La storia del sacro e venerando lenzuolo di lino. A cura di Gianluigi Chiaserotti.
BREVE STORIA DELLA SINDONE
Il giorno 11 aprile, in Torino, nel Duomo di San Giovanni, per volere dell’Arcivescovo, ci sarà un’ostensione straordinaria della Sacra Sindone e preghiera comunitaria al fine di sconfiggere la pandemia da COVID-19.
Pochissime parole esclusivamente di Storia del Sacro Lenzuolo che fu di proprietà della Real Casa di Savoia, e ciò anche in questo Venerdì Santo 2020, in cui la passione e la morte di Gesù annualmente ritornano nella Tradizione Cristiana.
La Sindone di Torino, nota anche come Sacra o Santa Sindone, è un lenzuolo di lino conservato appunto nel Duomo di Torino, sul quale è visibile l’immagine di un uomo che porta segni interpretati come dovuti a maltrattamenti e torture compatibili con quelli descritti nella passione di Gesù. La tradizione cristiana identifica l’uomo con Gesù e il lenzuolo con quello usato per avvolgerne il corpo nel sepolcro.
Il termine «sindone» deriva dal greco «σινδών» (sindon), che indicava un ampio tessuto, come un lenzuolo, e ove specificato poteva essere di lino di buona qualità o tessuto d’India. Anticamente «sindone» non aveva assolutamente un’accezione legata al culto dei morti o alla sepoltura, ma oggi il termine è ormai diventato sinonimo del lenzuolo funebre di Gesù.
Gli storici sono d’accordo nel ritenere documentata con sufficiente certezza la storia della Sindone a partire dalla metà del XIV secolo: risale infatti al 1353 la prima testimonianza storica.
La prima notizia riferita con certezza alla Sindone che oggi si trova a Torino risale al 1353: il 20 giugno il cavaliere, militare e scrittore Goffredo (Geoffroy) di Charny (1305 ca.-1356), che fece costruire una chiesa nella cittadina di Lirey, donò alla collegiata della stessa chiesa un lenzuolo che dichiarò essere la Sindone che avvolse il corpo di Gesù. Egli non spiegò però come ne era venuto in possesso.
Il possesso della Sindone da parte di Goffredo è comprovato anche da un medaglione votivo ritrovato nel 1855 nella Senna, conservato al Museo Cluny di Parigi: su di esso sono raffigurati la Sindone (nella tradizionale posizione orizzontale con l’immagine frontale a sinistra) e le armi degli Charny.
Alcune notizie su questo periodo ci vengono dal cosiddetto «memoriale d’Arcis», che è una lettera indirizzata nel 1389 da Pietro d’Arcis, vescovo di Troyes, all’antipapa Clemente VII (Roberto di Ginevra 1342-1394) per protestare contro l’ostensione organizzata in quell’anno da Goffredo II, figlio di Goffredo. Il d’Arcis scrive che la Sindone era stata esposta una prima volta circa trentaquattro anni prima, quindi nel 1355 (alcuni storici propendono invece per la data del 1357, dopo la morte di Goffredo, ucciso in battaglia a Poitiers il 19 settembre 1356), attirando «in loco» molti fedeli e donazioni, fatto che aveva portato il suo predecessore, Enrico di Poitiers, ad indagare sui fatti. I teologi consultati da Enrico di Poitiers, aggiunge detto memoriale, avevano assicurato che non poteva esistere una Sindone con l’immagine di Gesù, perché i Vangeli ne avrebbero sicuramente parlato, e inoltre durante le indagini un pittore aveva confessato di averla dipinta; ma il d’Arcis non ne indica il nome. Secondo quanto riportato dallo stesso, il suo predecessore aveva quindi aperto un procedimento contro il decano di Lirey per via di sospetti sull’autenticità del telo, ma come conseguenza questo era stato nascosto, perché non potesse essere sequestrato ed esaminato. Sempre secondo il memoriale sarebbe stato il decano della collegiata di Lirey, che aveva effettuato la prima ostensione, ad essersi procurato il telo.
Sul memoriale d’Arcis sono stati però sollevati dubbi, soprattutto da fonte autenticista. Non si conoscono altre conferme che Enrico di Poitiers abbia effettivamente aperto un’inchiesta; in una sua lettera a Goffredo di Charny del 1356 non fa alcun cenno alla Sindone. Alcuni storici suggeriscono che Pietro d’Arcis volesse far dichiarare falsa la Sindone (nuovamente esposta all’adorazione dopo alcuni decenni) perché essa attirava i pellegrini a Lirey, facendo così calare le entrate della cattedrale di Troyes.
