Con una lucida analisi politico-filosofica il prof. Torriero conclude il nostro focus "Rinascita dell'Aristocrazia", tracciando le linee guida per intraprendere l'importante missione, tanto difficile quanto affascinante, di formare una futura classe dirigente.
ELOGIO DELL’ARISTOCRAZIA. QUELLA VERA, PER UNA NUOVA LEGITTIMITA’ DI ESERCIZIO
Come mai nella storia dei sistemi politici si avverte ciclicamente il bisogno dei competenti, dei “migliori”? Nonostante la vulgata progressista abbia demolito il valore della meritocrazia, della selezione e della disuguaglianza naturale tra le persone (che non c’entra affatto con la parità dei diritti), tale bisogno resta indispensabile e centrale per la salute e la stabilità degli ordinamenti statuali. Che come noto, essendo organizzazioni umane, ricalcano le regole fisiologiche e genetiche della vita: nascita, massima espressione, decadenza, rinascita. Nella logica che ogni epoca prepara quella successiva (con rivoluzioni, restaurazioni, riforme etc).
Facciamo un esempio attuale. L’antipolitica, la contestazione verso il regime, il sistema, il Palazzo, le classi dirigenti, per esperienza sul campo, specialmente da noi in Italia, non porta e non ha portato sempre alla buona politica e al doveroso ricambio dei capi, ma troppo spesso al commissariamento della politica. Al governo dei tecnici. E’ accaduto con Monti, stante la crisi della cosiddetta seconda Repubblica; è accaduto con Draghi, stante la crisi della cosiddetta terza Repubblica (mutamenti istituzionali solo giornalistici, in quanto le riforme avvengono per procedura costituzionale, secondo le regole dell’articolo 138, attraverso un’Assemblea Costituente o una Bicamerale).
Ma al di là delle provenienze lobbistiche e degli interessi dei tecnici in questione, che meritano una trattazione specifica, ci interessa dimostrare il senso e l’esigenza insopprimibile di ricorrere agli esperti. E’ il bisogno conscio e inconscio, diretto o indiretto di “aristocrazia”. Di esperienza, di leadership, di prestigio, di sacralità del potere. Che, come è ampiamente acclarato, se non è affidato alle élites naturali, storicamente determinate e radicate, sono sostituite, come è accaduto in Europa da alcuni secoli, dai loro surrogati, dalla loro parodia: l’aristocrazia del censo, della finanza, dell’economia.
E come e perché si è affermata questa sostituzione? Per lenta, inesorabile penetrazione ideologica (dall’Illuminismo in poi), e per circostanze storiche ben precise, compresa una certa non attitudine, da parte della nobiltà ad adeguarsi ai tempi. Ricordiamo l’appello che il filoso tradizionalista Julius Evola rivolse negli anni Sessanta alla nobiltà decaduta, dopo aver assistito al noto film di Fellini, “La dolce vita”, chiedendo ai rampolli delle principali famiglie blasonate, in primis romane, di riprendersi quel ruolo che spettava loro, abbandonando atteggiamenti decadenti, crepuscolari e autodistruttivi.
I greci, infatti, si erano posti il tema della decomposizione dei modelli istituzionali collettivi e individuali, di categoria e di classe, in quanto soggetti, come abbiamo detto, alle leggi naturali della fisica. La monarchia per Aristotele e gli antichi legislatori, degenera in tirannide, l’aristocrazia, nel governo dei “pochi” peggiori (oligarchia, oclocrazia); la democrazia nella demagogia (giacobina), e nella dittatura del popolo. Già molto prima di Cristo le polis, quindi, avevano “sperimentato il futuro”. E non a caso, la “costituzione mista” fu considerata il mix perfetto per garantire l’unità, la tradizione e il progresso dei cittadini.
Il francese Jean Bodin, nel 500, scrisse un testo importantissimo che illustrava la sintesi ottimale tra le forme di governo, rispondendo a valori naturali: la monarchia incarna il valore armonico, l’aristocrazia quello geometrico, la democrazia, quello aritmetico. Meglio di così. Peccato, che la storia contemporanea abbia diviso e scisso tali opzioni, mettendo le une contro le altre. Ignorando il dato che ogni Stato necessità per definizione di adeguata rappresentanza popolare (la democrazia), di selezione dei migliori (l’aristocrazia), e di unità del comando, che può essere affidata solo a una figura indipendente dalle parti (la monarchia).
Quando parliamo di aristocrazia e del suo ruolo, bisogna ricordarsi due concetti: la legittimità d’origine e la legittimità d’esercizio. E’ quello che l’ha connotata storicamente, fino a quando la sua presenza ha coinciso col suo ruolo egemone e protagonistico. “Legittimità d’origine”, in virtù dei meriti acquisiti (conquiste militari, costruzione delle città, difesa della comunità, del borgo, del feudo dagli attacchi dei nemici, radicamento della famiglia sul territorio). E “legittimità d’esercizio”, in virtù della funzione che ha svolto. E qui dobbiamo soffermarci su un secondo concetto: l’elemento “terzo” che “fa essere” la comunità. Il pittore spagnolo Salvator D’Alì, è stato illuminante in proposito: “Solo dentro una cupola monarchica si può essere anarchici, liberi”.
Sempre la vulgata progressista ha contribuito, invece, a imporre un contro-concetto: la guida di un popolo “deve essere espressione” della società, attraverso le forme classiche della rappresentanza. Altrimenti non è democrazia. Niente di più sbagliato. Non si può essere giudici e parte in causa al tempo stesso. Se l’unità del comando è simboleggiata ed esercitata da una figura terza (un sovrano che non deve rispondere ai partiti), l’equilibrio costituzionale tra i poteri funziona. La regina Elisabetta, proprio perché non appartiene a nessun partito, incarna la storia, la patria vivente, la tradizione del suo popolo, e pertanto può svolgere correttamente e liberamente il suo servizio di moral suasion, di arbitrato attivo. E il fatto che sia laburisti che conservatori possano sentirsi rappresentati dalla regina, è già una importantissima precondizione di unità nazionale, stabilità e continuità delle istituzioni.
Medesima funzione che oggi potrebbe tornare a svolgere un’aristocrazia vera, degna del nome, in grado di riprendersi quel mandato storico che le spetta.
E se la nobiltà storica è appannata, consunta, allora, come previsto da Mosca e Pareto (gli intellettuali della circolazione delle élites), il ricambio può essere assicurato da una nuova aristocrazia, quella dello spirito. Anche per evitare il surrogato. Alla copia preferiamo l’originale.
Fabio TORRIERO
Docente Lumsa di media, società e politica. Direttore de Lo Speciale.it, spin doctor
Immagine del titolo tratta da https://www.belligea.it/2016/11/30/laristocrazia-del-pensiero/