 13 giugno il Re andrà in esilio.
Molti definiranno Sua Maestà come "il Re di Maggio", ma tale apostrofazione risulta sbagliata, Umberto andò in esilio da Re e come tale visse e morì, per tutta la sua vita il suo primo pensiero fu per il suo popolo e la sua amata Patria, il suo regno iniziò quel 9 maggio 1946 ma non si concluse a giugno, ma nel 1983, quando Umberto II rimise l'anima a Iddio pronunziando come ultima parola "Italia".
Alessio BENASSI