Alcune ipotesi relative alla misteriosa ed affascinante profezia dantesca del veltro.
Inizio, grazie all’ospitalità di questo nostro ottimo sito, alcune considerazioni nel settimo centenario della morte di Dante Alighieri (1265-1321).
La prima che mi sovviene è sicuramente uno degli “enigmi” della Divina Commedia, e cioè l’interpretazione dell’unica ed autentica profezia “ante eventum”, che è quella del Veltro (Inf. I, vv. 100 ss.).
Probabilmente l’enigma sul quale tanto i lettori comuni, quanto gli studiosi si sono, oserei dire, tormentati per sette secoli.
Da appassionato, mi permetto di aggiungere qualche riflessione al riguardo, senza ripetere tutte quelle a cui siamo abituati sin dai tempi scolastici.
E’ un’interpretazione che è stata dimenticata, mentre invece è degna di essere considerata accanto, appunto, a quelle più classiche e famose (da chi scrive casualmente trovata in un libro del XX secolo, ed in una sparuta nota a piè di pagina, nel lontano 1986, anno in cui veniva redatta la sua tesi di laurea).
Forse la sua scarsa fortuna è dovuta al fatto di essere stata proposta da uno studioso certamente valido, ma poco noto, l’ecclesiastico emiliano Leone Tondelli (1883-1953), biblista e storico delle religioni.
Il nostro, nel 1934, rinvenne in un codice del Seminario di Reggio nell’Emilia venti splendide tavole miniate contenenti grafici e figure e ritenne di poterle identificare con un “Liber figurarum”, ritenuto da alcuni opera di Gioacchino da Fiore (1130 ca.-1202), grande mistico del Medio Evo cristiano, che Dante definì «[…] il calavrese abate Giovacchino/di spirito profetico dotato» (Par. XII, vv. 140-141). Ed è altresì famoso per l’idea della nazione italiana compresa nei suoi naturali confini geografici in cui rilevò il primato fra le nazioni essenzialmente per la presenza della Chiesa Cattolica [tesi ripresa nel secolo XIX da Vincenzo Gioberti (1801-1852) per un’eventuale Unità d’Italia, e cioè una confederazione di stati con a capo il Papa].
La tesi del Tondelli, da lui sostenuta nell’opera pubblicata nel 1940, opera peraltro illustrativa del detto Codice, non fu accettata da molti, ma nessuno puo’ negare che le tavole, anche se non dovessero essere del da Fiore, costituiscono una specie di compendio delle sue teorie ed un’espressione del suo pensiero.
Ma da Gioacchino da Fiore è più che naturale che si arrivi a Dante che, nonostante la Chiesa avesse condannato alcune opere, lo ammirò al punto di assegnargli un posto in Paradiso a fianco di San Bonaventura da Bagnoregio (1217/1221 ca. -1274).
Ed un influsso dell’abate calabrese su Dante, è stato riconosciuto da tutta la critica dantesca ed anzi alcuni studiosi lo hanno anche esagerato, come per il filosofo e storico tedesco Alois Dempf (1891-1982) che la Divina Commedia è addirittura una “Apocalisse gioachimita”.
Quanto al Tondelli, credette di trovare in quello che era il “Liber Figurarum” di Gioacchino, molti legami con il poema dantesco, ed in varie sue opere sostenne che quelle tavole miniate del codice reggino offrirebbero una convincente spiegazione di ben diciannove controversi punti della Commedia. E tra queste “cruces” che secondo lui il “Liber” scioglierebbe, spicca quella del Veltro.
Per Leone Tondelli, le tavole gioachimite chiariscono che il Veltro non è né un imperatore, né Cangrande della Scala (1291-1329), né lo Spirito Santo, né Gesù Cristo, né Dante medesimo, bensì un “Papa Angelicus” fervidamente atteso negli ambienti gioachimiti.
Ad avanzare questa ipotesi, lo studioso emiliano è stato indotto da una lettura della dodicesima tavola del detto “Liber” nella quale è raffigurata la “Dispositio novi ordinis” che per Gioacchino dovrebbe caratterizzare la terza radiosa età del mondo, quella dello Spirito Santo, successiva a quelle del Padre e del Figlio. E lo Spirito Santo con il simbolo della Colomba sta al centro della tavola in uno spazio rettangolare, attorniato, in quattro spazi simili, dai quattro animali simboli degli Evangelisti (“Aquila, Leo, Homo, Vitulus”).
Codesti cinque spazi sono destinati alle cinque famiglie monastiche a pieno titolo, cioè, indiscutibilmente, la parte più eletta dell’”Ordo Novus”. Seguono un sesto ed un settimo spazio, dedicati ad ordini non propriamente monastici: i “Sacerdotes et Clerici” (sesto) i “Coniugati et Laici” (settimo).
Ed il Tondelli, più che convinto di interpretare al meglio Gioacchino da Fiore, ritiene che proprio da codesto sesto ordine sia destinato a provenire un nuovo pontefice libero da cure materiali e dal potere temporale (tanto osteggiato dal Poeta) “simplici honore contentus”, che rigenererà la Chiesa e farà trionfare la virtù nel mondo cristiano, in una parola il “Papa Angelicus”.
E proprio in quest’ultimo sembra che Dante abbia identificato e visto il Veltro e che il Tondelli si dice più che sicuro.
E’ indotto a credere ciò in primo luogo dal fatto che l’Ordine dei “Sacerdotes et Clerici” ha per animale appunto il “Canis”. Un cane inviato a difendere le pecorelle del popolo cristiano (settimo ordine con il simbolo dell’”Ovis”), ed a ricacciare nell’Inferno la spaventosa Lupa.
Secondo il Tondelli poi l’identificazione del Veltro con il “Papa Angelicus” spiegherebbe anche l’enigma del verso «e sua nazion sarà tra Feltro e Feltro» (Inf. I, v. 105).
Difatti l’ordine dei Sacerdoti, dal quale dovrà nascere il “Papa Angelicus-Veltro”, è intermedio tra due ordini che devono andare vestiti di feltro.
Nel concludere, questa singolare e particolare ipotesi del Tondelli è ovviamente attaccabile, ma l’idea del “Liber Figurarum” come mezzo tra il pensiero di Gioacchino da Fiore e Dante ha senza dubbio un suo fascino ed offre molti spunti alquanto interessanti.
Gianluigi CHIASEROTTI
Immagine in prima pagina: "Il veltro", particolare del Battistero di Parma, da https://www.alibionline.it/le-goff-svela-i-rebus-dello-zooforo-del-battistero-di-parma/