LA REPUBBLICA DI ARLECCHINO

"Cosi il regionalismo ha infettato l’Italia". Una recensione del libro di Mario Landolfi, edito da Rubbettino nel giugno 2020, con prefazione di Gennaro Malgieri.



L’On. Mario Landolfi, nato a Mondragone nel 1959, è stato deputato di lungo corso nelle fila di AN, Ministro delle Comunicazioni nel Governo Berlusconi III, presidente della Commissione di Vigilanza RAI, consigliere comunale del MSI nel suo comune di nascita, giornalista professionista; è redattore del “Secolo d’Italia”.


Figlio d’arte, il padre Giacomo fu segretario giovanile del PNM a Caserta. Quest’uomo era un guareschiano e fu nominato Cavaliere della Corona d’Italia motu proprio di S.M. Umberto II. Era un profumiere, visse principalmente per la sua famiglia e per il suo Re. Il 2 Giugno di ogni anno indossava la cravatta nera, sentendosi esule in patria.


Ho letto con estremo interesse, questo libro, attualissimo, nel quale, partendo dalla pandemia che ci ha avvolto, Landolfi analizza con dovizia di particolari la crisi istituzionale che si sta consumando nel nostro Paese. Non a caso il titolo scelto dall’autore ben fotografa il Bel Paese di oggi.


Mentre il covid 19 miete vittime, diverse Italie si agitano, una ventina, quante sono le regioni che si scagliano contro lo Stato centrale. Dopo la modifica di diversi anni fa del Titolo V della nostra Costituzione, i rapporti Stato-Regioni non sono stati più gli stessi. Negli scorsi anni e nei mesi recenti i mezzi di comunicazione di massa ci hanno mostrato “stati” arlecchineschi, guidati da governatori con altrettante maschere, che trattano lo Stato come un loro pari.

Il morbo ha mostrato l’inadeguatezza del potere regionale ed ha altresì fatto da stress test mettendo a nudo la debolezza delle Istituzioni, la mancanza di un potere davvero sovrano in repubblica.

Il tanto decantato federalismo normativo ha generato un derby infinito tra poteri, mentre non ci si è accorti che la casa di tutti noi brucia.

Alle scuole elementari, quando si osservava la cartina dell’Italia, la policromia regionale aveva solo scopo didattico, ora si è tramutata in una triste sfilata con le pezze di Arlecchino, una suggestione incapacitante delle piccole patrie che ha schiacciato il mito patrio.

Nella riforma costituzionale del 2001 la sinistra della “Costituzione più bella del mondo” ha preferito, sbagliando, la mentalità del km zero, non tenendo conto che la Nostra Identità non è affare da mercato rionale della frutta e verdura.

Si è preferito il particolare al generale.

Chissà perché tra un disciplinato esercito prussiano (la normativa dello Stato centrale) e un’allegra armata Brancaleone (il potere regionale) preferiamo la seconda, per spacciare come uniforme, purtroppo, il costume della famosa e simpatica maschera bergamasca.


E’ palese come questo diuturno contrasto normativo ed istituzionale sia deleterio per la comunità nazionale.

Funzioni vitali come il coordinamento internazionale, il controllo e il rispetto di disposizioni emanate, i rapporti con altri Stati, non possono essere oggetto di estenuanti trattative tra istituzioni, che mettono a rischio la sicurezza dei cittadini.

In questo il padre del federalismo americano Hamilton fu profeta: “Non è prudente demandare i poteri che dovrebbero spettare all’Unione ad organi che non possono essere controllati”.

Infatti i federalisti nostrani hanno fatto il contrario.

Peraltro l’autore spiega che, Nazione, l’Italia lo è da sempre, sin dai tempi dell’imperatore Augusto, che considerava Italia tutto ciò che stava al di qua delle Alpi, Istria compresa.

Nel corso dei secoli, tra i tanti che hanno pensato all’Italia come ad un Destino, ricordiamo Dante, Petrarca, Machiavelli, Leopardi e Manzoni.


L’On Landolfi, sempre molto attento e preciso, da vero patriota, va ancora più in profondità nella quaestio dei rapporti di forza tra enti.