Goffredo II inviò, a sua volta, un memoriale di segno contrario, e nel 1390 Clemente VII decretò una soluzione di compromesso, emanando 4 bolle: da una parte l’esposizione della Sindone è autorizzata a patto che si dichiari essere una «pictura seu tabula», cioè un dipinto («si dica ad alta voce, per far cessare ogni frode, che la suddetta raffigurazione o rappresentazione non è il vero Sudario del Nostro Signore Gesù Cristo, ma una pittura o tavola fatta a imitazione del Sudario»); mentre dall’altra, a Pietro d’Arcis è chiesto di cessare le critiche contro il telo.
Alcuni anni dopo scoppia una disputa per il possesso della Sindone: il conte Umberto de la Roche, marito di Margherita di Charny, figlia di Goffredo II, verso il 1415 prende in consegna il lenzuolo per metterlo al sicuro in occasione della guerra tra la Borgogna e la Francia. Margherita si rifiutò poi di restituirlo alla collegiata di Lirey reclamandone la proprietà. I canonici la denunciarono, ma la causa si protrasse per molti anni, e Margherita cominciò a organizzare una serie di ostensioni nei viaggi in giro per l’Europa (intanto Umberto muore nel 1448). Nel 1449 a Chimay, in Belgio, dopo una di queste ostensioni il vescovo locale ordinò un’inchiesta, a seguito della quale Margherita dovette mostrare le bolle papali in cui il telo veniva definito una raffigurazione e come conseguenza l’ostensione venne interrotta e lei venne espulsa dalla città. Negli anni successivi continuò a rifiutare di restituire la Sindone finché, nel 1453, la vendette ai duchi di Savoia.
I Savoia quindi conservarono la Sindone nella loro capitale, Chambéry, dove nel 1502 fecero costruire una cappella apposita; nel 1506 ottennero dal Papa Giulio II [Giuliano Della Rovere (nato nel 1443), 1503-1513] l’autorizzazione al culto pubblico della Sindone con messa ed ufficio proprio.
La notte tra il 3 e il 4 dicembre 1532, la cappella in cui la Sindone è custodita va a fuoco, ed il lenzuolo rischia di essere distrutto: un consigliere del duca, due frati del vicino convento e alcuni fabbri forzano i cancelli e si precipitano all’interno, riuscendo a portare in salvo il reliquiario d’argento che era già avvolto dalle fiamme.
La Sindone è affidata alle suore clarisse di Chambéry, che la ripararono.
Nel 1535 il Ducato di Savoia entra in guerra: il duca Carlo III di Savoia (1486-1553) deve lasciare Chambéry e porta con sé la Sindone. Negli anni successivi il lenzuolo soggiorna a Torino, Vercelli e Nizza; soltanto nel 1560 il duca Emanuele Filiberto detto «Testa di Ferro» (per la sua ostinazione) (1528-1580), secondo fondatore dello Stato Sabaudo e successore di Carlo III, potè riportare la Sindone a Chambéry, dove rimase per i successivi diciotto anni.
Dopo aver trasferito la capitale del ducato da Chambéry a Torino nel 1562, nel 1578 il duca Emanuele Filiberto decide di portarvi anche la Sindone. L’occasione si presenta quando l’arcivescovo di Milano, San Carlo Borromeo (1538-1584), fa sapere che intende sciogliere il voto [da lui fatto durante l’epidemia di peste (di manzoniana memoria) degli anni precedenti] e di volersi recare in pellegrinaggio a piedi a visitare la Sindone. Emanuele Filiberto ordina di trasferire la tela a Torino per abbreviargli il cammino, che San Carlo percorre in cinque giorni.
La Sindone, però, non viene più riportata a Chambéry: da allora resterà sempre a Torino, salvo brevi spostamenti.
Nel 1706 Torino è assediata dai francesi, e la Sindone viene portata per breve tempo a Genova; dopo questo episodio non si muoverà più per oltre duecento anni, rimanendo a Torino anche durante il periodo dell’invasione napoleonica. Solo nel 1939, nell’imminenza della Seconda guerra mondiale, viene nascosta nel santuario di Montevergine in Campania, dove rimane fino al 1946, anno in cui viene riportata a Torino.
Il 18 marzo 1983 muore Umberto II di Savoia (1904-1983), l’ultimo re d’Italia. Nel suo testamento egli lascio’ la Sindone in eredità al Papa [San Giovanni Paolo II, Karol Wojtyla (nato nel 1920), 1978-2005], il quale stabilì che essa rimanesse in Torino, nominandone l’Arcivescovo della città suo unico e reale custode.
Nel 1997 scoppiò un incendio nella cappella della Sacra Reliquia, mettendola di nuovo in pericolo. La Sindone, tuttavia, non fu direttamente interessata dall’incendio, poiché il 24 febbraio 1993, per consentire i lavori di restauro della Cappella, era stata provvisoriamente trasferita (unitamente alla teca che la custodiva) al centro del coro della Cattedrale, dietro all’altare maggiore, protetta da una struttura di cristallo antiproiettile e antisfondamento appositamente costruita.
Gianluigi CHIASEROTTI