In buona sostanza, le autonomie c’entrano poco con l’art 5 della nostra Carta repubblicana, che aveva previsto le regioni, ma che la sinistra nel 2001, per ragioni politiche di calcolo elettorale, ha voluto stravolgere con la modifica appunto del titolo V, che non è devoluzione di poteri, ma sovvertimento delle gerarchie istituzionali.

 Lo Stato diventa un mattone di un’immaginaria piramide, non più il vertice.

L’autonomia in ordine all’utilizzo di risorse è un processo pericoloso, che sappiamo dove inizia, ma non sappiamo dove potrebbe andare a concludersi.


Le competenze in 23 materie richieste da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, che pescano dal famoso residuo fiscale, non faranno che allargare sempre di più la forbice tra regioni ricche e regioni meno prosperose.

Il decentramento e l’autonomia possono spingere verso la secessione.

In realtà storicamente, riprendendo come dice l’Onorevole, Carlo Cattaneo, il federalismo nel Risorgimento era visto come un modo di unione con i fratelli meridionali, mentre oggi si invoca il federalismo per dividersi.

L’Italia ha avuto un’unità frutto di mito d’élite più che di moto di popolo; il processo risorgimentale è stato un processo di avanguardie ottenuto con la forza di Garibaldi, la lungimiranza di Vittorio Emanuele II, il carisma di Cavour.

La nostra identità nazionale, diciamo la verità, tranne sotto il Ventennio, è sempre rimasta fragile, ma la situazione è peggiorata, dopo il secondo conflitto mondiale, quando, dopo aver buttato l’acqua sporca della dittatura, abbiamo buttato tutto ciò che potesse riferirsi alla nazione, entrando nel tunnel della guerra civile, delle divisioni, che tuttora ci sono, frutto soprattutto della rendita di posizione del PCI.

Questo partito, con l’indifferentismo culturale degli altri partiti, soprattutto della DC, ha fatto coincidere l’antifascismo con la democrazia.

Il famoso mito della resistenza stra-abusato è oggi utilizzato per sostituire il Risorgimento come elemento di unione collettiva. E’ questa una grande menzogna.

Questo vulnus storico, ci va vivere come sospesi, non consentendoci di poter fare i conti con la storia.

Ci vergogniamo di ricordare la giornata del IV Novembre, Festa della Vittoria del Risorgimento, quando davvero gli Italiani di ogni latitudine si immolarono per uno scopo preciso, e preferiamo far nascere la storia nazionale dal 25 Aprile, che in realtà ha solo espresso una guerra civile.


Secondo Landolfi dovremmo partire dallo slancio del Risorgimento per recuperare un vero Amor di Patria, perché noi siamo figli di una Storia mirabile, l’Italia è un Unicum nel mondo.

Purtroppo il precipizio è iniziato il 2 Giugno 1946 con la nascita della repubblica, che non solo ci ha fatto sentire esuli in Patria, ma anche ha voluto far passare il falso mito della resistenza come patrimonio di tutti, quando non fu cosi.

Il Risorgimento fu di tutti, non già la resistenza.


L’Italia è Terra di campanili che Dante stesso immaginava avesse la virtù della donna di provincia.

L’abbiamo purtroppo trasformata in un bordello di regioni, che si sono rivelate un fallimento sia lato nord, con clientelismo nelle istituzioni, per mettere le mani sullo scrigno delle risorse, sia lato sud dove, in assenza di un Indirizzo statale, vediamo un burattino senza fili, accartocciato su se stesso.

Pertanto, per porre termine a questa repubblica acefala, a questo continuo contrasto e caos istituzionale, per l’autore servirebbe sia una maggiore presa di coscienza della Nostra Storia, una sorta di rivoluzione culturale, sia una nuova fase Costituente, che mettesse mano a modifiche sostanziali alla nostra Carta Repubblicana e soprattutto rivedesse con grande coraggio l’art 139, ormai davvero obsoleto.


Permettetemi di concludere, con una speranza tolkeniana, in un Uomo terzo, imparziale e vero Padre della Patria e delle Tradizioni: Il Ritorno del Re.


Massimiliano GALBIATI